V
Il giorno stesso in cui si tenne il consulto medico in casa
F..., donna Paola Pietra, con lettera confidenziale, venne avvisata
dall'illustrissimo signor marchese Recalcati, che il giorno dopo, accompagnata
dal luogotenente del Pretorio di confine, sarebbe giunta a Milano la contessa Clelia
V... Per ciò ella si trattenne in casa onde adempire all'ufficio cui si era
spontaneamente offerta.
Le persone che, sollecitate da una stragrande bontà di cuore
e dall'amore degli uomini, s'interessano con operosità alle cose altrui, quando
le loro premure non hanno riuscita, si sentono travagliate da insopportabili
inquietudini, e talora, per quanto invase dallo spirito di carità, provano il
pentimento d'essersi volute adoperare a vantaggio degli altri. In una tale
condizione d'animo trovavasi appunto donna Paola nelle ore che stava aspettando
la sua protetta, e tanto più si affannava, quanto più, ripensando le cose
avvenute (e non conosceva il peggio), vedeva che i buoni consigli non
assicurano sempre la felice riuscita delle
cose, e talvolta, pur troppo, come nel caso suo, partoriscono effetti al tutto
opposti ai desiderati. A taluno de' nostri lettori parrà strano che siasi
voluta mettere innanzi donna Paola siccome l'ideale della carità, un surrogato
in terra alla Provvidenza, quando poi, in sulle prime operazioni, doveva
fallire agli intenti desiderati. Ma innanzi tutto, quando un fatto è realmente
avvenuto con quelle circostanze speciali, impreteribili al raccontatore, un
personaggio non può sempre appagare i desiderj
di chi legge. D'altra parte una storia come la nostra non è che uno specchio
più o meno terso, più o meno ondulato, in cui si riflette la prospettiva della
vita. Ci può essere qualche deviazione di linea, qualche raggio che s'interseca
o prima o dopo, ma l'immagine riflessa in poco può variare dal vero. C'è di
più, che un personaggio, tanto nei lavori dell'arte come nella vita reale, il
quale si distingua per carattere segnalato di virtù, si fa manifesto per
l'intenzione ed il fervore della volontà di operare il bene, non già per l'ultima
riuscita, la quale non è mai la vera misura onde valutare il grado della virtù
stessa. Coloro che pretendessero dovere la comparsa di donna Paola Pietra
stornare sciagure e peccati e cadute, mostrerebbero di non conoscere la
differenza che passa tra i personaggi della vita vera e gli dei d'Omero. A
questi era permesso far scomparire Paride in una nube e involarlo all'ira di
Menelao per stornar l'asta del Telamonio dallo scudo di Ettore; ma ai nostri
personaggi, vogliam dire ai buoni, non sono obbligatorj che il desiderio del
bene e la facoltà di sudare per correre sulla sua traccia; non già la sicurezza
di conseguirlo.
Ma ciò non toglie che donna Paola fosse afflittissima e si
riputasse quasi colpevole di quanto era avvenuto. Tuttavia, quel che più le
cuoceva, era il dubbio che di tanto in tanto veniva a galla delle sue medesime
persuasioni e de' suoi raziocinj; il dubbio, vogliam dire, che donna Clelia
fosse ben altra da quella ch'essa aveva creduto; e che quanto potè sembrare
un trascorso accidentale, fosse invece un'abitudine perversa dell'intera vita.
- Inoltre la passione violenta ond'era stata assalita al cospetto di un
cantante, circondato dal fascino della gioventù, della bellezza,
dell'eccellenza dell'arte, lasciava trovar scusa e perdono pur nell'animo del
più inesorabile censore; ma le relazioni col defunto marchese, perduto di
costumi, nè giovane, nè attraente, rendeva turpe e non perdonabile la colpa. Se
non che, nel punto che donna Paola stava dibattendosi fra cotali pensieri, il
servo entrò a dire che la contessa V... era discesa dalla carrozza.
Donna Paola alzossi quando quella entrò.
Il lettore si ricorderà delle caldissime espansioni di
affetto, dell'abbraccio tenero e commosso onde queste due donne si lasciarono
dopo il primo loro dialogo. Chi ora dunque crederebbe che, rivedendosi,
dovessero tanto l'una che l'altra mostrare una freddezza riguardosa, e proferir
parole e saluti a cui non corrispondeva la gelida espressione del volto e degli
occhi! Ma nell'una era un sospetto, nell'altra era una recente memoria che la
faceva timorosa della presenza di quella venerabile donna. - E codesta peritosa
freddezza della contessa, accrebbe in quel punto i dubbj di donna Paola, di
maniera che, per un movimento istantaneo, il suo volto assunse l'espressione
della più severa austerità.
Partito il servo, rimaste sole, aspettando la contessa,
altre parole, e vedendo perdurare donna Paola in quella gravità ch'ella non
sapeva spiegare:
- E che cosa è avvenuto, esclamò, perchè io non veda più il
sorriso benevolo su quella vostra santa faccia?
Dir queste parole, gettar le braccia al collo di donna Paola
e prorompere in pianto fu un punto solo. La mestizia acerbissima del viaggio
solitario, i timori, le rimembranze che da molte ore le avean fatto nodo
insopportabile al cuore, si sciolsero in quello scoppio di lagrime.
Donna Paola sentì sottentrar tosto la commozione alla
severità, e riabbracciando la sventurata:
- Oh, fate animo, disse, io sono sempre
la stessa per voi. Sedete e tranquillatevi... e faccia Iddio che...
E qui s'interruppe, perchè non le parve il momento opportuno
di uscire con disgustose interrogazioni.
Ma se donna Paola per allora aveva creduto bene di tacere,
la contessa dopo qualche momento:
- Or io vorrei sapere, disse, la cagione per cui, con
gravissimo scandalo, il Senato sollecitò il doge di Venezia a farmi partire da
quella città e, sebbene con apparenze onorifiche, a mandarmi qui custodita e
guardata, in conclusione, come si pratica coi malfattori.
- Ma non sapete nulla, contessa? disse donna Paola,
veramente nulla? e la mirava fissa, quasi a passarla fuor fuori, come dicono i
Fiorentini.
- Nulla io so, bensì mi perdo inutilmente in un mare di
congetture. Il doge Grimani non sapeva nemmeno esso la causa di tale misura, ed
anzi ebbe a lamentarsene. Il camerlengo di Comune che insieme colla nobile sua
moglie mi accompagnò sino al confine del Ducato, com'è naturale, ne sapeva meno
del doge. In quanto al signor luogotenente di Pretorio, che dal confine mi
accompagnò sino alla porta di questa stanza, mi sembrò
bene che fosse al fatto della cagione vera, ma scansò sempre
le mie domande, e quando gli manifestai il mio sospetto di una qualche falsa
deposizione di quello scellerato lacchè: - Potrebbe darsi benissimo, disse; che
il Galantino non sia straniero a questa faccenda, ma io non so nulla; e dicendo
questo si capiva troppo bene ch'ei sapeva tutto, ma gli era stato ingiunto di
tacere. Intanto, appena m'ebbe lasciata alla porta di questa stanza, si recò dal
capitano per annunziare il mio arrivo, e presto sarà di ritorno. Ora ditemi voi
in che consiste questo mistero.
Donna Paola tornò a guardar fissamente la contessa; poscia,
prendendola per mano, le disse affettuosamente :
- Sedete e ascoltate;... e, prima ch'io parli, fatemi una
promessa.
- Che promessa?
- Di non tacere il vero, di non mentire (perdonatemi questa
parola), di confessar tutto, quando pure si trattasse di cosa, che, a
pronunciarla, vi dovesse abbruciare la lingua.
- Ma parlate, in nome del cielo; voi mi spaventate. Di che
dunque si tratta?... Io non conosco fatto nessuno che possa recar tali effetti.
E qui donna Paola, con voce bassa, manifestò alla contessa
la deposizione del Galantino.
Donna Paola, proferita ch'ebbe la trista parola, avvezza a
leggere nei repentini guizzi del volto quel che passava nell'animo altrui,
allorchè la contessa balzò in piedi saettando lei d'uno sguardo che
dell'orgoglio offeso avea persino la ferocia; d'uno sguardo che, incredibile a
dirsi, esprimeva quasi un iracondo disprezzo per lei medesima; d'uno sguardo
che sembrava persino minacciare un atto
violento; si alzò di colpo, tanto si tenne sicura dell'innocenza della
contessa, le buttò le braccia al collo, la baciò e la ribaciò in volto, poi
disse:
- Che voi siate mille volte benedetta, cara la mia donna, ho
avuto torto di credere a una tale accusa, or vogliate perdonarmi. Ma, pur
troppo, dovevo parlar chiaro e così.
La contessa si buttò allora a sedere, come spossata.
Successe un lungo silenzio... Cadevano intanto le lagrime a dirotta sulle
pallide guancie della contessa, che il suo labbro convulso beveva, quasi a
tentar di nasconderle. E donna Paola s'era volta altrove per non turbare quel
profondissimo dolore... e quando macchinalmente prese e aprì un libro, ne bagnò
le pagine di due grosse lagrime repentinamente sgorgate anche a lei.
In questa fu bussato alla porta, e, senz'attender altro,
entrò un vecchietto colla zazzera del tempo del senator Filicaja e con una
giubba stata già rossa color fuoco, ma pel lavoro degli anni diventata color
zenzuino. Egli, senza cavarsi il cappellino a tre punte e appoggiato alla canna
d'India, come stesse in casa propria o sulla pubblica via:
- Buone nuove, donna Paola, disse, buone nuove!
Era l'avvocato Agudio, il patrocinatore officioso del figlio
della Baroggi. Uomo burbero, bisbetico, cinico, ma galantuomo, una specie di
Paletta applicato al ceto legale. Rigido di una rettitudine insolita, che
traeva all'ideale e si spingeva fino al cavillo; affettava trascuratezza di
tutte le convenienze sociali, andando in ciò fino alla caricatura ed alle
aperte lesioni del più dozzinale galateo. Vestiva male e all'antica, quasi ad
attestar disprezzo al tempo che correva; magro, sano, forte, come se fosse
d'acciajo, era di una operosità prodigiosa; tenace del suo proposito fino ad
esser caparbio, inasprito inoltre da quel demonio interno che si chiama spirito
di contraddizione, faceva paura al Collegio dei dottori, al Pretorio, al
Capitano di giustizia, al Senato medesimo, che aveva in esso un controllore
indomabile; e siccome a tali qualità congiungeva una gran dottrina giuridica,
così era il più riputato e temuto del fòro milanese.
Alla sua improvvisa comparsa, la contessa Clelia balzò in
piedi, e vergognosa delle proprie lagrime, si ritrasse in un'altra camera.
Donna Paola Pietra si volse e vide lui che ripeteva:
- Buone nuove!!...
- Buone nuove davvero? chiese donna Paola.
- Buone vi dico.
- Or raccontate e sedete...
- Non ho tempo da perdere, e vo via subito; uno de' miei
giovani di studio, che ha trovato il modo di essere astuto insieme e onesto,
s'è messo al punto di far saltar fuori la verità, perchè dice d'averlo veduto
egli stesso, il Galantino all'albergo dei Tre Re, precisamente un giorno della
settimana grassa, quantunque non sappia giurarlo. Però l'altro jeri andò a
mangiare un boccone a quell'albergo e là, d'una in altra parola ebbe il piacere
di sentire confermato il suo sospetto da un cameriere. - Questo cameriere venne
da me stamattina e ripetè quanto avea detto al giovane di studio... Ben è vero
che, allorquando gli domandai s'ei sarebbe disposto a ridire le stesse cose al
signor capitano di giustizia, parve tentennare e voler ritirarsi... Ma la
fortuna ha voluto ch'egli nominasse un altro cameriere, il quale per
combinazione cangiò in questi giorni osteria e città, ed è andato a Cremona; lo
nominò dicendo che colui aveva giuocato in una di quelle notti col Galantino, e
siccome era amicissimo del lacchè così avrebbe facilmente saputo ogni affar
suo... Intanto il cameriere di qui sarà sentito oggi stesso dal capitano...
Spero che non saprà ritrattarsi, perch'io gli ho fatto paura, mettendogli
innanzi tutte le conseguenze del non dire la verità... Egli è bensì a
considerare che la sola sua testimonianza non basta all'intento... Ma ho mandato
or ora a Cremona il giovane di studio, e ritornerà, spero, col cameriere che
passò in quel luogo... Se i due vanno d'accordo... la volpe è presa... e il
Senato dovrà decretare la tortura... Sino a questo punto, per verità, non si
verificarono gli estremi, ed il senator Verri, che conosce il diritto, ha messo
a tacere, com'io seppi, il senator Morosini che vorrebbe cominciar sempre
dalla tortura, tanto ci si guazza dentro... e il Verri ha tirato dalla sua
tutti gli altri, perchè la sua chiacchiera quando ha preso il vento è una
tempesta che dove tocca lascia il segno. Bensì il Morosini tentò rifarsi
producendo casi criminali a dozzine in cui la tortura venne inflitta anche
senza quegli estremi dai quali il Verri non decampa, e il Verri a ripetere che
gli errori passati non devono essere esempio a
nuovi errori, e qui ha ragione, ma sibbene un salutar avviso per scansarli. E
intanto c'è un altro fatto, di cui la città è piena. Sentite, che questa è
nuova, e giudicate voi... È un avviso a stampa su tutti gli angoli della città,
col quale il maggiordomo di casa Morosini invita il proprietario di un rotolo
di cento zecchini veneti stati mandati all'indirizzo del senatore, a voler
rimandarli a pigliare. La folla è stipata a tutti i canti e chi ne dice una e
chi un'altra... Il Morosini, se non è un gran giureconsulto, è un furbo
matricolato... e... odia tutti i suoi colleghi, segnatamente il Verri, e... voi
già capite dove va a parar la cosa. Or io vo, e voi state di buon animo e dite
lì alla... (e qui fece un lezio curioso accennando la porta della camera per
cui la contessa era dileguata) che dopo il temporale viene il sereno... È ben
la contessa V.... non è vero? soggiunse poi subito.
- Sì, la contessa, arrivata or ora da Venezia.
- Povera donna, è la vittima di un assurdo arbitrio... Ma lo
studio fu di gettar la polvere negli occhi, e di rivolgere l'attenzione
altrove... Però non ci riusciranno. No, non ci riusciranno... Far venir con
violenza una persona che sta altrove di pien diritto, perchè un ladro briccone
inventa una frottola a suo danno... e pazienza avesse detto, il ladro bugiardo,
d'aver visto egli stesso, d'essere stato testimonio, mezzano, che so io... Ma
no, tutt'altro... Ora basta... la verità dee balzar fuori... Intanto buon dì e
buon anno - e l'avvocato Agudio uscì.
Quando l'avvocato attraversò il cortile, incontrossi nel
luogotenente del Pretorio che tornava dal palazzo del Capitano di giustizia.
Questi lo inchinò con atto di profonda devozione,
esclamando:
- Signor avvocato, i miei rispetti...
- Oh addio... non ti conoscevo... Or dove sei tu?
- Luogotenente di Pretorio al confine.
- Bravo, ma cosa fai qui?
- Ho accompagnato a Milano l'illustrissima signora contessa
V..., ed ora, per commissione dell'egregio signor capitano di giustizia, vengo
a portarle l'ordine scritto di recarsi domani per essere sentita in giudizio...
E stasera torno donde sono venuto... Presto poi spero di venir traslocato a
Milano... Mi conservi la sua protezione...
- Addio... E l'avvocato uscì sulla via, e attraversata la piazza
Borromeo e santa Maria Podone, se ne venne al Broletto, al Cordusio e alla
piazza de' Mercanti, salutato per via rispettosamente da molte persone di cappa
e di spada, come suol dirsi, ai quali egli non corrispondeva che il più
confidenziale saluto, e tirava via parlando fra sè e borbottando tra' denti.
Quando fu in piazza de' Mercanti, la folla non era scemata
innanzi ad uno de' pilastroni del palazzo, in oggi dell'Archivio, sul quale era
impastato l'avviso firmato dal maggiordomo di casa Morosini, che diceva così:
"Il sottoscritto, d'ordine dell'illustrissimo senatore
Morosini, suo padrone, invita il proprietario di un rotolo di cento zecchini
veneti mandati, certo in isbaglio, all'indirizzo del sullodato suo padrone, a
voler recarsi dalle ore 12 alle ore 3 nello studio della casa per ritirare il
detto rotolo.
"Milano, di casa Morosini, 28 maggio 1750."
L'avvocato si fermò perchè si dilettava dei discorsi del
pubblico.
- Credi, tu che sia stato per isbaglio? diceva un giovinotto
ad un altro.
- Se è stato uno sbaglio, certo che non è stato l'unico, e
usciranno altri avvisi.
- Può bastare anche un solo, diceva un terzo. Ma invece del
maggiordomo di casa Morosini dovrà sottoscriversi il custode del palazzo del
Senato.
- Non ti capisco...
- Oh bella... Vuoi tu che chi ha fatto il dono sia così
dolce da credere che possa bastare l'aver pensato a un senatore solo?...
- Poteva anche bastare... giacchè si trattava di rompere il
sasso più duro...
- Io per me credo che non usciranno altri avvisi. Intanto
l'affar si fa serio... e comincio a dire che il conte F... ha perduto la
prudenza...
- Che prudenza! è moribondo... eppoi non si può dire...
- Che?... bisognerebbe esser orbi... od esser qualcuno di
coloro che hanno l'obbligo di veder più degli altri... Altro che fandonie,
amico caro!
L'avvocato si partì ghignando e proferendo tra sè e sè:
- Sciocchi, i quali credete di menar il mondo per il naso...
costui v'ha già letto in fondo all'anima... però a rivederci al sabato; ed
entrò sono i portici del nobile Collegio dei giureconsulti.
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