IV
Lasciando adesso le nostre digressioni, e venendo a' fatti;
quando il signor agente Rotigno e don Alberico tornarono nell'antisala:
- Bisognerà dunque, disse il secondo, mandare a chiamar don
Giacinto.
Don Giacinto era il vicario di Santa Maria Podone,
dipendente dal curato di Santa Maria Porta; era il prete di casa, ossia quello
che più frequentemente aveva a che fare col signor conte padrone; non tanto, a
dir la verità, per le faccende dell'anima, ma per le vertenze di un beneficio
di jus patronale, pel quale il conte F... aveva diritto di nomina.
- Don Giacinto è stato qui sin dall'altro jeri, rispose il
signor Rotigno, ma ho creduto bene di rinviarlo. Queste sottane nere, caro don
Alberico, fanno un tristo effetto sugli ammalati. Dopo i purganti e gli altri
argomenti, ciò che procura la guarigione di un ammalato è la faccia gioviale
del medico e la speranza. Ma a che amministrar purganti e conforti, quando un
prete dee venire a mettere spavento? Che effetto farebbe a lei, don Alberico,
se dopo il quarto o quinto giorno di malattia, il prete venisse a farle visita
subito dopo il medico?
- Che effetto? si sa... Ma quando il medico lo consiglia...
- Il dottor Gallaroli è un furbo che vuol darsi importanza e
ama far correr la voce per Milano ch'egli è l'uomo dei miracoli... e sa, anche
dopo l'olio santo, rinnovare la vita; gli altri due, è naturale... son della
professione, e una mano lava l'altra, e il mestiere non vuol essere rovinato -
però son venuti, come succede sempre, per dar ragione
al medico della cura, il quale, a dir la verità, mi par il prete che canta
messa, mentre gli altri due fan da diacono e gli tengono il piviale. È sempre
la stessa storia, però bisogna saperli interpretare, e non seguirli
testualmente questi signori.
- Basta, fate voi. Badate però che stasera il dottor
Gallaroli non faccia strepito del non essere stato obbedito.
- Vedrà che il dottore non dirà nulla... E poi io vivo certo
che il conte debba migliorare...
- Fate pure, fate pure... Ora sentite ...
- Che cosa?
- Fatemi contar dal cassiere un cento talleri di Carlo
Sesto.
- Siam sempre a queste, don
Alberico.
- Sono otto giorni che ne ho di bisogno.
- Il signor conte mi proibì di darle altro danaro prima che
incominci il mese di giugno.
- Il giugno è qui presto... è un'anticipazione di pochi
giorni...
- Eppoi?
- Eppoi, fate presto. Non mancano usuraj a Milano, e se
batto di piede saltan fuori talleri da tutte le parti. Non è la prima volta. Ma
che maledetto gusto è questo di costringermi a pigliar dieci per restituir
venti! Non c'è al mondo uomo più avaro e più sucido di mio padre; e voi gli
tenete la staffa. È tempo di finirla. Ho ventun'anni, e colla nuova eredità
sono il figlio unico più ricco di Lombardia. Venti milioni... una piccola
bagattella... e sempre aver bisogno di denari
come se fossi un pezzente, e domandar la carità a voi. Ma chi siete voi?
L'agente sorrise, e:
- Sono il suo umile servitore, che ama lo splendore della
casa, e desidera che l'unico erede di tanta facoltà non trovi d'aver decimato
nulla quando sarà egli il capo della casa e il padrone assoluto di tutto. Però,
giacché veramente le occorrono, vado a farle contare i cento talleri.
- Sentite, se fossero centocinquanta non mi lamenterò; anzi,
ora che ci penso, mi lamenterei se fossero appena cento.
Il signor Rotigno discese nello studio dov'erano molti
impiegati subalterni, cassiere, ragioniere e scrivani, perché l'amministrazione
della casa era vasta e complicata. Si fece contare dal cassiere i
centocinquanta talleri, li fece notare alla partita di don Alberico,
incaricando uno scrivano di stendere una ricevuta che il figlio del padrone
avrebbe firmata per la necessaria regolarità, e perchè voleva così il signor
conte padrone.
Mentre il signor Rotigno s'indugiava là per tale occorrenza,
entrò un commesso di studio seguito da un facchino portante un sacco di denaro;
entrò e disse:
- Gran novità.
- Che cosa?
- È tornata, pochi momenti sono, la signora contessa Clelia
V...
- Tornata?... ma perchè?
- S'ella voleva tornar così presto, tanto aveva a non
fuggire.
- Oh bella! il conte marito volle andare dov'ella si
trovava, ed ella ritornò dove non si trova più suo marito. Fin qui non ci vedo
nulla di strano, ed è facile a capire.
- Che cosa è facile a capire?
- Quello che voi non sapete, soggiunse il commesso. La
contessa è tornata perchè fu fatta ritornare.
- Da chi?
- Da chi ha l'autorità, s'intende; voglio dire, dal Senato.
Ma sapete il motivo? è il motivo che vi farà strabiliare tutti.
- Sentiamo, parla, di' presto.
- Il motivo è che il Galantino ha dato fuori il suo nome; e
in conclusione, è dessa che lo ha pagato a rubare il testamento. E si sa anche
com'era il testamento. Erede, già s'intende, il nostro illustrissimo signor
padrone, e diversi legati, tra' quali uno, e il più vistoso, all'egregia
contessa... in compenso di... mi capite... Altro che Urania e Minerva e che so
io, come la chiamava il vicario don Giacinto: ah! ah! ah!... a dire che mi
divertono tali intrighi, è dir poco.
- Ed ella deve aver fatto trafugare un testamento, perchè il
testatore ha voluto regalarla? Ma c'è sale in zucca a creder queste fandonie?
- Altro che sale! Il testatore assegnò il premio... ma
assegnò anche i servigi... vedete che scandalo. Ah ah ah... Ma già è sempre
stato un po' matto il signor marchese. Non somiglia per niente al nostro
illustrissimo signor padrone.
Il signor Rotigno intanto ascoltava e taceva; e siccome era
informato in parte del processo del Galantino, e già avea sentito toccare un
tasto di una simile deposizione, credette a mezzo, e quasi quasi si sarebbe
confortato, se non gli fossero tosto sorgiunti i secondi pensieri a fargli
capire che l'inganno poteva durare per poco e non per sempre.
Tuttavia pensò di farne parola al conte. Prese allora i centocinquanta scudi,
salì, entrò nella sala dove ancora stava passeggiando don Alberico, gli
consegnò i denari colla ricevuta che don Alberico sottoscrisse; e quando questi
partì, pensò di entrare nella camera da letto del conte... Se non che,
allorquando fu per aprire, si fermò e disse tra sè, anzi pensò... perchè certe
cose, nemmeno i bricconi di cartello le osano dire neppure in soliloquio: -
Questa notizia potrebbe consolarlo un po' troppo, e aprire il varco alla
salute... un'inezia accoppa, un'inezia fa rinascere. È dunque meglio tacere. -
E così ridiscese nello studio, prese il cappellino a tre punte e la sua canna
d'India, e uscì ad appurare le notizie della giornata.
Intanto che il Rotigno se ne va pe' fatti suoi, facciamoci
colla contessa Clelia. Il commesso di studio, raccontando che era tornata a
Milano, avea detto il vero. Al serenissimo doge Grimani, nelle sale del nobile
Alvise Pisani, ella avea promesso che il giorno successivo impreteribilmente
sarebbe partita da Venezia; e il doge aveale detto: confidare interamente nella
sua parola e non volere per verun conto commetterla a scorta nessuna. Queste
furono le parole: ma i fatti non vi corrisposero esattamente. Chè alla contessa
Clelia il dì dopo fu reso al tutto impossibile di lasciar Venezia, per varj
accidenti sorvenuti all'impensata, e che, scorsi che saranno sedici anni dal
tempo in cui versa il nostro racconto, il lettore probabilmente saprà
indovinare. In quanto al doge incaricò l'ufficio de' corregidori di far tener
dietro ai passi della contessa; e allorchè seppe, con sua grande meraviglia,
ch'ella trovavasi ancora in Venezia, alla promessa che donna Clelia rinnovò di
partire fra breve tempo, non fu tanto credulo; e sotto specie d'onorarla, la
fece accompagnare sino al confine del ducato di Milano da messer Zuane
Pizzamano, camerlengo di Comune, e dalla nobile sua moglie. Onore che, giunto
al confine, le fu rinnovato dal signor luogotenente di Pretorio, dottor Rocco
Orlandi, il quale, espressamente a ciò incaricato da lettera senatoria, le domandò
con rispettosa deferenza, ma con quel modo d'interrogare che significa essere
il provvedimento già stato ventilato e ingiunto dall'autorità, le domandò
adunque se ella desiderava, giungendo a Milano, d'essere alloggiata nella casa
dell'egregia donna Paola Pietra sua conoscente.
Ma in che modo l'autorità provvide a far alloggiare la
contessa presso donna Paola Pietra? Il fatto è chiaro. Dopo che il Senato fu
istrutto della strana deposizione del lacchè Suardi, e riputò indispensabile di
sentire di presenza in giudizio la contessa V..., l'illustrissimo capitano di
giustizia, dopo una conferenza col presidente del Senato e col senatore
Gabriele Verri, mandò a chiamare donna Paola, a cui fece palese la deposizione
del Galantino, e insieme la risoluzione in che era venuto l'eccellentissimo
Senato d'interessare il Consiglio Veneto a mandare a Milano la contessa.
Che terribile colpo facesse una tale notizia sull'animo di
donna Paola è facile immaginare.
Dopo il primo turbamento e dopo quella tremenda confusione
in cui le persone educate da una lunghissima esperienza son gettate al sentire
imputato di una colpa detestabile chi si ama e si protegge, appunto perchè alla
predilezione ed alla stima si mesce sempre il
dubbio dell'umana perversità e delle apparenze ingannatrici; donna Paola, nel
fondo dell'animo suo, rifiutossi a prestar fede all'oscena accusa. Disse poi
tali cose al signor capitano, e le espose con tanta eloquenza e fervore, che lo
stesso marchese Recalcati, ch'era un eccellente galantuomo, fu presto dell'avviso,
essere infondata l'accusa del Galantino, e dovere anzi l'accusa medesima servir
col tempo alla riprova della di lui ribalderia. Perciò, alla profferta che
donna Paola gli fece di ricevere in casa la sventurata contessa sotto la sua
protezione e sorveglianza non potè che accondiscendere, onde al luogotenente di
Pretorio al confine del Ducato furono inviate istruzioni in proposito. Nè qui
si fermò la caritatevole donna, ma affannata di avere col proprio consiglio
peggiorata la condizione della contessa, pensò di non omettere cosa nessuna, la
quale potesse giovare alla causa di quella sventurata e, in ogni modo, dovesse
giovare al trionfo della verità. A tale oggetto si recò dall'avvocato
patrocinatore del figlio della Baroggi, perchè vedesse di poter raccogliere una
o più testimonianze ad indicare e provare, non essere altrimenti vero che il
lacchè Galantino si trovasse già a Venezia prima degli ultimi otto giorni del
carnevale di Milano. E l'avvocato si prese l'assunto, e in pochi dì fu sulla
via di far qualche preziosa scoperta.
Se dunque queste ultime pagine furono noiose anzi che no, ci
lusinghiamo che il ritorno della contessa, e la sua chiamata in giudizio, e le
sue confidenze a donna Paola e le sue ansie: come pure la scoperta
dell'avvocato patrocinatore, e i nuovi interrogatorj imposti al Galantino, e le
lotte in Senato sul proposito della tortura, e i risultamenti provvisorj di
codesta matassa, saranno
Vasta materia di sermon futuro.
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