VI
Com'è facile a credere, il pubblico, che, nel caso nostro,
era l'aggregato di tutti coloro i quali non aveano parte veruna nella
magistratura e molto meno nella giudiziaria, e che senza nessuno studio
preparatorio, nè teorie discusse, procedeva avanti coraggioso nel giudizio
delle cose colla sola guida del senso comune, erasi fatto un concetto a modo
suo dei fatti che abbiamo raccontati e delle conseguenti tesi criminali; e,
cosa strana, il concetto del pubblico riuscì precisamente la camicia del vero.
Vogliamo dire che esso opinava per la reità del Galantino, come opinava per la
reità del conte F...; anzi, quando mai avesse dovuto essere indulgente con uno
dei due, propendeva piuttosto a favore del primo che del secondo; in quanto poi
all'accusa che il lacchè avea gettata contro la contessa, mentre e capitano e
vicario e attuario e auditori e assessori e senatori, a primo colpo ne furono
influenzati al punto da ammetterla, e in conseguenza da trovar necessario il
sentir di presenza la contessa in giudizio; il pubblico, vogliamo dire la
maggioranza, non credette nulla affatto; chè il senso comune rifiutavasi a
vedere tresche amorose là dove correva un divario di più che trent'anni d'età,
tresche venali dove la ricchezza era pareggiata, tresche turpissime dove, cessa
anche la fragilità umana, era però innegabile l'ottima fama della contessa,
l'ottima fama del casato cospicuo a cui apparteneva, l'educazione avuta, la
specialità sublime degli studj fatti. Però quelle ragioni medesime per cui il
pubblico non avea sospettato mai che Amorevoli si fosse trovato nel giardino
per lei, tornarono a ricomparire, quasi indignate della prima sconfitta, a
ricomparire per difendere fervorosamente la sventurata contessa, e per isparlare
con iracondia del procedere della giustizia.
E c'è di più, che al pubblico si confederò per la prima
volta, nel desiderio di difendere la contessa, indovinate chi? tutte le donne
più o meno cattive, più o meno giovani, più o meno belle del ceto patrizio e
anche del ceto solamente ricco, che un tempo erano sempre
state le naturali nemiche della superba contessa. Fu una specie di diserzione
inattesa, un cambiar repentino di propositi e d'opinioni, un mettersi tutti da
un lato a protestare in favor suo, e in modo di far salire in orgoglio coloro
che hanno buon concetto dell'indole femminina.
Donna Paola che, nel tempo dell'assenza della contessa,
mediatore il giovane Parini, era andata a visitare la madre di lei, partiti che
furono per Venezia il conte V... e il conte fratello, credette bene, qualche
ora dopo l'arrivo di donna Clelia, di rinnovar la visita alla contessa madre, e
d'invitarla a venire ad abbracciar la figlia per confortarla. Molte dame
trovavansi per caso colà... e tutte furono intorno alla contessa madre, la
quale, nei dì della fuga e dell'assenza di donna Clelia, avea protestato di non
voler mai più riconoscerla per sua figlia; tutte adunque le furono intorno per
supplicarla a cedere alle preghiere di donna Paola. Che più!.... talune espressero
persino un desiderio vivissimo d'andare a far visita alla fuggitiva ripatriata.
In quel giorno adunque madre e figlia si riabbracciarono; in
quel giorno la contessa del Grillo andò a far visita a donna Clelia, e le
rasciugò il pianto e la consolò riferendole quel che si diceva di lei per la
città, e come avesse mille difensori, ed esortandola a star lieta. E donna
Clelia infatti, se non lieta, almeno placida, dormì la notte; e soltanto quando
si risvegliò fu percossa acerbissimamente dal pensiero che in quel giorno
doveva comparire innanzi al Capitano di giustizia.
È un pregiudizio e un errore della mente, ma i luoghi dove
si amministra la giustizia criminale incutono un vago sgomento anche nelle
persone più intemerate, se per caso son esse chiamate a presentarsi ai giudici,
sia pure per una semplice testimonianza, per
un'informazione di poco conto, fin anco pel proprio vantaggio. Se dunque la
contessa Clelia non potea sopportare il pensiero di doversi presentare al
Capitano di giustizia per un'accusa e una presunzione gravissima, quantunque
ella si sentisse innocente, la cosa è ragionevole. Confortata però dal
reintegrato amore della contessa madre, sostenuta da donna Paola, si ricompose,
e pensò ad assumere quel contegno che dovesse comandare alla sua volta un gran
rispetto ai giudici medesimi.
Verso mezzodì la contessa madre le mandò un carrozzone di
casa. Di concerto coll'illustrissimo marchese Recalcati, erasi stabilito che
donna Paola avrebbe accompagnata la contessa, e l'avrebbe assistita di presenza
anche nella sala degli interrogatorj. Partirono dunque di casa e l'una e
l'altra poco dopo il mezzogiorno, e presto il carrozzone entrò nel cortile del
Palazzo di Giustizia. La livrea pavonazza coi galloni gialli del cocchiere e
dei due servitori, fece tosto conoscere a quanti trovavansi colà ch'era la
carrozza di casa A..., chè la stessa donna Paola avea consigliata quella specie
di pubblicità fastosa, perchè in simile circostanza doveva riuscire assai
significante.
Il capitano marchese Recalcati, che stava in aspettazione di
esse, quando sentì il loro arrivo, credette bene di uscire insieme col vicario
e cogli assessori a riceverle in capo allo scalone. Era una degnazione
insolita, ma che all'ottimo Recalcati era stata suggerita dalla specialità del
caso, e, dopo i discorsi tenuti con donna Paola e le pubbliche dicerie
pervenutegli all'orecchio, dalla persuasione che la contessa meritava il suo
rispetto più che la sua severità. Dopo que' primi atti di ricevimento, ai quali
però non fu straniero un certo sussiego di cerimoniale tutt'altro che adatto a
mettere altri di buon umore, le signore furono fatte entrare in una sala, nella
quale comparvero poco dopo il capitano, il vicario, un attuario, due auditori e
due assessori, ponendosi a sedere presso una gran tavola coperta dal tappeto
verde e su cui stava una croce d'ebano col Cristo d'avorio. I due assessori,
pregando la contessa ad accostarsi, essi medesimi le portarono il seggiolone a
bracciuoli.
Donna Clelia era vestita con austera semplicità,
per quanto poteva esser permesso dalle foggie del tempo. Quand'ella si mosse
tenendo dietro agli assessori che le portavano il seggiolone, la severissima
regolarità del suo volto, fatta allora più grave dalla condizione dell'animo,
la fronte che, per l'azione dell'orgoglio offeso, le si aggrondava in quel
punto, raccostandole i neri sopraccigli al vertice del suo naso romano, i
labbri e il mento che, modificati dai muscoli in soprassalto, parvero assumere
fuggitivamente il disegno della bocca e del mento del giovane Bonaparte
cogitabondo e cupo; tutto ciò, anzi che farla credere una donna chiamata a
rispondere in tribunale, le avea comunicato l'aspetto della istessa dea Temide
convenzionale, persuadente col severo simulacro l'inesorabile giustizia.
Quando la contessa fu seduta, l'attuario, dopo avere scorse
alcune carte e guardato con significazione in faccia all'illustrissimo signor
capitano, quasi a dire, siamo a tempo? incominciò l'interrogatorio dal consueto
punto di partenza, domandando cioè alla contessa se ella sapeva la cagione per
cui era stata citata in giudizio.
- La cagione, rispose donna Clelia, l'ho saputa ieri dalla
venerabil donna Paola qui presente, ed è tale che mai non avrebbe potuto esser
materia di una congettura a chiunque non sia offeso nella mente.
(Dal costituto che abbiam sott'occhio crediamo bene
trascrivere le precise parole pronunciate dalla contessa, le quali, per una
nota apposta in calce dall'attuaro signor Bignami, siamo avvertiti essersi
voluto trasportarle e conservarle per intero nel processo verbale.)
Dopo quell'esordio, rivoltasi la contessa al signor
capitano:
- Or io domando a vostra signoria illustrissima, soggiunse,
se mi dà licenza di parlare con libertà.
Il capitano con atto benevolo accennò che dicesse. Allora la
contessa incominciò; e un auditore, intinta la penna nel calamajo, si mise a
scrivere come sotto dettatura.
- Più vo pensando al fatto per cui sono qui, disse la
contessa, meno so farmi capace delle cagioni che possono avere spinto questo
tribunale a credere, anche per un momento, alle deposizioni infondate di un
costituito notoriamente malvagio, già più volte venuto nelle mani della
giustizia e più volte, credo, punito.
L'illustrissimo signor capitano interruppe a tal punto la
contessa. dimostrando come la deposizione a cui essa alludeva non aveva già
ottenuta fede, ma bensì aveva costretta la giustizia a non trascurare nemmeno
quel filo, per quanto potesse parere assurdo, trattandosi di una causa della
più grande e delicata importanza.
- Di nuovo mi trovo costretta, replicò allora la contessa, a
domandare se mi si dà licenza di continuare a parlar con libertà.
E di nuovo accennatole dal capitano affermativamente:
- Io non mi lagno, continuò la contessa, che la giustizia
abbia fatto quel che doveva fare; mi lamento bensì che nell'intento di
rintracciare il capo di quel filo assurdo che venne messo fuori dal costituito
Suardi, siasi incominciato di là dove, al peggio, avrebbesi dovuto finire.
Comprendo assai bene quanto possano parere e siano ardite e, ciò che più monta,
intempestive e dannose le parole di chi, invitato a difendersi in giudizio,
vuol farsi censore dell'autorità; ma ci sono tali ingiurie, che, da qualunque
parte vengano, non è permesso non respingerle con coraggio. La colpa di che
obliquamente mi si vuole imputare, e che in uomini gravissimi e sapienti come
voi potè pure prendere stanza, è di tale natura che ogni prudenza si ribella; e
l'onestà, crudamente offesa, si rivolta iraconda non solo contro l'accusatore,
ma anche contro chi ha potuto credere all'accusa, e così procedere di
conformità... Questa è forse la prima volta che da chi sta al mio posto è
tenuto un linguaggio di tal natura a chi sta al vostro, ma io confido che
l'illustrissimo capitano vorrà tener conto della specialissima condizione in
cui mi trovo.
- Vi ho lasciato parlare, contessa, prese a dire allora il
capitano, perchè ve ne avevo dato licenza, e perchè è a tener conto della
condizion vostra appunto. Ma la giustizia non può avere de' speciali riguardi
per nessuno, nemmeno per l'innocenza, fosse pur veduta con certezza, quando da
circostanze eccezionali è tratta a comparire come rea convenuta innanzi alla
legge. Però la signoria vostra or si compiaccia di rispondere alle domande che
le farà l'attuaro, per rispondere alle quali era necessario, illustrissima
contessa, la vostra presenza; onde l'autorità non poteva operare diversamente
da quel che ha fatto. Del resto, sia un attestato codesto della buona stima che
si ha di voi, illustrissima contessa, se l'autorità medesima si degna di venire
alla giustificazione de' proprj atti.
La contessa si rimise in calma, e:
- Vi ringrazio, disse, eccellentissimo signor capitano, di
questa degnazione.
Qui ci fu un po' di pausa.... indi l'attuaro continuò:
- L'illustrissima signora contessa ha conosciuto il defunto
marchese F...?
- L'ho conosciuto ... ma, quasi potrei dire, soltanto di
nome e di vista... dico quasi, perchè a una festa in casa Borromeo, tre anni
fa, esso mi rivolse la parola, ed io di conformità gli risposi... e d'allora in
poi, se l'ho visto spesse volte e spesse volte ho risposto al suo saluto stando
in carrozza al corso della strada Marina, non gli ho parlato mai più, nè mi
sono trovata mai con lui nè tanto nè poco nè punto.
L'auditore allora chiese alla contessa: quale a suo
giudizio, doveva essere la cagione per la quale il costituito Suardi fu tentato
di scaricare su di essa la colpa ond'egli era imputato.
- Nella lettera che scrissi alla venerabile donna Paola qui
presente, e che so essere stata deposta nelle mani delle signorie vostre, mi pare
risulti evidente la cagione per cui il costituito Suardi ha messo innanzi il
mio nome. È questa una cagione di vendetta e di rappresaglia, come suol dirsi.
La sua cattura essendo avvenuta subito dopo la visita ch'egli venne a farmi,
per indurmi con impudenza inaudita quasi a rendermi complice dell'insidia in
cui egli stava per trarre una inesperta fanciulla veneziana di casato patrizio,
ch'io per avventura potei giungere in tempo a salvare dalle scellerate sue
mani; dovette necessariamente fargli credere che l'accusa potesse essere venuta
da me, essendosi egli smarrito contro la natura sua, e avendo perduto la
sfrontatezza e l'audacia quand'io, con sua sorpresa, gli toccai del sospetto
che si aveva di lui pel fatto del defunto marchese. Chiunque avesse osservata
la faccia di quel ribaldo, quando io lo colpii all'impensata, non potrebbe oggi
dubitare nemmen per ombra della sua reità... Per tutte le quali cose persuaso
il costituito Suardi che da me gli sia venuto il colpo, ha voluto vendicarsi e,
ingegnosissimo qual è e astutissimo, ha saputo sì ben fare e sì ben dire, ch'è
riuscito a trarre in inganno anche voi. Del rimanente, quand'io scrissi quella
lettera alla venerabile donna Paola, la pregai di non farne motto con veruno,
perch'io non intendevo di farmi accusatrice di nessuno al mondo, nemmen de'
ribaldi; ma ella, che ha più sapienza di me, ha pensato che, quando
l'indulgenza verso i tristi torna a danno, e a gravissimo danno di sventurati
innocenti, tosto si converte in colpa; e però di quella mia lettera fece un
atto d'accusa.... accusa che oggi maturatamente io rinnovo, supplicando l'alta
giustizia di questo tribunale a non intralasciare indagine nessuna, a non
fermarsi alle ingannevoli apparenze, a inseguire il vero con insistenza, perchè
trattasi di un povero fanciullo derelitto, trattasi di una sventuratissima
donna lasciata nella miseria a macerarsi della colpa altrui. Il testamento fu
dettato dal notajo Macchi, e scritto dal defunto, e deposto fra le sue carte
più preziose; jeri la contessa del Grillo mi assicurava di ciò, avendone
parlato collo stesso notajo. De' riguardi troppo giusti alla fama di famiglie
cospicue possono far peritosa la giustizia nel frugare colà dove precisamente
dev'essersi appiattata la colpa... Ma testè, con sapienza, l'illustrissimo
signor capitano dicevami che nemmen l'innocenza può lasciarsi in riposo quando
da fatti eccezionali è chiamata siccome rea convenuta innanzi alla legge:
tant'è vero ch'io sono qui... Per tutte le quali cose codesto tribunale voglia
provvedere, nell'alta sua saviezza, perchè la giustizia abbia l'intero suo
corso. Al qual fine io sono qui sempre
disposta a dar ragione d'ogni mio fatto... Dirò di più, tanto sono persuasa di
poter essere utile a degli sventurati, che io sono disposta, giacchè ho superato
il primo ribrezzo di venire a questi scanni, a sopportare la vista del
costituito lacchè... Io porto opinione che la mia presenza e le mie parole e la
ricordanza de' fatti avvenuti gli faranno smarrire l'audacia, e la verità
balzerà fuori.
E la contessa tacque in mezzo al silenzio de' giudici.
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