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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO SESTO
    • II
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II

E intanto ci rimetteremo in compagnia del sig. Andrea Suardi che fu l'ultimo rimasto sul palco scenico. Il lettore, dopo aver lasciato costui nelle stanze del Capitano di Giustizia, in una condizione tanto prossima alla berlina, avrà fatto le maraviglie nel vederlo, sedici anni dopo, libero e sano e più bello di prima, e colle apparenze della ricchezza, e avente un servitore coi galloni al proprio servizio, e un cavallo da sella per le passeggiate di diporto. Ma la fortuna e il diavolo, in tutti i tempi, han sempre dato il braccio a' furfanti.

Ed ora è probabile che il lettore si lamenti dell'aver noi troncato il processo del nostro eroe. Però, a confortarlo, lo consigliamo a pensare alla noja che avrebbe dovuto subire se avessimo riprodotto qui tutto quello che fu scritto dagli attuari e dagli auditori del criminale dopo l'ultimo tratto di corda dato al costituito lacchè; lo preghiamo a considerare che, da tanta carta e tanto inchiostro il solo fatto importante che ne risulta, è che, non essendo sorvenuti nuovi indizj, si dovette desistere dalla tortura grave; e che dopo sei mesi di indagini, requisizioni, interpellanze, di esami fatti a gentiluomini, servi, camerieri, ecc., non essendo saltato fuori neppure un appiglio importante a danno del costituito, esposta in ultimo ogni cosa al Senato, questo sentenziò che il reo convenuto Andrea Suardi, detto il Galantino, dovesse rimandarsi in libertà, mancando le prove reali del delitto ond'era stato imputato.

Il Suardi, appena uscito dalle carceri del Capitano, dal quale gli furon consegnati i chirografi del denaro che esso aveva depositato sul banco di San Marco a Venezia, non pensò che ad abboccarsi col signor Rotigno, agente della casa F...

Dopo la morte del conte, che nel testamento gli ebbe assegnato un legato di milanesi lire 200 mila, l'ex-agente avea abbandonato la casa F..., e si era congiunto al suo fratello Rocco per intraprese commerciali.

Ora si venne maturando un fatto pubblico che diede poi un avviamento speciale e curioso ai fatti privati. In quell'anno medesimo 1750, anno fatale a quelle persone di cui abbiamo fatto la conoscenza, il generale Pallavicini, ministro plenipotenziario a Milano, come sa il lettore, abolì i separati appalti delle regalie del sale, del tabacco, della polvere, ecc., e formò la così detta Ferma generale, riunendo tutte le suddette regalie in un sol corpo, ed affidandole ad una società costituita in prima da tre Bergamaschi, quali erano Antonio Greppi, Giuseppe Pezzolio e il detto Rocco Rotigno, a' quali in seguito si aggiunsero Giacomo Mellerio di val Vegezzo, Francesco Antonio Bettinelli, cremonese, ed altri, fra cui il fratello di Rocco Rotigno.

Premessa questa notizia, e tornando ai nostri personaggi, se il Galantino, appena uscito di prigione, pensò all'agente di casa F...; questi non era mai stato un giorno solo senza pensare al detenuto, chiara ragione che dalle risultanze del processo dipendevano quasi immediatamente le condizioni della sua vita. Ben è vero che, appena venne in possesso della somma legatagli dal conte F..., domandò licenza all'erede di ritirarsi dall'amministrazione della casa, accusando il desiderio di voler ridursi a vivere a Bergamo, presso il fratello Rocco, che vi teneva commercio di seta; ma in realtà per trovarsi lontano dal ducato di Milano, di cui fin che gli pendeva sul capo la spada di Damocle, gli bruciava sotto il terreno.

Ma un gli giunse la notizia che il lacchè Suardi era stato rimesso in libertà per mancanza di prove legali, e per avere, anche sotto la duplice prova della tortura semplice, costantemente respinta ogni accusa. Il Rotigno respirò, com'è ben naturale, e per tal fatto gli si mise una tale bonarietà nel sangue e s'atteggiò a tanta condiscendenza, che quando il fratello Rocco, che spendeva più di quello che guadagnava e che trovavasi in qualche disordine commerciale, gli propose d'entrare secolui in una impresa, che doveva essere lucrosissima, purchè egli fosse disposto ad esporre alla fortuna la metà almeno de' suoi capitali, egli vi annuì senz'altro.

Codesta impresa così vantaggiosa era appunto l'accessione che egli, il Rotigno, come altro de' socj, doveva fare alla Ferma generale del tabacco, sale e merci, ecc., istituita dal conte Pallavicini. L'anno 1750 era in sullo scorcio quando i tre fermieri generali Greppi, Pezzolio e Rotigno vennero a trattare i patti col ministro plenipotenziario. Entrava l'anno 1751 quando i loro nomi furono pubblicati quali assuntori dell'impresa. E in quel torno appunto il Suardi s'era, dopo sette mesi di detenzione, trovato sotto il libero cielo.

Questi fermieri, intanto che scadeva il termine imposto dall'abolizione delle regalie, e prima d'entrare, a così dire, in carica, si trovarono aver bisogno d'un gran numero d'impiegati, di commessi, di esattori, ed anche di socj ausiliarj, i quali, congiungendosi ad essi con qualche piccolo capitale, ricevessero da' fermieri principali un salario congruo e una data quota sugli utili annui.

Quando si pensa ai miracoli che sa far la fortuna, allorchè ha fermamente deliberato di prendere alcuno a proteggere, si rimane percossi di maraviglia vedendo come quegli accidenti stessi che per la maggior parte degli uomini sono colpi mortali e ostacoli insormontabili, diventino per i suoi beniamini occasioni di felicissimi avviamenti. E così avvenne del Galantino. Cercato del signor Rotigno, come sentì ch'esso erasi ritirato a Bergamo, andò colà, trovollo senza difficoltà, ebbe lunghi abboccamenti seco; e il fine di questi abboccamenti essendo, per parte del Galantino, quello di riscuotere da lui il residuo della somma di compenso che gli era stata promessa, il Rotigno di necessità lo soddisfece, e per soprappiù, importandogli, come se si trattasse di salvar gli occhi e la vita, di mettere a tacere per sempre quel serpe velenoso da cui, volere o non volere, egli dipendeva; gli propose appunto di entrare come esattore a servizio della Ferma generale, investendo in quella una parte del suo danaro, ond'essere accettato come uno de' soci secondarj.

Il Suardi, alla cui intelligenza balenò tutta l'importanza di quella vasta azienda, accolse il partito, siccome suol dirsi, a bocca baciata, e impiegate nella Ferma lire quindici mila milanesi, entrò in carica quale altro degli esattori. Essendo uscito innocente persin dalla prova della tortura, egli non provò rossore nessuno a tornare a fermar stanza a Milano. D'altra parte, comunque fossero le cose, il pudore era un elemento del tutto straniero alla natura sua. Venne dunque a Milano, si diede al suo ufficio con alacrità insolita e con un'attività, quasi diremmo, febbrile. La spinta prepotente d'ogni suo atto, fin da quando era fanciullo, era sempre stato l'amore del denaro. Venuto pertanto al posto di esattore, fu tanta la sua abilità e scaltrezza nel trovar modo di cavar sangue anche dalle rape, che, mentre riuscì il più pronto e il più efficace degli esattori della Ferma, tanto da recare a questa vantaggio grandissimo; indirettamente, con astuzie speculative che a nessun altro sarebbero venute in pensiero, intascava lautissimamente anche per . Col tempo impiegò nella Ferma altre lire ventimila, dalle quali e dalle altre quindicimila ritraeva il cinquanta, il cento per cento. Pietro Verri, in una memoria inedita di cui è riferito un brano dal barone Custodi, parlando dei fermieri, dice che "costoro avevano poco o nulla al mondo, ma affrontarono arditamente la fortuna. Essi pagavano alla Camera cinque milioni all'anno e ne ritraevano di netto prodotto sei milioni e mezzo. Indirettamente poi essi avevano poste tali angarie alla filanda delle sete, che buona parte della raccolta dei bozzoli del paese cadeva nelle loro filande, le quali erano sparse nello Stato, e comparivano col nome di supposti proprietarj." Avvenne pertanto che, non volendo figurare il Rotigno Rocco quale acquirente di una vastissima filanda di seta, sul confine del Bergamasco, per le ragioni addotte sopra dal Verri, il Suardi ne fosse investito apparentemente; ed anche da ciò, alla sua maniera, ritrasse vantaggi quanti ne volle. Avvenne inoltre che il fratello del Rotigno Rocco venne a morire nel gennajo dell'anno 1752, la qual cosa produsse altre conseguenze vantaggiosissime al Suardi: ed eccone la ragione. L'impresario Rocco, che già era venuto, allorchè attendeva al semplice commercio delle sete, a tristi termini, per la sua abitudine allo spendere più delle entrate; fatto fermiere e, in poco tempo, trovando di poter raccogliere guadagni al di d'ogni preventivo, erasi dato alla larga vita, al banchettare, al signoreggiare, senza darsi più un pensiero al mondo del governo della casa, perchè di ciò era specialmente incaricato il fratello ex-agente, prudente amministratore. Di modo che pare che un giornale di quel tempo, intitolato il Corriere Zoppo, alluda a lui in quel numero del mese di dicembre dell'anno 1753, dove è stampato che i fermieri, oltre i gran profitti che traono, pascono la propria ambizione nel signoreggiare e nel farsi servire alla sovrana da una truppa di commessi.

Mortogli pertanto il fratello, e datosi a sfoggi, a bagordi, a giuochi, a scialacqui, e non avendo più mente per governare il fatto proprio, fece, come suol dirsi, carta bianca al Suardi, di cui quanto le mani fossero fedeli, il lettore lo sa al pari di noi.

Dal 1752 pertanto al 1754, per parte del signor Rocco Rotigno, non fu altro che un guadagno continuo e senza misura e uno spendere in proporzione; e da parte del Suardi, occhio dritto e mano dritta del signor Rocco, non fu altro che un usufruttare il capogiro del suo principale, tanto da far entrare in casa propria, senza che nessuno se ne accorgesse, o almeno senza che se ne accorgesse chi poteva impedire tal fatto, buona parte dei redditi annuali di colui, a non tener conto de' guadagni legittimi, e non legittimi, ch'egli, quale esattore e cointeressato, faceva per se stesso. Questa cuccagna continuò senza interruzione e senza importuni timori sino al mese di agosto del 1754. Ma in questo tempo, il popolo milanese, indignato dalle espilazioni sistematiche della Ferma generale, fece tale risoluzione e la attuò con tale fermezza e concordia di volontà, che le casse dei signori fermieri per qualche tempo ne dovettero sopportare gran danno.

La relazione manoscritta di questo fatto sussiste nella biblioteca di Brera, e fa parte della raccolta di quel monaco Benvenuti di sant'Ambrogio ad Nemus, da cui abbiamo tolta la storia di donna Paola Pietra; e su questa relazione sarebbe stato nostro pensiero di condurre un quadro disegnato e colorito in modo, che il lettore fosse, come a dire, trasportato in mezzo a que' fatti. Ma un istancabile scrittore, molti anni sono, avendo pubblicato gran parte di quella cronaca, non ha lasciato che noi potessimo far cosa nuova. Però ci limiteremo a riassumere i fatti principali di quella relazione stessa con quegli intendimenti che non sono in essa e che non si propose chi la diede in luce; riporteremo poi, sempre riassumendo, quelle parti della cronaca stessa che il suo editore ha creduto bene di omettere, ma che al fatto nostro riescono preziose e caratteristiche. Nell'azione così di un astuto furfante (il Suardi) infaticabile a frodare il danaro pubblico per la protezione d'improvvide leggi, e nella reazione oculata, sapiente, ed ugualmente infaticabile di un generoso e vigoroso intelletto (il Verri) che si propose di difendere la pubblica ricchezza dalla mano rapace di pochi, vedremo un atteggiamento curioso di quel tempo, e la crisi benefica operarsi, come in quasi tutti i membri della società d'allora, così anche in codesta parte della pubblica amministrazione.

 




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