II
E intanto ci rimetteremo in compagnia del sig. Andrea Suardi
che fu l'ultimo rimasto sul palco scenico. Il lettore, dopo aver lasciato
costui nelle stanze del Capitano di Giustizia, in una condizione tanto prossima
alla berlina, avrà fatto le maraviglie nel vederlo, sedici anni dopo, libero e
sano e più bello di prima, e colle apparenze della ricchezza, e avente un
servitore coi galloni al proprio servizio, e un cavallo da sella per le
passeggiate di diporto. Ma la fortuna e il diavolo, in tutti i tempi, han sempre
dato il braccio a' furfanti.
Ed ora è probabile che il lettore si lamenti dell'aver noi
troncato il processo del nostro eroe. Però, a confortarlo, lo consigliamo a
pensare alla noja che avrebbe dovuto subire se avessimo riprodotto qui tutto
quello che fu scritto dagli attuari e dagli auditori del criminale dopo
l'ultimo tratto di corda dato al costituito lacchè; lo preghiamo a considerare
che, da tanta carta e tanto inchiostro il solo fatto importante che ne risulta,
è che, non essendo sorvenuti nuovi indizj, si dovette desistere dalla tortura
grave; e che dopo sei mesi di indagini, requisizioni, interpellanze, di esami
fatti a gentiluomini, servi, camerieri, ecc., non essendo saltato fuori neppure
un appiglio importante a danno del costituito, esposta in ultimo ogni cosa al
Senato, questo sentenziò che il reo convenuto Andrea Suardi, detto il
Galantino, dovesse rimandarsi in libertà, mancando le prove reali del delitto
ond'era stato imputato.
Il Suardi, appena uscito dalle carceri del Capitano, dal
quale gli furon consegnati i chirografi del denaro che esso aveva depositato
sul banco di San Marco a Venezia, non pensò che ad abboccarsi col signor
Rotigno, agente della casa F...
Dopo la morte del conte, che nel testamento gli ebbe
assegnato un legato di milanesi lire 200 mila, l'ex-agente avea abbandonato la
casa F..., e si era congiunto al suo fratello Rocco per intraprese commerciali.
Ora si venne maturando un fatto pubblico che diede poi un
avviamento speciale e curioso ai fatti privati. In quell'anno medesimo 1750,
anno fatale a quelle persone di cui abbiamo fatto la conoscenza, il generale
Pallavicini, ministro plenipotenziario a Milano, come sa il lettore, abolì i
separati appalti delle regalie del sale, del tabacco, della polvere, ecc., e
formò la così detta Ferma generale, riunendo tutte le suddette regalie in un
sol corpo, ed affidandole ad una società costituita in prima da tre
Bergamaschi, quali erano Antonio Greppi, Giuseppe
Pezzolio e il detto Rocco Rotigno, a' quali in seguito si aggiunsero Giacomo
Mellerio di val Vegezzo, Francesco Antonio Bettinelli, cremonese, ed altri, fra
cui il fratello di Rocco Rotigno.
Premessa questa notizia, e tornando ai nostri personaggi, se
il Galantino, appena uscito di prigione, pensò all'agente di casa F...; questi
non era mai stato un giorno solo senza pensare al detenuto, chiara ragione che
dalle risultanze del processo dipendevano quasi immediatamente le condizioni
della sua vita. Ben è vero che, appena venne in possesso della somma legatagli
dal conte F..., domandò licenza all'erede di ritirarsi dall'amministrazione
della casa, accusando il desiderio di voler ridursi a vivere a Bergamo, presso
il fratello Rocco, che vi teneva commercio di seta; ma in realtà per trovarsi
lontano dal ducato di Milano, di cui fin che gli pendeva sul capo la spada di
Damocle, gli bruciava sotto il terreno.
Ma un dì gli giunse la notizia che il lacchè Suardi era
stato rimesso in libertà per mancanza di prove legali, e per avere, anche sotto
la duplice prova della tortura semplice,
costantemente respinta ogni accusa. Il Rotigno respirò, com'è ben naturale, e
per tal fatto gli si mise una tale bonarietà nel sangue e s'atteggiò a tanta
condiscendenza, che quando il fratello Rocco, che spendeva più di quello che
guadagnava e che trovavasi in qualche disordine commerciale, gli propose
d'entrare secolui in una impresa, che doveva essere lucrosissima, purchè egli
fosse disposto ad esporre alla fortuna la metà almeno de' suoi capitali, egli
vi annuì senz'altro.
Codesta impresa così vantaggiosa era appunto l'accessione
che egli, il Rotigno, come altro de' socj, doveva fare alla Ferma generale del
tabacco, sale e merci, ecc., istituita dal conte Pallavicini. L'anno 1750 era
in sullo scorcio quando i tre fermieri generali Greppi, Pezzolio e Rotigno
vennero a trattare i patti col ministro plenipotenziario. Entrava l'anno 1751
quando i loro nomi furono pubblicati quali assuntori dell'impresa. E in quel
torno appunto il Suardi s'era, dopo sette mesi di detenzione, trovato sotto il
libero cielo.
Questi fermieri, intanto che scadeva il termine imposto
dall'abolizione delle regalie, e prima d'entrare, a così dire, in carica, si
trovarono aver bisogno d'un gran numero d'impiegati, di commessi, di esattori,
ed anche di socj ausiliarj, i quali, congiungendosi ad essi con qualche piccolo
capitale, ricevessero da' fermieri principali un salario congruo e una data
quota sugli utili annui.
Quando si pensa ai miracoli che sa far la fortuna, allorchè
ha fermamente deliberato di prendere alcuno a proteggere, si rimane percossi di
maraviglia vedendo come quegli accidenti stessi che per la maggior parte degli
uomini sono colpi mortali e ostacoli insormontabili, diventino per i suoi
beniamini occasioni di felicissimi avviamenti. E così avvenne del Galantino.
Cercato del signor Rotigno, come sentì ch'esso erasi ritirato a Bergamo, andò
colà, trovollo senza difficoltà, ebbe lunghi abboccamenti seco; e il fine di
questi abboccamenti essendo, per parte del Galantino, quello di riscuotere da
lui il residuo della somma di compenso che gli era stata promessa, il Rotigno
di necessità lo soddisfece, e per soprappiù, importandogli, come se si
trattasse di salvar gli occhi e la vita, di mettere a tacere per sempre
quel serpe velenoso da cui, volere o non volere, egli dipendeva; gli propose
appunto di entrare come esattore a servizio della Ferma generale, investendo in
quella una parte del suo danaro, ond'essere accettato come uno de' soci
secondarj.
Il Suardi, alla cui intelligenza balenò tutta l'importanza
di quella vasta azienda, accolse il partito, siccome suol dirsi, a bocca
baciata, e impiegate nella Ferma lire quindici mila milanesi, entrò in carica
quale altro degli esattori. Essendo uscito innocente persin dalla prova della
tortura, egli non provò rossore nessuno a tornare a fermar stanza a Milano.
D'altra parte, comunque fossero le cose, il pudore era un elemento del tutto
straniero alla natura sua. Venne dunque a Milano, si diede al suo ufficio con alacrità
insolita e con un'attività, quasi diremmo, febbrile. La spinta prepotente
d'ogni suo atto, fin da quando era fanciullo, era sempre
stato l'amore del denaro. Venuto pertanto al posto di esattore, fu tanta la sua
abilità e scaltrezza nel trovar modo di cavar sangue anche dalle rape, che,
mentre riuscì il più pronto e il più efficace degli esattori della Ferma, tanto
da recare a questa vantaggio grandissimo; indirettamente, con astuzie
speculative che a nessun altro sarebbero venute in pensiero, intascava
lautissimamente anche per sè. Col tempo impiegò nella Ferma altre lire
ventimila, dalle quali e dalle altre quindicimila ritraeva il cinquanta, il
cento per cento. Pietro Verri, in una memoria inedita di cui è riferito un
brano dal barone Custodi, parlando dei fermieri, dice che "costoro avevano
poco o nulla al mondo, ma affrontarono arditamente la fortuna. Essi pagavano
alla Camera cinque milioni all'anno e ne ritraevano di netto prodotto sei
milioni e mezzo. Indirettamente poi essi avevano poste tali angarie alla
filanda delle sete, che buona parte della raccolta dei bozzoli del paese cadeva
nelle loro filande, le quali erano sparse nello Stato, e comparivano col nome
di supposti proprietarj." Avvenne pertanto che, non volendo figurare il
Rotigno Rocco quale acquirente di una vastissima filanda di seta, sul confine
del Bergamasco, per le ragioni addotte sopra dal Verri, il Suardi ne fosse
investito apparentemente; ed anche da ciò, alla sua maniera, ritrasse vantaggi
quanti ne volle. Avvenne inoltre che il fratello del Rotigno Rocco venne a
morire nel gennajo dell'anno 1752, la qual cosa produsse altre conseguenze
vantaggiosissime al Suardi: ed eccone la ragione. L'impresario Rocco, che già
era venuto, allorchè attendeva al semplice
commercio delle sete, a tristi termini, per la sua abitudine allo spendere più
delle entrate; fatto fermiere e, in poco tempo, trovando di poter raccogliere
guadagni al di là d'ogni preventivo, erasi dato alla larga vita, al
banchettare, al signoreggiare, senza darsi più un pensiero al mondo del governo
della casa, perchè di ciò era specialmente incaricato il fratello ex-agente,
prudente amministratore. Di modo che pare che un giornale di quel tempo,
intitolato il Corriere Zoppo, alluda a lui in quel numero del mese di dicembre dell'anno
1753, dove è stampato che i fermieri, oltre i gran profitti che traono, pascono
la propria ambizione nel signoreggiare e nel farsi servire alla sovrana da una
truppa di commessi.
Mortogli pertanto il fratello, e datosi a sfoggi, a bagordi,
a giuochi, a scialacqui, e non avendo più mente per governare il fatto proprio,
fece, come suol dirsi, carta bianca al Suardi, di cui quanto le mani fossero
fedeli, il lettore lo sa al pari di noi.
Dal 1752 pertanto al 1754, per parte del signor Rocco
Rotigno, non fu altro che un guadagno continuo e senza misura e uno spendere in
proporzione; e da parte del Suardi, occhio dritto e mano dritta del signor
Rocco, non fu altro che un usufruttare il capogiro del suo principale, tanto da
far entrare in casa propria, senza che nessuno se ne accorgesse, o almeno senza
che se ne accorgesse chi poteva impedire tal fatto, buona parte dei redditi
annuali di colui, a non tener conto de' guadagni legittimi, e non legittimi,
ch'egli, quale esattore e cointeressato, faceva per se stesso. Questa cuccagna
continuò senza interruzione e senza importuni timori sino al mese di agosto del
1754. Ma in questo tempo, il popolo milanese, indignato dalle espilazioni
sistematiche della Ferma generale, fece tale risoluzione e la attuò con tale fermezza
e concordia di volontà, che le casse dei signori fermieri per qualche tempo ne
dovettero sopportare gran danno.
La relazione manoscritta di questo fatto sussiste nella
biblioteca di Brera, e fa parte della raccolta di quel monaco Benvenuti di sant'Ambrogio
ad Nemus, da cui abbiamo tolta la storia di donna Paola Pietra; e su questa
relazione sarebbe stato nostro pensiero di condurre un quadro disegnato e
colorito in modo, che il lettore fosse, come a dire, trasportato in mezzo a
que' fatti. Ma un istancabile scrittore, molti anni sono, avendo pubblicato
gran parte di quella cronaca, non ha lasciato che noi potessimo far cosa nuova.
Però ci limiteremo a riassumere i fatti principali di quella relazione stessa
con quegli intendimenti che non sono in essa e che non si propose chi la diede
in luce; riporteremo poi, sempre riassumendo,
quelle parti della cronaca stessa che il suo editore ha creduto bene di
omettere, ma che al fatto nostro riescono preziose e caratteristiche.
Nell'azione così di un astuto furfante (il Suardi) infaticabile a frodare il
danaro pubblico per la protezione d'improvvide leggi, e nella reazione oculata,
sapiente, ed ugualmente infaticabile di un generoso e vigoroso intelletto (il
Verri) che si propose di difendere la pubblica ricchezza dalla mano rapace di
pochi, vedremo un atteggiamento curioso di quel tempo, e la crisi benefica
operarsi, come in quasi tutti i membri della società d'allora, così anche in
codesta parte della pubblica amministrazione.
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