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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO SESTO
    • VI
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VI

Molte erano le ragioni per cui il Galantino, descritta che ebbe quella strana parabola, per la quale, dopo essere nato da un cocchiere nelle stalle del marchese F..., ed essersi dilettato a frugar nelle saccocce del suo padrone protettore, e aver mostrato la gamba più veloce tra quelle dei lacchè di tutto il Ducato, ed aver fatto il ladro commissionario per compensi non vulgari, e avere indossata a Venezia la serica velada di lustrissimo per frodare l'altrui al giuoco, e aver subìto la tortura col coraggio onde quell'antico Romano mise la mano ad ardere nel braciere, e averla subìta e vinta per uscir dalle mani della legge netto e purgato come un lebbroso da un bagno di zolfo, era pervenuto ad essere uno degli addetti alla Ferma, a possedere tre case in Milano, due grandi magazzini di varie merci nei Corpi Santi, due filande di seta tra Palazzolo e Bergamo, una villa ridente e voluttuosa tra Gorla e Crescenzago, un'altra villetta in Brianza; a nuotare in somma nell'oro, a dormire sotto il moschetto di damasco violetto, a portare uno splendido anellone di lapislazzuli sull'indice ed un altro di diamante dalla più pura e bianca goccia sul medio, e due orologi d'oro a ripetizione nel taschino, perchè, come allora voleva il costume, l'uno facesse la controlleria dell'altro; a calzare gli stivaletti di sommaco filettati d'oro, col fiocco d'oro e gli speroni d'argento, per caracollare su d'un bellissimo puledro normanno color isabella, a lunga criniera nera e coda lunghissima che sommoveva la polvere del corso di via Marina; lungo il quale, tra le file dei carrozzoni patrizj, faceva leggiadra mostra di , mentre le giovani dame gli lanciavan guardi furtivi, e i mariti bestemmie e dileggi che non trovavan eco nelle mogli (e qui ci sia permesso tirar il fiato, perchè abbiam fatto un periodo alla Guicciardini); molte dunque erano le ragioni per cui aveva messo l'occhio sulla fanciulla Ada, educanda nel monastero di san Filippo. Egli ricordavasi troppo del dialogo avuto colla contessa Clelia a Venezia, e s'era fitto in capo che le rivelazioni di essa fossero state la causa della sua cattura. Aveva pertanto fermato di trarne vendetta, e se questa non gli riuscì la prima volta che l'ebbe tentata, non vuol dire ch'ei dovesse deporne il pensiero. Ben è vero ch'egli non era uomo da trascurare i propri affari per un tal fine, e nemmeno di cercarne affannosamente le occasioni; ma tuttavia avea sempre pensato che, se un'occasione qualunque gli si fosse presentata spontanea e nei momenti d'ozio, egli sarebbe sempre stato disposto a coltivarla. Oltre a ciò, e indipendentemente dai rancori colla contessa Clelia, egli, sebbene avesse avuto un protettore nel marchese F... e un compenso in danari non dispregevole dal conte fratello di esso, portava un'avversione profonda alla casta patrizia, pel semplice motivo, ma significantissimo, che dai crocchj dei gentiluomini al teatro, al ridotto, alle case di giuoco, ai pubblici convegni era sempre stato e veniva sfuggito con disprezzo manifesto, in ispecial modo dal conte-colonnello. Poco curandosi del resto del conte-colonnello, gli era nato un desiderio vivissimo, uno di quei desiderj che diventano irrequieti perchè nascono di puntigli, di regolarsi in modo che, o una qualche dama vedova, delle primissime famiglie, la quale per combinazione fosse straricca e fosse ancora giovane e ancora bella, cadesse per avventura nelle sue insidie amorose; oppure, e per lui era il disegno più conveniente, invece della vedova, venisse a trovarsi nel laccio una qualche contessina o marchesina giovinetta e inesperta, e le cose si riducessero al punto che il matrimonio fosse reso indispensabile.

A tutto questo pensò per lungo tempo, senza tuttavia darvi una grande importanza, e solo in quei momenti, in cui beveva il caffè dopo il pranzo, o cavalcava solitario, o stava così sottocoltre alla mattina, aspettando che il servo gli recasse l'acqua fresca inzuccherata. Se non che il destin volle che un giorno, sedendo a pranzo in casa d'uno dei capi della Ferma, tra i varj parlari, il discorso cadesse sulla contessa V... e da uno dei commensali venissero dette queste precise parole: "a proposito, ho visto jeri la figliuola di lei, quella che fu messa in San Filippo; oh che bella e graziosa tosina!... È tutta sua madre, se forse non ha una certa grazietta inesprimibile, che sua madre non aveva!"

Non ci ricorda in qual battaglia, ma in una delle più celebri, Napoleone, il quale non vedeva ancora ben chiaro sull'esito di essa, a un tratto, sentite le relazioni d'un suo ajutante che accorreva sbuffante, balzò in piedi e gridò: - La vittoria è nostra. - Ora il Suardi non balzò in piedi e non gridò, ma pensò tra : Adesso vedo quel che si ha a fare, - e fermò un mezzo partito. Così, otto giorni dopo, ossia quando ricorse l'altro giovedì, giacchè dal commensale amico aveva sentito anche i particolari della giornata, si trovò in luogo ed in ora opportuna, e vide, anzi guardò la fanciulla. Gironzando poi in vicinanza del monastero di San Filippo, osservata un'ortaglia con casamento, entrò così a caso a dimandare di chi fosse, e giacchè da qualche tempo andava cercando un vasto luogo in Milano, non molto distante dal suo studio in Pantano, per deposito di mercanzie, chiese se il proprietario sarebbe disposto a vender quel luogo. Il proprietario non era spontaneamente disposto, ma il Suardi esibì di pagarlo qualcosa più del valore, e alcuni giorni dopo egli ne era diventato il padrone. Quando lo comperò, non aveva per verità altro fine che di farne un deposito di merci; dell'averlo poi scelto invece d'un altro non aveva una ragione precisa, quantunque ne avesse molte d'indeterminate. Ma nell'ora e nel luogo acconcio ei si mostrò alla fanciulla un altro giovedì; e la fanciulla lo guardò ancora più attenta, ed egli la ferì d'una di quelle occhiate che, ogni qualvolta in simili contingenze le ebbe dirette con ferma intenzione, al pari delle frecce di Guglielmo Tell, non gli erano mai fallite; e sorse un quarto giovedì, e il Suardi si comportò di maniera che la fanciulla s'accorgesse com'egli uscisse da una casa accosto al monastero.

Entrava l'estate dell'anno 1766, e quotidianamente cominciò a recarsi colà, verso le ore in cui le monache e le educande discendevano a passeggiar per diporto in giardino. Se si dovesse dire che il Galantino, nella vaga confusione de' suoi disegni, non avesse altro scopo che di soddisfare a' suoi rancori colla contessa, si direbbe il falso. In realtà, quando vide la fanciulla, e quando la fanciulla guardò lui, segnatamente alla seconda ed alla terza volta, egli sentì nel sangue, se non precisamente l'amore, qualcosa certo di molto affine ad esso, e l'avrebbe sentito e coltivato quando pure non si trattasse della figlia della contessa.

Al Suardi, il lettore già lo sa, era sempre piaciuta la bellezza femminile, e, avvenente qual era, nella sua progressiva trasformazione di lacchè in vagabondo, in fermiere, in negoziante, in ricco possidente, ebbe tante avventure amorose quante ne volle. S'era poi sempre mostrato, fin dall'età adolescente, assai propenso a innamorarsi di chi era di qualche grado superiore alla sua condizione. Ora, siccome le facce del poliedro umano sono tante, e fu già dimostrato dalle prove e riprove de savj che un uomo non è mai tutt'affatto cattivo tutt'affatto buono, e che anche nel sangue più guasto, sapendo adoperare, nell'analisi di esso, la virtù degli agenti e reagenti chimici, si rinviene sempre qualche dose più o meno abbondante di buon sangue, così il Suardi, nelle contingenze amorose, recava spesso una gentilezza che, quasi, potea dirsi quella di un gentiluomo squisito.

Amando le donne, anzi idolatrandole, allorchè s'aveniva in quel genere di beltà che aveva potenza di su di lui, lasciavasi vincere da essa, dominare e, quasi diremmo, tramutare. Era forse quella medesima cagione recondita per cui, fin dalla fanciullezza, avendo sempre ambito il vestire elegante, avea frugato nelle saccocce del padrone, vinto dalle tentazioni di parere in faccia alle donne più di quello che era. Qualunque poi fosse la cagione, serbando esso un abito di gentilezza nel fare all'amore, trovandosi solo, all'ora dei miti crepuscoli estivi, su d'un balcone che rispondeva sul muro di cinta dell'ortaglia del monastero, la quale non frequentata che dall'ortolano, serviva come d'antemurale al giardino stesso dove passeggiavano le monache e le educande, ei si deliziava nel sentire le voci fresche, che l'aria gli portava, delle giovinette convenute a sollazzarsi; e si compiaceva nel tentar d'indovinare e distinguere, fra tutte le altre, la voce della fanciulla che da qualche tempo gli si era piantata immobile in fantasia. Del resto, per astuto che fosse e ricchissimo di trovati, egli veniva tutti i giorni, senza saper ancora perchè, e quasi per aspettar dalla fortuna il premio dell'insistenza; press'a poco come un astronomo che tutte le notti appunti il telescopio in qualche plaga sospettata del cielo, nella fiducia che un astro novello ci cada dentro a dargli il vanto di scopritore. Ma che volete, o lettori? È tanto vero che la fortuna è l'alleata più fida del genio del male, che un l'astro aspettato brillò veramente agli occhi del Suardi.

Ed ecco in qual modo. Se il Suardi, scaltrito da lunghissima esperienza, preoccupato da tanti affari, sacerdote anziano del tempio di Gnido, col cuore fatto a squama di coccodrillo, per quanto, come dicemmo, lo spettacolo della bellezza avesse scoperto il suo lato molle e penetrabile, erasi tuttavia lasciato dominar tanto dal pensiero di quella fanciulla; è troppo facile imaginare come stesse il cuore e come tumultuasse la fantasia della quindicenne Ada, appena l'occhio maliardo del bellissimo Suardi la ebbe penetrata.

Nova in quella nova regione dell'amore, sebbene da lei presentita in confuso per la misteriosa intuizione del senso precocemente riscaldato dall'ingegno e dallo studio di un'arte che recava in stessa la seduzione, ella provò tosto quell'intima gioja, mista di compiacenza e persino d'orgoglio, che non si confonde con nessun'altra gioja al mondo, e quell'irrequietudine particolare e senza riposo la quale spesso converte l'amore in ciò che può chiamarsi, già lo dicemmo, il tetano morale. Sapeva che colui abitava, o, almeno, veniva spesso in un sito contiguo al monastero, chè in questo il Suardi aveva ottenuto il suo intento. Passeggiando ella dunque nel giardino, cominciò a dilungarsi dalla giovinetta schiera delle compagne alunne, e ad esplorare d'ogni intorno per iscoprire se mai le potesse pervenire qualche sentore di colui. Quando facevasi sommesso o taceva del tutto il cicaleccio delle amiche, stava, come suol dirsi, in sull'ale, quasi sperasse che quell'insolito silenzio venisse mai rotto da qualche voce che non fosse quella delle amiche o delle maestre; allorchè un giorno, pervenuta all'ultimo lembo del giardino, dov'era come una baracca, la quale serviva di legnaja e di ripostiglio per gli strumenti rurali dell'ortolano, penetrò in essa come un viaggiatore sempre in cerca di una terra inesplorata, e s'affacciò così a caso ad una rozza finestretta con inferriata. S'affacciò e fuggì e cadde a sedere su dei covoni di paglia, quasi svenuta. Il Suardi era al balcone, e vide quel raggio balenare di tratto, e svanire come una stella di sant'Elmo.

 

 




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