VI
Molte erano le ragioni per cui il Galantino, descritta che
ebbe quella strana parabola, per la quale, dopo essere nato da un cocchiere
nelle stalle del marchese F..., ed essersi dilettato a frugar nelle saccocce
del suo padrone protettore, e aver mostrato la gamba più veloce tra quelle dei
lacchè di tutto il Ducato, ed aver fatto il ladro commissionario per compensi
non vulgari, e avere indossata a Venezia la serica velada di lustrissimo per
frodare l'altrui al giuoco, e aver subìto la tortura col coraggio onde
quell'antico Romano mise la mano ad ardere nel braciere, e averla subìta e
vinta per uscir dalle mani della legge netto e purgato come un lebbroso da un
bagno di zolfo, era pervenuto ad essere uno degli addetti alla Ferma, a
possedere tre case in Milano, due grandi magazzini di varie merci nei Corpi
Santi, due filande di seta tra Palazzolo e Bergamo, una villa ridente e
voluttuosa tra Gorla e Crescenzago, un'altra villetta in Brianza; a nuotare in
somma nell'oro, a dormire sotto il moschetto di damasco violetto, a portare uno
splendido anellone di lapislazzuli sull'indice ed un altro di diamante dalla
più pura e bianca goccia sul medio, e due orologi d'oro a ripetizione nel
taschino, perchè, come allora voleva il costume, l'uno facesse la controlleria
dell'altro; a calzare gli stivaletti di sommaco filettati d'oro, col fiocco
d'oro e gli speroni d'argento, per caracollare su d'un bellissimo puledro
normanno color isabella, a lunga criniera nera e coda lunghissima che sommoveva
la polvere del corso di via Marina; lungo il quale, tra le file dei carrozzoni
patrizj, faceva leggiadra mostra di sè, mentre le giovani dame gli lanciavan
guardi furtivi, e i mariti bestemmie e dileggi che non trovavan eco nelle mogli
(e qui ci sia permesso tirar il fiato, perchè abbiam fatto un periodo alla
Guicciardini); molte dunque erano le ragioni per cui aveva messo l'occhio sulla
fanciulla Ada, educanda nel monastero di san Filippo. Egli ricordavasi troppo
del dialogo avuto colla contessa Clelia a Venezia, e s'era fitto in capo che le
rivelazioni di essa fossero state la causa della sua cattura. Aveva pertanto
fermato di trarne vendetta, e se questa non gli riuscì la prima volta che l'ebbe
tentata, non vuol dire ch'ei dovesse deporne il pensiero. Ben è vero ch'egli
non era uomo da trascurare i propri affari per un tal fine, e nemmeno di
cercarne affannosamente le occasioni; ma tuttavia avea sempre
pensato che, se un'occasione qualunque gli si fosse presentata spontanea e nei
momenti d'ozio, egli sarebbe sempre stato
disposto a coltivarla. Oltre a ciò, e indipendentemente dai rancori colla
contessa Clelia, egli, sebbene avesse avuto un protettore nel marchese F... e
un compenso in danari non dispregevole dal conte fratello di esso, portava
un'avversione profonda alla casta patrizia, pel semplice
motivo, ma significantissimo, che dai crocchj dei gentiluomini al teatro, al
ridotto, alle case di giuoco, ai pubblici convegni era sempre
stato e veniva sfuggito con disprezzo manifesto, in ispecial modo dal
conte-colonnello. Poco curandosi del resto del conte-colonnello, gli era nato
un desiderio vivissimo, uno di quei desiderj che diventano irrequieti perchè
nascono di puntigli, di regolarsi in modo che, o una qualche dama vedova, delle
primissime famiglie, la quale per combinazione fosse straricca e fosse ancora
giovane e ancora bella, cadesse per avventura nelle sue insidie amorose;
oppure, e per lui era il disegno più conveniente, invece della vedova, venisse
a trovarsi nel laccio una qualche contessina o marchesina giovinetta e
inesperta, e le cose si riducessero al punto che il matrimonio fosse reso
indispensabile.
A tutto questo pensò per lungo tempo, senza tuttavia darvi una
grande importanza, e solo in quei momenti, in cui beveva il caffè dopo il
pranzo, o cavalcava solitario, o stava così sottocoltre alla mattina,
aspettando che il servo gli recasse l'acqua fresca inzuccherata. Se non che il
destin volle che un giorno, sedendo a pranzo in casa d'uno dei capi della
Ferma, tra i varj parlari, il discorso cadesse sulla contessa V... e da uno dei
commensali venissero dette queste precise parole: "a proposito, ho visto
jeri la figliuola di lei, quella che fu messa in San Filippo; oh che bella e
graziosa tosina!... È tutta sua madre, se forse non ha una certa grazietta
inesprimibile, che sua madre non aveva!"
Non ci ricorda in qual battaglia, ma in una delle più
celebri, Napoleone, il quale non vedeva ancora ben chiaro sull'esito di essa, a
un tratto, sentite le relazioni d'un suo ajutante che accorreva sbuffante,
balzò in piedi e gridò: - La vittoria è nostra. - Ora il Suardi non balzò in
piedi e non gridò, ma pensò tra sè: Adesso vedo quel che si ha a fare, - e
fermò un mezzo partito. Così, otto giorni dopo, ossia quando ricorse l'altro
giovedì, giacchè dal commensale amico aveva sentito anche i particolari della
giornata, si trovò in luogo ed in ora opportuna, e vide, anzi guardò la
fanciulla. Gironzando poi là in vicinanza del monastero di San Filippo,
osservata un'ortaglia con casamento, entrò così a caso a dimandare di chi
fosse, e giacchè da qualche tempo andava cercando un vasto luogo in Milano, non
molto distante dal suo studio in Pantano, per deposito di mercanzie, chiese se
il proprietario sarebbe disposto a vender quel luogo. Il proprietario non era
spontaneamente disposto, ma il Suardi esibì di pagarlo qualcosa più del valore,
e alcuni giorni dopo egli ne era diventato il padrone. Quando lo comperò, non
aveva per verità altro fine che di farne un deposito di merci; dell'averlo poi
scelto invece d'un altro non aveva una ragione precisa, quantunque ne avesse
molte d'indeterminate. Ma nell'ora e nel luogo acconcio ei si mostrò alla
fanciulla un altro giovedì; e la fanciulla lo guardò ancora più attenta, ed
egli la ferì d'una di quelle occhiate che, ogni qualvolta in simili contingenze
le ebbe dirette con ferma intenzione, al pari delle frecce di Guglielmo Tell,
non gli erano mai fallite; e sorse un quarto giovedì, e il Suardi si comportò
di maniera che la fanciulla s'accorgesse com'egli uscisse da una casa accosto
al monastero.
Entrava l'estate dell'anno 1766, e quotidianamente cominciò
a recarsi colà, verso le ore in cui le monache e le educande discendevano a
passeggiar per diporto in giardino. Se si dovesse dire che il Galantino, nella
vaga confusione de' suoi disegni, non avesse altro scopo che di soddisfare a'
suoi rancori colla contessa, si direbbe il falso. In realtà, quando vide la
fanciulla, e quando la fanciulla guardò lui, segnatamente alla seconda ed alla
terza volta, egli sentì nel sangue, se non precisamente l'amore, qualcosa certo
di molto affine ad esso, e l'avrebbe sentito e coltivato quando pure non si
trattasse della figlia della contessa.
Al Suardi, il lettore già lo sa, era sempre
piaciuta la bellezza femminile, e, avvenente qual era, nella sua progressiva
trasformazione di lacchè in vagabondo, in fermiere, in negoziante, in ricco
possidente, ebbe tante avventure amorose quante ne volle. S'era poi sempre
mostrato, fin dall'età adolescente, assai propenso a innamorarsi di chi era di
qualche grado superiore alla sua condizione. Ora, siccome le facce del poliedro
umano sono tante, e fu già dimostrato dalle prove e riprove de savj che un uomo
non è mai tutt'affatto cattivo nè tutt'affatto buono, e che anche nel sangue
più guasto, sapendo adoperare, nell'analisi di esso, la virtù degli agenti e
reagenti chimici, si rinviene sempre qualche
dose più o meno abbondante di buon sangue, così il Suardi, nelle contingenze amorose,
recava spesso una gentilezza che, quasi, potea dirsi quella di un gentiluomo
squisito.
Amando le donne, anzi idolatrandole, allorchè s'aveniva in
quel genere di beltà che aveva potenza di su di lui, lasciavasi vincere da
essa, dominare e, quasi diremmo, tramutare. Era forse quella medesima cagione
recondita per cui, fin dalla fanciullezza, avendo sempre
ambito il vestire elegante, avea frugato nelle saccocce del padrone, vinto
dalle tentazioni di parere in faccia alle donne più di quello che era. Qualunque
poi fosse la cagione, serbando esso un abito di gentilezza nel fare all'amore,
trovandosi là solo, all'ora dei miti crepuscoli estivi, su d'un balcone che
rispondeva sul muro di cinta dell'ortaglia del monastero, la quale non
frequentata che dall'ortolano, serviva come d'antemurale al giardino stesso
dove passeggiavano le monache e le educande, ei si deliziava nel sentire le
voci fresche, che l'aria gli portava, delle giovinette convenute là a
sollazzarsi; e si compiaceva nel tentar d'indovinare e distinguere, fra tutte
le altre, la voce della fanciulla che da qualche tempo gli si era piantata
immobile in fantasia. Del resto, per astuto che fosse e ricchissimo di trovati,
egli veniva là tutti i giorni, senza saper ancora perchè, e quasi per aspettar
dalla fortuna il premio dell'insistenza; press'a poco come un astronomo che
tutte le notti appunti il telescopio in qualche plaga sospettata del cielo,
nella fiducia che un astro novello ci cada dentro a dargli il vanto di
scopritore. Ma che volete, o lettori? È tanto vero che la fortuna è l'alleata
più fida del genio del male, che un dì l'astro aspettato brillò veramente agli
occhi del Suardi.
Ed ecco in qual modo. Se il Suardi, scaltrito da lunghissima
esperienza, preoccupato da tanti affari, sacerdote anziano del tempio di Gnido,
col cuore fatto a squama di coccodrillo, per quanto, come dicemmo, lo
spettacolo della bellezza avesse scoperto il suo lato molle e penetrabile,
erasi tuttavia lasciato dominar tanto dal pensiero di quella fanciulla; è
troppo facile imaginare come stesse il cuore e come tumultuasse la fantasia
della quindicenne Ada, appena l'occhio maliardo del bellissimo Suardi la ebbe
penetrata.
Nova in quella nova regione dell'amore, sebbene da lei
presentita in confuso per la misteriosa intuizione del senso precocemente
riscaldato dall'ingegno e dallo studio di un'arte che recava in sè stessa la
seduzione, ella provò tosto quell'intima gioja, mista di compiacenza e persino
d'orgoglio, che non si confonde con nessun'altra gioja al mondo, e quell'irrequietudine
particolare e senza riposo la quale spesso converte l'amore in ciò che può
chiamarsi, già lo dicemmo, il tetano morale. Sapeva che colui abitava, o,
almeno, veniva spesso in un sito contiguo al monastero, chè in questo il Suardi
aveva ottenuto il suo intento. Passeggiando ella dunque nel giardino, cominciò
a dilungarsi dalla giovinetta schiera delle compagne alunne, e ad esplorare
d'ogni intorno per iscoprire se mai le potesse pervenire qualche sentore di
colui. Quando facevasi sommesso o taceva del tutto il cicaleccio delle amiche,
stava, come suol dirsi, in sull'ale, quasi sperasse che quell'insolito silenzio
venisse mai rotto da qualche voce che non fosse quella delle amiche o delle
maestre; allorchè un giorno, pervenuta all'ultimo lembo del giardino, dov'era
come una baracca, la quale serviva di legnaja e di ripostiglio per gli
strumenti rurali dell'ortolano, penetrò in essa come un viaggiatore sempre
in cerca di una terra inesplorata, e s'affacciò così a caso ad una rozza
finestretta con inferriata. S'affacciò e fuggì e cadde a sedere su dei covoni
di paglia, quasi svenuta. Il Suardi era al balcone, e vide quel raggio balenare
di tratto, e svanire come una stella di sant'Elmo.
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