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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO QUINTO
    • V
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V

Il giorno stesso in cui si tenne il consulto medico in casa F..., donna Paola Pietra, con lettera confidenziale, venne avvisata dall'illustrissimo signor marchese Recalcati, che il giorno dopo, accompagnata dal luogotenente del Pretorio di confine, sarebbe giunta a Milano la contessa Clelia V... Per ciò ella si trattenne in casa onde adempire all'ufficio cui si era spontaneamente offerta.

Le persone che, sollecitate da una stragrande bontà di cuore e dall'amore degli uomini, s'interessano con operosità alle cose altrui, quando le loro premure non hanno riuscita, si sentono travagliate da insopportabili inquietudini, e talora, per quanto invase dallo spirito di carità, provano il pentimento d'essersi volute adoperare a vantaggio degli altri. In una tale condizione d'animo trovavasi appunto donna Paola nelle ore che stava aspettando la sua protetta, e tanto più si affannava, quanto più, ripensando le cose avvenute (e non conosceva il peggio), vedeva che i buoni consigli non assicurano sempre la felice riuscita delle cose, e talvolta, pur troppo, come nel caso suo, partoriscono effetti al tutto opposti ai desiderati. A taluno de' nostri lettori parrà strano che siasi voluta mettere innanzi donna Paola siccome l'ideale della carità, un surrogato in terra alla Provvidenza, quando poi, in sulle prime operazioni, doveva fallire agli intenti desiderati. Ma innanzi tutto, quando un fatto è realmente avvenuto con quelle circostanze speciali, impreteribili al raccontatore, un personaggio non può sempre appagare i desiderj di chi legge. D'altra parte una storia come la nostra non è che uno specchio più o meno terso, più o meno ondulato, in cui si riflette la prospettiva della vita. Ci può essere qualche deviazione di linea, qualche raggio che s'interseca o prima o dopo, ma l'immagine riflessa in poco può variare dal vero. C'è di più, che un personaggio, tanto nei lavori dell'arte come nella vita reale, il quale si distingua per carattere segnalato di virtù, si fa manifesto per l'intenzione ed il fervore della volontà di operare il bene, non già per l'ultima riuscita, la quale non è mai la vera misura onde valutare il grado della virtù stessa. Coloro che pretendessero dovere la comparsa di donna Paola Pietra stornare sciagure e peccati e cadute, mostrerebbero di non conoscere la differenza che passa tra i personaggi della vita vera e gli dei d'Omero. A questi era permesso far scomparire Paride in una nube e involarlo all'ira di Menelao per stornar l'asta del Telamonio dallo scudo di Ettore; ma ai nostri personaggi, vogliam dire ai buoni, non sono obbligatorj che il desiderio del bene e la facoltà di sudare per correre sulla sua traccia; non già la sicurezza di conseguirlo.

Ma ciò non toglie che donna Paola fosse afflittissima e si riputasse quasi colpevole di quanto era avvenuto. Tuttavia, quel che più le cuoceva, era il dubbio che di tanto in tanto veniva a galla delle sue medesime persuasioni e de' suoi raziocinj; il dubbio, vogliam dire, che donna Clelia fosse ben altra da quella ch'essa aveva creduto; e che quanto potè sembrare un trascorso accidentale, fosse invece un'abitudine perversa dell'intera vita. - Inoltre la passione violenta ond'era stata assalita al cospetto di un cantante, circondato dal fascino della gioventù, della bellezza, dell'eccellenza dell'arte, lasciava trovar scusa e perdono pur nell'animo del più inesorabile censore; ma le relazioni col defunto marchese, perduto di costumi, giovane, attraente, rendeva turpe e non perdonabile la colpa. Se non che, nel punto che donna Paola stava dibattendosi fra cotali pensieri, il servo entrò a dire che la contessa V... era discesa dalla carrozza.

Donna Paola alzossi quando quella entrò.

Il lettore si ricorderà delle caldissime espansioni di affetto, dell'abbraccio tenero e commosso onde queste due donne si lasciarono dopo il primo loro dialogo. Chi ora dunque crederebbe che, rivedendosi, dovessero tanto l'una che l'altra mostrare una freddezza riguardosa, e proferir parole e saluti a cui non corrispondeva la gelida espressione del volto e degli occhi! Ma nell'una era un sospetto, nell'altra era una recente memoria che la faceva timorosa della presenza di quella venerabile donna. - E codesta peritosa freddezza della contessa, accrebbe in quel punto i dubbj di donna Paola, di maniera che, per un movimento istantaneo, il suo volto assunse l'espressione della più severa austerità.

Partito il servo, rimaste sole, aspettando la contessa, altre parole, e vedendo perdurare donna Paola in quella gravità ch'ella non sapeva spiegare:

- E che cosa è avvenuto, esclamò, perchè io non veda più il sorriso benevolo su quella vostra santa faccia?

Dir queste parole, gettar le braccia al collo di donna Paola e prorompere in pianto fu un punto solo. La mestizia acerbissima del viaggio solitario, i timori, le rimembranze che da molte ore le avean fatto nodo insopportabile al cuore, si sciolsero in quello scoppio di lagrime.

Donna Paola sentì sottentrar tosto la commozione alla severità, e riabbracciando la sventurata:

- Oh, fate animo, disse, io sono sempre la stessa per voi. Sedete e tranquillatevi... e faccia Iddio che...

E qui s'interruppe, perchè non le parve il momento opportuno di uscire con disgustose interrogazioni.

Ma se donna Paola per allora aveva creduto bene di tacere, la contessa dopo qualche momento:

- Or io vorrei sapere, disse, la cagione per cui, con gravissimo scandalo, il Senato sollecitò il doge di Venezia a farmi partire da quella città e, sebbene con apparenze onorifiche, a mandarmi qui custodita e guardata, in conclusione, come si pratica coi malfattori.

- Ma non sapete nulla, contessa? disse donna Paola, veramente nulla? e la mirava fissa, quasi a passarla fuor fuori, come dicono i Fiorentini.

- Nulla io so, bensì mi perdo inutilmente in un mare di congetture. Il doge Grimani non sapeva nemmeno esso la causa di tale misura, ed anzi ebbe a lamentarsene. Il camerlengo di Comune che insieme colla nobile sua moglie mi accompagnò sino al confine del Ducato, com'è naturale, ne sapeva meno del doge. In quanto al signor luogotenente di Pretorio, che dal confine mi accompagnò sino alla porta di questa stanza, mi sembrò bene che fosse al fatto della cagione vera, ma scansò sempre le mie domande, e quando gli manifestai il mio sospetto di una qualche falsa deposizione di quello scellerato lacchè: - Potrebbe darsi benissimo, disse; che il Galantino non sia straniero a questa faccenda, ma io non so nulla; e dicendo questo si capiva troppo bene ch'ei sapeva tutto, ma gli era stato ingiunto di tacere. Intanto, appena m'ebbe lasciata alla porta di questa stanza, si recò dal capitano per annunziare il mio arrivo, e presto sarà di ritorno. Ora ditemi voi in che consiste questo mistero.

Donna Paola tornò a guardar fissamente la contessa; poscia, prendendola per mano, le disse affettuosamente :

- Sedete e ascoltate;... e, prima ch'io parli, fatemi una promessa.

- Che promessa?

- Di non tacere il vero, di non mentire (perdonatemi questa parola), di confessar tutto, quando pure si trattasse di cosa, che, a pronunciarla, vi dovesse abbruciare la lingua.

- Ma parlate, in nome del cielo; voi mi spaventate. Di che dunque si tratta?... Io non conosco fatto nessuno che possa recar tali effetti.

E qui donna Paola, con voce bassa, manifestò alla contessa la deposizione del Galantino.

Donna Paola, proferita ch'ebbe la trista parola, avvezza a leggere nei repentini guizzi del volto quel che passava nell'animo altrui, allorchè la contessa balzò in piedi saettando lei d'uno sguardo che dell'orgoglio offeso avea persino la ferocia; d'uno sguardo che, incredibile a dirsi, esprimeva quasi un iracondo disprezzo per lei medesima; d'uno sguardo che sembrava persino minacciare un atto violento; si alzò di colpo, tanto si tenne sicura dell'innocenza della contessa, le buttò le braccia al collo, la baciò e la ribaciò in volto, poi disse:

- Che voi siate mille volte benedetta, cara la mia donna, ho avuto torto di credere a una tale accusa, or vogliate perdonarmi. Ma, pur troppo, dovevo parlar chiaro e così.

La contessa si buttò allora a sedere, come spossata. Successe un lungo silenzio... Cadevano intanto le lagrime a dirotta sulle pallide guancie della contessa, che il suo labbro convulso beveva, quasi a tentar di nasconderle. E donna Paola s'era volta altrove per non turbare quel profondissimo dolore... e quando macchinalmente prese e aprì un libro, ne bagnò le pagine di due grosse lagrime repentinamente sgorgate anche a lei.

In questa fu bussato alla porta, e, senz'attender altro, entrò un vecchietto colla zazzera del tempo del senator Filicaja e con una giubba stata già rossa color fuoco, ma pel lavoro degli anni diventata color zenzuino. Egli, senza cavarsi il cappellino a tre punte e appoggiato alla canna d'India, come stesse in casa propria o sulla pubblica via:

- Buone nuove, donna Paola, disse, buone nuove!

Era l'avvocato Agudio, il patrocinatore officioso del figlio della Baroggi. Uomo burbero, bisbetico, cinico, ma galantuomo, una specie di Paletta applicato al ceto legale. Rigido di una rettitudine insolita, che traeva all'ideale e si spingeva fino al cavillo; affettava trascuratezza di tutte le convenienze sociali, andando in ciò fino alla caricatura ed alle aperte lesioni del più dozzinale galateo. Vestiva male e all'antica, quasi ad attestar disprezzo al tempo che correva; magro, sano, forte, come se fosse d'acciajo, era di una operosità prodigiosa; tenace del suo proposito fino ad esser caparbio, inasprito inoltre da quel demonio interno che si chiama spirito di contraddizione, faceva paura al Collegio dei dottori, al Pretorio, al Capitano di giustizia, al Senato medesimo, che aveva in esso un controllore indomabile; e siccome a tali qualità congiungeva una gran dottrina giuridica, così era il più riputato e temuto del fòro milanese.

Alla sua improvvisa comparsa, la contessa Clelia balzò in piedi, e vergognosa delle proprie lagrime, si ritrasse in un'altra camera.

Donna Paola Pietra si volse e vide lui che ripeteva:

- Buone nuove!!...

- Buone nuove davvero? chiese donna Paola.

- Buone vi dico.

- Or raccontate e sedete...

- Non ho tempo da perdere, e vo via subito; uno de' miei giovani di studio, che ha trovato il modo di essere astuto insieme e onesto, s'è messo al punto di far saltar fuori la verità, perchè dice d'averlo veduto egli stesso, il Galantino all'albergo dei Tre Re, precisamente un giorno della settimana grassa, quantunque non sappia giurarlo. Però l'altro jeri andò a mangiare un boccone a quell'albergo e , d'una in altra parola ebbe il piacere di sentire confermato il suo sospetto da un cameriere. - Questo cameriere venne da me stamattina e ripetè quanto avea detto al giovane di studio... Ben è vero che, allorquando gli domandai s'ei sarebbe disposto a ridire le stesse cose al signor capitano di giustizia, parve tentennare e voler ritirarsi... Ma la fortuna ha voluto ch'egli nominasse un altro cameriere, il quale per combinazione cangiò in questi giorni osteria e città, ed è andato a Cremona; lo nominò dicendo che colui aveva giuocato in una di quelle notti col Galantino, e siccome era amicissimo del lacchè così avrebbe facilmente saputo ogni affar suo... Intanto il cameriere di qui sarà sentito oggi stesso dal capitano... Spero che non saprà ritrattarsi, perch'io gli ho fatto paura, mettendogli innanzi tutte le conseguenze del non dire la verità... Egli è bensì a considerare che la sola sua testimonianza non basta all'intento... Ma ho mandato or ora a Cremona il giovane di studio, e ritornerà, spero, col cameriere che passò in quel luogo... Se i due vanno d'accordo... la volpe è presa... e il Senato dovrà decretare la tortura... Sino a questo punto, per verità, non si verificarono gli estremi, ed il senator Verri, che conosce il diritto, ha messo a tacere, com'io seppi, il senator Morosini che vorrebbe cominciar sempre dalla tortura, tanto ci si guazza dentro... e il Verri ha tirato dalla sua tutti gli altri, perchè la sua chiacchiera quando ha preso il vento è una tempesta che dove tocca lascia il segno. Bensì il Morosini tentò rifarsi producendo casi criminali a dozzine in cui la tortura venne inflitta anche senza quegli estremi dai quali il Verri non decampa, e il Verri a ripetere che gli errori passati non devono essere esempio a nuovi errori, e qui ha ragione, ma sibbene un salutar avviso per scansarli. E intanto c'è un altro fatto, di cui la città è piena. Sentite, che questa è nuova, e giudicate voi... È un avviso a stampa su tutti gli angoli della città, col quale il maggiordomo di casa Morosini invita il proprietario di un rotolo di cento zecchini veneti stati mandati all'indirizzo del senatore, a voler rimandarli a pigliare. La folla è stipata a tutti i canti e chi ne dice una e chi un'altra... Il Morosini, se non è un gran giureconsulto, è un furbo matricolato... e... odia tutti i suoi colleghi, segnatamente il Verri, e... voi già capite dove va a parar la cosa. Or io vo, e voi state di buon animo e dite alla... (e qui fece un lezio curioso accennando la porta della camera per cui la contessa era dileguata) che dopo il temporale viene il sereno... È ben la contessa V.... non è vero? soggiunse poi subito.

- Sì, la contessa, arrivata or ora da Venezia.

- Povera donna, è la vittima di un assurdo arbitrio... Ma lo studio fu di gettar la polvere negli occhi, e di rivolgere l'attenzione altrove... Però non ci riusciranno. No, non ci riusciranno... Far venir con violenza una persona che sta altrove di pien diritto, perchè un ladro briccone inventa una frottola a suo danno... e pazienza avesse detto, il ladro bugiardo, d'aver visto egli stesso, d'essere stato testimonio, mezzano, che so io... Ma no, tutt'altro... Ora basta... la verità dee balzar fuori... Intanto buon e buon anno - e l'avvocato Agudio uscì.

Quando l'avvocato attraversò il cortile, incontrossi nel luogotenente del Pretorio che tornava dal palazzo del Capitano di giustizia.

Questi lo inchinò con atto di profonda devozione, esclamando:

- Signor avvocato, i miei rispetti...

- Oh addio... non ti conoscevo... Or dove sei tu?

- Luogotenente di Pretorio al confine.

- Bravo, ma cosa fai qui?

- Ho accompagnato a Milano l'illustrissima signora contessa V..., ed ora, per commissione dell'egregio signor capitano di giustizia, vengo a portarle l'ordine scritto di recarsi domani per essere sentita in giudizio... E stasera torno donde sono venuto... Presto poi spero di venir traslocato a Milano... Mi conservi la sua protezione...

- Addio... E l'avvocato uscì sulla via, e attraversata la piazza Borromeo e santa Maria Podone, se ne venne al Broletto, al Cordusio e alla piazza de' Mercanti, salutato per via rispettosamente da molte persone di cappa e di spada, come suol dirsi, ai quali egli non corrispondeva che il più confidenziale saluto, e tirava via parlando fra e borbottando tra' denti.

Quando fu in piazza de' Mercanti, la folla non era scemata innanzi ad uno de' pilastroni del palazzo, in oggi dell'Archivio, sul quale era impastato l'avviso firmato dal maggiordomo di casa Morosini, che diceva così:

"Il sottoscritto, d'ordine dell'illustrissimo senatore Morosini, suo padrone, invita il proprietario di un rotolo di cento zecchini veneti mandati, certo in isbaglio, all'indirizzo del sullodato suo padrone, a voler recarsi dalle ore 12 alle ore 3 nello studio della casa per ritirare il detto rotolo.

"Milano, di casa Morosini, 28 maggio 1750."

L'avvocato si fermò perchè si dilettava dei discorsi del pubblico.

- Credi, tu che sia stato per isbaglio? diceva un giovinotto ad un altro.

- Se è stato uno sbaglio, certo che non è stato l'unico, e usciranno altri avvisi.

- Può bastare anche un solo, diceva un terzo. Ma invece del maggiordomo di casa Morosini dovrà sottoscriversi il custode del palazzo del Senato.

- Non ti capisco...

- Oh bella... Vuoi tu che chi ha fatto il dono sia così dolce da credere che possa bastare l'aver pensato a un senatore solo?...

- Poteva anche bastare... giacchè si trattava di rompere il sasso più duro...

- Io per me credo che non usciranno altri avvisi. Intanto l'affar si fa serio... e comincio a dire che il conte F... ha perduto la prudenza...

- Che prudenza! è moribondo... eppoi non si può dire...

- Che?... bisognerebbe esser orbi... od esser qualcuno di coloro che hanno l'obbligo di veder più degli altri... Altro che fandonie, amico caro!

L'avvocato si partì ghignando e proferendo tra e :

- Sciocchi, i quali credete di menar il mondo per il naso... costui v'ha già letto in fondo all'anima... però a rivederci al sabato; ed entrò sono i portici del nobile Collegio dei giureconsulti.

 




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