II
Entrati nella stanza da letto del conte F..., la regola
generale vorrebbe che ne facessimo la descrizione esatta, minuta,
circostanziata, come si usava una volta dai romanzieri che facevano l'esercizio
comandati dal generale Walter Scott, o meglio, come si pratica negli inventarj
e negli atti di consegna. Noi però lasceremo una tale descrizione a chi vuol
fare uno studio di stile, e collocare a loro posto le parole registrate nel
dizionario domestico del chiaro professor Carena; e d'altra parte lasceremo ai
pittori la libertà di volteggiare con tutta la loro fantasia per rinvenire una
degna cornice al signor conte F..., per sua disgrazia gravemente ammalato,
tanto gravemente che il dottor Gallaroli ebbe e scrollare più volte la testa, e
in fine a trovare la necessità di domandare un consulto per togliersi dalle
spalle l'intera responsabilità della troppo possibil morte dell'illustrissimo
suo cliente. Venuto al letto del quale, il dottor Moscati, che ci vedeva poco e
allora non ci vedeva punto perchè la stanza era fatta quasi buja dalle persiane
semichiuse e dalle tendine di seta verde,
ordinò sgarbatamente alla vecchia cameriera, che stava al capezzale, di aprire
e di lasciar entrar nella stanza tutta la luce che era disponibile.
I tre dottori gettarono allora un'occhiata acuta e profonda
sulla faccia dell'ammalato, che la teneva sprofondata nel cuscino sovrapposto
ad altri quattro, tutti messi a merletti e a trine; ma i merletti e le trine
facean parere più cruda l'antitesi di quella faccia ossuta, gialla, solcata,
distrutta.
I tre medici, a questa prima esplorazione, si guardarono
senza far motto, ma si compresero; tanto che il Gallaroli, il dottor della
cura:
- Eppure, disse, non è decombente che da otto giorni.
Il Moscati, vecchio cinico, bisbetico e senza prudenza,
crollò la testa e passò a toccare il polso dell'ammalato; atto che fu
susseguito da un'altra scrollata di testa.
- Che un tale stato, soggiunse poi, possa essere la
conseguenza di una replezione, lo credo, perchè lo dite voi; se foste un medico
novizio vi direi che quello di toccar polsi non è il vostro mestiere. Cosa
m'avete detto ch'egli abbia mangiato?...
- Anguilla di Comacchio, professore; un suo cibo prediletto.
Ma egli è solito di mangiarne a dismisura, per quanto io ne lo abbia tante e
tante volte sconsigliato. Tutti i venerdì, per sua degnazione, io pranzo qui...
e tutti i venerdì mi è toccato dirgli: badi che è troppo, e le farà male; e
quel che previdi è avvenuto. Onde, che questo sia un caso gravissimo di
replezione, non è possibile negarlo, professore. Prima di pranzo il conte stava
bene, non è vero, conte?
Il conte accennò di sì, e, facendo cenno al dottore che gli
si accostasse, soggiunse a voce bassa:
- Tant'è vero che ho mangiato troppo, perchè credevo di
poter mangiare.
- Stia zitto, signor conte... Ma tornando a noi, egli stava
bene prima di pranzo, e continuò a star bene anche dopo; anzi vi dirò che,
quando il cameriere che portava lo sciampagna, entrò a dar la notizia che ci
fece strabiliar tutti, che il lacchè Galantino, catturato a Venezia e fatto
viaggiare sotto buona scorta, era stato consegnato un momento prima al Capitano
di giustizia, il conte stava tanto bene che, a questa notizia, balzò in piedi e
disse: Sono assai contento di questo; da quella canaglia Dio sa che sarà per
saltar fuori adesso che è nelle mani della giustizia... Io poi ho uno speciale
interesse perchè parli e sia fatto parlare... - e qui bevve due o tre bicchieri
di sciampagna l'uno dopo l'altro, e si cacciò poscia a motteggiare e a ridere
in modo tale che non è del suo temperamento... Figuratevi, professore, quanto
il conte stesse bene... Se non che egli uscì, e alcuni momenti dopo... qui,
questa donna entrò in sala tutta scalmanata a dirmi: Venga un po' là, dottore,
che il signor conte sta male, male assai, e par che gli manchi il respiro e
voglia morire. Io accorsi. Era gettato a stramazzone sulla poltrona, fuggita la
pupilla, fuggito il polso. Come vedono, signori professori, non era il caso di
una cacciata di sangue. Gli feci dunque servire una limonata acidissima e
tepida, dopo la quale, quando si riebbe, lo feci porre a letto, e sebbene la
giornata fosse calda per sè, provvidi a farlo ristorare con panni caldi; e così
attesi il beneficio del sonno e delle dodici ore della notte.
- Ben pensato, ben provveduto. Non c'era a far altro...
Così diceva il professore Patrini.
- Tutto va bene, soggiungeva il Moscati, ma il giorno dopo,
come lo avete trovato il giorno dopo?
- Peggio che mai. Era bensì tornato in sè stesso, ma
accusava dolore profondo alla testa, dolore insopportabile allo stomaco. Il
polso era duro e inerte... Passammo a' purganti... non se ne ottenne nulla. Ed
ora sono scorsi otto giorni, e quasi son venuto in sospetto che l'impedimento
sia meccanico. In tanti anni di cura non mi è mai capitato un caso tanto
ribelle alla scienza... chè tutto quello che essa può consigliare fu
amministrato. Cosa ne pensa il professore Moscati?
- Penso che bisognerebbe conoscere la causa per cui
l'anguilla di Comacchio gli ostruì il ventricolo.
- La causa è il cibo medesimo mangiato, anzi divorato in
eccesso.
- Va bene... ma questa causa essendo conosciuta, non
dovrebb'essere poi tanto intrattabile alla mano risoluta della scienza. Secondo
il mio parere, quando gli effetti sono permanenti, e non si modificano nè in
più nè in meno sotto al lavoro medico, è indizio che la causa è ignota; ora il
nostro studio dovrebb'essere di rintracciar questa causa, per conoscere s'ella
sia di tal natura da esser poi governata colla medicina.
Il dottor Gallaroli e il chirurgo Patrini si guardarono in
faccia come se non avessero ben afferrato il concetto del professore Moscati.
Ma a questo punto l'ammalato, con voce fonda e intercalata
da riposi asmatici, e tuttavia piena di fremito e d'ira:
- Che cosa dunque si conchiude? disse, posso guarire o no?
Di che natura è questa malattia?
- Il dottor Gallaroli non ha sbagliato, rispose Moscati. La
cura a cui ha sottoposta la signoria vostra illustrissima era l'unica e
ragionevole. Ma se il corpo del signor conte non risponde ai trattamenti
medici, i medici non possono fare miracoli. Tuttavia speri; e qui tornò a
tastargli il polso.
- La febbre è feroce, soggiunse. Il dottor Gallaroli non può
che continuare nell'intrapresa cura. D'impedimenti meccanici non credo che sia
nemmeno a parlare. Che ne dice il professor Patrini?
- Non c'è sintomo di sorta che accusi un tale impedimento;
onde in questo caso non c'è altro che attenersi ad una cura d'aspettativa.
Qui il dottor Gallaroli scrisse una ricetta, toccò anch'esso
un'altra volta il polso dell'ammalato, lo tasteggiò alle regioni dello stomaco,
poi conchiuse:
- Tornerò sul finire della giornata. E partì insieme coi due
medici consulenti.
Quando aprirono l'uscio della stanza, urtarono in un gruppo
di persone che stavan tutte origliando, servitori e cameriere, e confuso con
loro l'agente della casa, signor Rotigno. - Il figlio del signor conte,
giovinetto di vent'anni, che in casa era chiamato don Alberico, passeggiava
innanzi e indietro per quell'antisala, tristo in volto, ma vestito con
attillatura soverchia, e che certo contrastava e colla gravezza della
circostanza e col suo volto medesimo. Ma più di quella medesima attillatura,
ciò che facea meraviglia era la preoccupazione ch'esso aveva del proprio
aspetto, fermandosi di tanto in tanto a contemplare sè stesso nei due
specchioni che dall'alto al basso ornavano due pareti della sala.
Quando i tre medici uscirono, il signor Rotigno tenne loro
dietro.
- E così? come si mette, dottore? chiese al Gallaroli.
- Male, male assai.
- Tanto male, soggiunse il dottor Moscati, che, per ogni
buon conto, sarebbe opportuno mandare pel prete.
Don Alberico, che, intento a guardar l'effetto d'un neo
applicato per la prima volta in quella mattina dal parrucchiere all'angolo del
suo occhio destro, non s'era accorto dei tre consulenti ch'erano usciti in quel
punto, fu scosso a quella parola prete, e si volse e domandò:
- Come dunque hanno trovato il conte mio padre?..
- Fatevi coraggio, don Alberico, ma non a caso ha detto il
dottor Moscati... che c'è bisogno del prete.
Quando i medici si trovaron soli sotto all'atrio del
Palazzo:
- Ora ci spiegherete, dottore, disse Patrini a Moscati, quel
che avete voluto intendere quando avete parlato della causa della malattia...
Il dottor Moscati crollò allora la testa, e rispose:
- Mi accorgo che nel libro della vita si legge meglio quanti
più anni si hanno; e siccome io sono ancora più vecchio di voi altri due, così
mi sono accorto di ciò che voi non avete intraveduto. Tuttavia, caro dottor
Gallaroli, voi che siete della famiglia, avevate l'obbligo di accorgervi di
qualche cosa. Quando mi avete detto, che il malore scoppiò subito dopo
l'annuncio della cattura del lacchè, ho tosto compreso da che tutto deriva.
Il dottor Gallaroli e Patrini tornarono a guardare in faccia
al dottor Moscati con quell'atto di chi non comprende nulla.
E il Moscati:
- Va benissimo che i preparati anatomici e le lezioni di
chirurgia pratica e quelle di medicina non ci devan lasciare il tempo di
pensare alle cose di questo mondo. Ma il sole e la luna si vedono, come il
freddo e il caldo si sentono anche senza volerlo, perchè sono essi medesimi che
si fan vedere e sentire. E così è del fatto presente. Non sapete dunque quel
che si dice in tutta Milano, che cioè il lacchè Suardi deve aver trafugato un
testamento per insinuazione del... sì, signori, del conte?
- Che? cosa dite?
- Oibò!!...
- Oibò? perchè oibò? vediamo. L'accusa per cui il lacchè
Suardi è ora al Capitano di giustizia, è precisamente ch'esso abbia rubate
delle carte preziose al marchese defunto, tra le quali un testamento, e un
testamento a favore d'un suo figlio naturale. Questo testamento a danno di chi
era? Del conte. La scomparsa di questo testamento a vantaggio di chi era? Del
conte. Il lacchè a trafugare delle carte cosa poteva guadagnare per sè? Niente.
Qualcuno dunque lo dee avere istigato. Chi dunque? Colui solo che ci ha
interesse. E chi può essere questo colui? Il conte. Vi parrebbe ancora di
sbagliare a credere che non può essere che il conte?... Suvvia dunque... già io
non vado dall'illustrissimo signor capitano a ripetere queste parole, che del
resto sono in bocca a tutta Milano. Nè io voglio dire in giudizio che la causa
per cui l'anguilla di Comacchio si fermò sullo stomaco del signor conte, fu
l'annuncio improvviso della cattura del lacchè, nel punto precisamente che i
fluidi gastrici lavoravano a manipolare il suo chilo. Fate che domani il lacchè
possa escire innocente o dichiarato tale dal Senato... e allora vi accorgerete
che siamo ancora in tempo a salvare la vita del signor conte; perchè tolta la
causa permanente che non gli lascia aver tregua, è salvo. Son morti degli
uomini sul colpo per un eccesso di paura, di collera, d'affanno. È dunque già
molto che il conte sia ancor vivo... perchè, colleghi miei carissimi, il caso è
serio; e se il lacchè dà fuori il nome del conte, vedete che scandalo, che
onta, che vitupero!! Ma torniamo all'Ospedale il quale in certi casi è più
allegro del Capitano di giustizia e del Senato, e spesso un forcipe fa meno
paura d'un articolo delle istituzioni criminali.
Dicendo questo, aprì lo sportello della sua carrozza,
traendoselo dietro a richiudersi romorosamente. Gli altri fecero lo stesso, e i
cavalli si mossero con trotto dignitoso e scientifico.
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