II
Questo Guglielmo lord Crall lo abbiam già veduto adolescente
di dieci in undici anni a tradurre, in compagnia del suo minor fratello, una
satira d'Orazio, essendone istitutore-ripetitore il giovane abate Parini.
Ora devesi sapere che il marito di donna Paola lasciò
morendo una ricca facoltà ai due figli; che mancato a Londra nel 1762 un
fratello di esso, accrebbe di tanto gli averi dei due suoi nipoti, che questi
potevano stare a fare coi più ricchi di Milano; che il minore di loro, due anni
prima del tempo a cui ci troviamo, si recò a Londra per compiacere alla
tendenza che sentiva in sè irresistibile per i viaggi e la vita avventurosa; e
che il maggiore prescelse di starsi invece con sua madre a Milano, tutto
infervorato com'era di lettere e poesia e speculazioni filosofiche. Di questo
Guglielmo lord Crall abbiamo anzi sott'occhio un volumetto, stampato del
Galeazzi, di poesie latine (Carmina Latina - Domini Gulielmi Cralii - E Londino
oriundi - Mediolani, typ. Jos. Galeatii 1765), poesie tibulliane assai più che
oraziane, sebbene di mestissima vena, e qua e là soffuse di una mistica nebbia
che non poteva appartenere al genio di nessun poeta pagano e latino. Ma de'
suoi versi tibulliani modificati dallo spleen inglese, il quale dal sangue del
padre era passato nel suo, parleremo in altra circostanza. Per ora ne basti
sapere che, mentre egli attendeva alla stampa de' proprj versi, s'innamorò,
come può innamorarsi un italiano moltiplicato per un inglese, di una fanciulla,
la quale, e chi non l'ha indovinata prima? era appunto la crescente Ada.
Vi sono persone, per lo più femminili, qualche volta
maschili, le quali, trovandosi giovani in presenza di giovani dell'altro sesso,
non possono nè muoversi nè respirare nè guardare senza nuocere all'altrui buon
umore, ossia senza destare qualche furente passione, la quale poi, allorquando
non è corrisposta, finisce per essere incomodissima e molesta, e qualche volta
persino pericolosa a chi l'ha innocentemente provocata. Egli è perciò che sono
talora degni d'invidia quelli che dalla natura fisica non ricevettero
tutt'intero nè perfetto il loro appannaggio, ed ebbero qualche occhio di meno,
o qualche protuberanza di più, e dalla rachitide e dalla scrofola furono
preparati in modo da servire di controstimolo a chi è nato per amare. Costoro
almeno, se hanno il diritto di lagnarsi di molte cose, non hanno a subire la
sorte di esser vittima dell'altrui simpatia!
Tornando ora al giovane Guglielmo e alla fanciulla Ada, la
disgrazia fu che egli stette assente da Milano, per essere stato alle più
celebri università d'Italia, una mezza dozzina di anni; e che non potè
assistere al graduato sviluppo della fanciulla; bensì, lasciatala ragazzetta,
la rivide adolescente, anzi con tutti i prestigi d'un'adulta. Noi non
pretendiamo che sia un rimedio sicuro per non innamorarsi di una fanciulla,
l'averla vista a nascere, a crescere, a piangere colle lagrime dell'infanzia.
Gli uomini non vedono all'ultimo che il frutto maturo, e non rinunciano a
mangiarlo per averlo visto acerbo. Tuttavia, qualche volta, giovò questa
circostanza a serbare illesi de' giovani maturi dai tormentosi affetti per
fanciulle adolescenti, e forse avrebbe giovato anche al giovane Guglielmo. Ma
per fatalità quando ei ritornò, a ventisei anni, vide Ada che ne aveva
quattordici, con tutti gli attributi esterni dei quindici e quasi anche dei
sedici anni. Allorchè la vide, e fu appunto un giovedì di vacanza, la prima di
lui sensazione fu di rimanere abbagliato e scosso; la seconda, di non credere
che fosse quella stessa Ada che l'avea spesso frastornato co' suoi trastulli
infantili. Se non che, passando il tempo, e vedendola altre volte, e sentendola
parlare con garbo assai, e ascoltandola cantare e suonare, con quella voce di
mezzo contralto velata di voluttà, con quelle mani bianche, lunghe, sottili,
intellettuali, se può passar la parola, l'incanto cessò di esser passeggiero.
Per di più, movendo ella gli occhi con una espressione di guardatura
tenerissima, egli si confidò d'interpretare quell'espressione a proprio
vantaggio ogni qualvolta i lenti e grandi occhi di Ada riposavano inconscj su
di lui. Ma non bisogna fidarsi dei begli occhi delle belle, chè il loro linguaggio
somiglia molto a quello della musica, la quale possiede un linguaggio
universale che può dir tutto e può dir nulla, e guai se le parole del libretto
non vengono in soccorso delle note. Però, cari i miei giovinotti, che cantate
vittoria perchè un'occhiata v'ha lusingato, vogliate credere a chi ha più
esperienza di voi: Non vi fidate. E a buoni conti, per la vostra tranquillità,
fate venire in soccorso degli occhi una esplicita dichiarazione, la quale, se
sarà scritta e in carta bollata, meglio.
Ma se oggi possiamo venire in aiuto de' nostri giovani
amici, ci stringe il cuore di non aver potuto aiutare il cogitabondo Guglielmo
lord Crall, il quale prestò una fede così illimitata agli occhi di Ada, che ne
rimase ferito incurabilmente; gli occhi di Ada, i quali erano ben lontani dal
credere di doversi compromettere adempiendo alla necessità del loro ufficio.
Ned egli confidò a nessuno il suo segreto; onde la passione tanto più fremeva
quanto più era compressa di dentro. Nè mai pensò di farne motto alla fanciulla.
Le pareva di troppo acerba. E quando pure avess'egli saputo passar sopra a tal
fatto, lo faceva ritroso la condizione di educanda in cui Ada trovavasi ancora.
Ma il suo silenzio se valse con tutti non valse con donna Paola. Gli occhi
delle madri, quando trattasi di figli amatissimi, comprendono cose che nessun
occhio acuto non potrebbe mai decifrare. Ma ella pure, dal canto suo, non solo
non ne fece motto al figlio, ma dissimulò profondamente d'essersene accorta.
Ella non poteva veder di buon occhio quest'affetto, e si crucciò
amarissimamente appena ne ebbe sentore. Le parea come di farsi rea di lesa
delicatezza, soltanto a pensare alla possibilità che, ritornando a Milano la
contessa Clelia, la quale con sì fiducioso abbandono le avea lasciata la cura
della figlia, trovasse poi nella casa medesima di donna Paola già adulto un
amore tra la propria figliuola e il figlio di lei. Perciò taceva e sperava, e
quando la nobil donna conservatrice del monastero di San Filippo, le parlò
dell'indole troppo vivace e risentita dell'educanda Ada, e le propose di
ritirarla dal collegio, ella amò di lasciar cadere quel discorso, perchè tutto
avrebbe voluto anzichè tenersi in casa quell'occasione di contrattempi e di
sciagure possibili.
A tal punto eran dunque le cose, quando Ada alle tentatrici
parole del Suardi ebbe risposto più col suono della voce che con altre parole.
Ma il dramma sollecitava il suo gran colpo di scena.
Tutti i giorni, essendo entrata l'estate, il giovane Crall
soleva recarsi in sul tramontare della giornata in casa della marchesa
Serbelloni-Ottoboni, dov'era il convegno di tutti i begli spiriti della città
di Milano. Il dì stesso in cui il Suardi, per ingiunzione dei capi della Ferma,
e per decreto della magistratura, e con permesso della sacra congregazione,
trattandosi di luogo eccezionale, aveva stabilito di mandare la solita
sgherraglia a perquisire il monastero di San Filippo Neri; quel dì stesso lord
Crall non credette di rompere le sue abitudini e si recò in casa Ottoboni. Era
l'ora in cui cominciava, a dir così, la processione delle carrozze patrizie
dirette al corso di via Marina; e dal terrazzo di casa Ottoboni vedendosi le
carrozze che di tanto in tanto si soffermavano, e i cavalcatori eleganti che
facevano pompa di sè e dei preziosi puledri, e i passeggieri pedestri, si
traeva partito da questa congiuntura per passare quelle ore che precedevan la
cena, dimezzando così il tempo tra la conversazione in sala e lo spettacolo del
pubblico che moveva a diporto.
In quel giorno, tra gli altri, v'era là l'abate Parini,
v'era Pietro Verri, v'era il suo intrinsicissimo Padre Paolo Frisi, v'era
Cesare Beccaria, il segretario Cesare Larghi, v'era la sorella di Gaetana
Agnese, la non meno rinomata, almeno allora, Maria Agnese, la sola compositrice
di musica drammatica ricca di fantasia e di dottrina che vanti ancora la storia
dell'arte; v'era quel maestro Galmini destinato a fare il quarto con Adamo,
Matusalem e Noè; chè di quel tempo aveva settantanove anni, e tenne dalla
natura un piloro di bronzo così poderosamente costrutto, che per morire dovette
aspettare altri cinquantanove anni ancora, essendo morto nel 1825 di
centotrentotto anni, e avendo così potuto abbracciare in un amplesso quasi
tutta la scala ascendente delle vicende progressive dell'arte sua, dal
rivoluzionario Monteverde al rivoluzionario Rossini. V'era il pittor Londonio,
il tormento dei preti, dei frati, dei vecchi, di tutti, e che, per farlo stare
alquanto in riga a quella conversazione quotidiana, non ci voleva che la
graziosa dignità della marchesa padrona, e l'occhio fulminante dell'austero
Parini. Era quella insomma una bella e buona compagnia, e non sapremmo se oggi
se ne potrebbe mettere insieme una migliore.
Il Parini aveva allora trentasette anni, e quantunque, per
mangiare, dovesse ancora arrabbattarsi a dar lezione, chè assai poco gli
fruttava l'avere avuto dal conte Firmian l'incumbenza di stendere la Gazzetta
Ufficiale di Milano, pure era già la figura più gloriosa della città. Erano
usciti il Mattino e il Mezzogiorno; e risuonava delle sue lodi tutta Italia, ed
avea già ottenuto di frenare il mal gusto che aveva straripato a furia per un
secolo e mezzo; di ricondurre l'arte alle sue limpide e severe sorgenti, e di
farsi odiare da una mezza dozzina di nobilissimi milanesi, che ebbero
l'orgoglio di voler vedere sè stessi nell'ideale dipinto dell'immortale
poemetto; tra' quali spiccava quel conte Alberico F..., con cui ci troveremo;
il qual conte Alberico volle disputare al principe B... il vanto di aver
tentato di consacrare ad una vindice bastonatura le povere spalle dell'abate
scellerato.
Ma l'abate impaziente, irrequieto e versatile, passava così
zoppicando da un crocchio all'altro, parlando di musica colla bella Agnese, e
digredendo, a proposito della mano di lei che scorreva sui tasti di un
gravicembalo, sulle qualità indispensabili, costitutive d'una bella mano; e
contraddicendo Londonio che voleva sfoggiare la sua dottrina in ciò, e
contraddicendolo con apparenza di violentissima enfasi, per finir tutto in
celia e lasciar scornato l'avversario comico, il quale, quell'unica volta, avea
parlato sul serio; chè era codesto un modo caratteristico del conversare di
Parini, come ci vien riferito anche dal suo scolaro e biografo Reina. E dalla
musica e dall'estetica delle mani egli passava a parlare col Larghi, schizzando
spirito e bile in qualche fuggitiva questione di letteratura e poesia; anche
qui alzando la sonora sua voce a far tacere quanti parlavano nella sala, i
quali, sebbene conoscessero quella sua abitudine bizzarra, si mettevano in
grave apprensione, non fosse mai per impegnarsi qualche lotta violenta e
scandalosa. Soltanto tra Parini e Pietro Verri i ragionari correvano in un modo
speciale. Quel venerabile vecchio Bruni, che abbiam conosciuto a Pusiano, e che
fu per noi il libro parlante che più ci istruì intorno a buona parte delle cose
già descritte, ci disse più volte, parlando di Parini e Verri coi quali e tra'
quali si trovò sovente, ch'eglino si stimavano assai vicendevolmente, ma si
temevano forse più di quello che si amassero, e che però ei sarebbe stato
disposto a credere, frugando in fondo a' penetrali della coscienza di ambidue,
che qualche spruzzo di celata antipatia avesse leggermente inacidito il loro
sangue. Parini primeggiava, e, avea il diritto di primeggiare. Verri voleva
primeggiare, e ne avea il diritto. Era dunque invidia, era gelosia?... chi lo
sa?... Ma anche gli uomini più intemerati e santi sono uomini; e non ponno
frugar ne' cuori de' benemeriti mortali se non gli acuti contemporanei che
hanno potuto leggere attentamente ne' loro occhi. Or mentre Parini tuonava, il
conte Verri era impegnato in un discorso colla marchesa Ottoboni, alla quale
proponeva, essendo essa letteratissima, di tradurre il teatro francese
applaudito, e segnatamente le ottime commedie di Molière, per tentare in tal
guisa di purgare anche il teatro comico a Milano dalle scipite laidezze ond'era
contaminato, chiamando così il Verri in ajuto delle sue idee innovatrici
l'opera altrui; applicando la sua immensa attività a infondere vita nuova a
tutto quello che invocava una riforma nella sua patria, e amando che fosse
applicato a sè quel passo di Sofocle:
Per me, per voi, per tutta
La città mi travaglio ......
In altra parte poi, Cesare Beccaria, seduto solo, anzi
sdrajato su d'un canapè, già annojato del peso della sua precoce corpulenza e
della gloria che non aveva cercato, dissimulava, sotto l'aspetto d'una
indolenza invincibile, l'attività prodigiosa ma intermittente di uno spirito
che conflagrava a sbalzi, e prorompeva poi come la lava; e, inerte, pareva non
avesse nè pensieri nè volontà di pensare, e non badasse a nessuno dei discorsi
che si facevano intorno a lui; chè girava vagamente la semichiusa
pupilla di cosa in cosa, come uno che abbia piuttosto volontà di dormire che
d'operare; ma in realtà ascoltando tutto, e avvicinando le idee estreme che
tumultuavano in quella sala nel cicaleccio di tante persone, e di ciascuna idea
che gli paresse non rigettabile facendo base alla feconda generazione di tutte
le idee conseguenti, colla prontezza d'una facoltà induttiva prodigiosa.
Ora nel punto che codesto quadro animato si moveva in sala,
sul terrazzone agitavasi un altro quadro animato, più attraente di quello che
stava in sala, essendo costituito di belle e giovani gentildonne.
I discorsi che volavano all'aria dalle lor bocche leggiadre
non assomigliavano a quelli che facevansi al di dentro. Non un tèma
industriale, non un tèma scientifico, non uno di belle arti, nemmeno di musica;
se pure alle arti non si volessero ascrivere i bei giovinotti attillatissimi
che passavano a cavallo per di là. Tenendo dunque dietro quelle care donne ai
cari giovani, d'improvviso chi stava in sala sentì esclamare da mezza dozzina
di bocche: Guarda, guarda - guardate il Galantino. E tutti, meno il Beccaria,
che non avrebbe lasciato il molle canapè per tutto l'oro del mondo, si fecero
al terrazzo, ai balconi, alle finestre, tanto quel Galantino era diventato un
oggetto di moda, un capo d'arbitrio, come suol dirsi; tanto era esso presente
alla memoria di tutti, poichè l'eccesso della sua famigerata ribalderia, quasi
redenta da una smodata fortuna, la quale pareva si dilettasse a camminar
sfacciatamente sul collo alla virtù; e l'origine abbiettissima di lui, come
veniva giudicata dalla casta patrizia preponderante e trionfante in quel
secolo, dissimulata dalla più bella faccia di giovine che mai abbia adornato
corpo di duca o di marchese, e dalle più belle gambe che mai abbiano fatto
risaltar forme greche e guizzar muscoli gladiatorj sotto a maglie di seta bianca,
producevano un tale imbroglio e generavano una confusione nelle teste di quelle
giovani dame, le quali cavavano pure il fazzoletto canforato se mai bottegajo o
bracciante lor passasse d'accosto, che a vantaggio del Galantino avrebbero
rinnovate le sommosse cruente di Roma antica per mettere la plebe sulla testa
dei patrizi.
Il nostro vecchio amico Bruni, che conobbe il Galantino e lo
vide più volte in Milano tanto a cavallo che a piedi, un dì, mentre stava
raccontandoci i suoi fasti più celebri, ci fece il suo fisico ritratto senza
trascurare la ricchezza degli accessorj. "Io non mi ricordo - riportiamo
le precise parole del Bruni - d'aver mai veduto più bell'uomo vestito più
sfarzosamente; e quando esso cavalcava per la città, preceduto da un servo
gallonato, il suo nobile aspetto, lo sfarzo de' suoi abiti, la ragazzaglia che
spesso gli traeva dietro, tutto questo, ad un forastiero che lo avesse visto la
prima volta senza conoscerlo, potea facilmente darlo a credere pel governatore
della città o per qualche altro distinto personaggio. Eppure era quello che
era, e mio padre, col quale mi trovavo a Milano nel '66, mi disse d'averlo
veduto più volte aiutare il mozzo di stalla dell'albergo dei Tre Re ad
attaccare i cavalli alle vetture".
Venendo ora al fatto nostro, la comparsa del Galantino sotto
i balconi di casa Ottoboni-Serbelloni diede una repentina diversione a tutti i
discorsi che si facevano dalle persone là convenute, associandole tutte in una
discussione sola. Pochi momenti prima era entrato in sala lord Crall. Il fasto
del Suardi fece mettere sul tappeto l'editto del '66. Parlò il Verri, parlò il
Parini, parlò Beccaria, parlò il giovane Guglielmo. E il dibattimento fu tale,
che merita la pena che noi lo riproduciamo, tanto più che la conseguenza di esso
fu una pericolosa risoluzione presa dal figlio di donna Paola, risoluzione che
aggruppò, facendolo più serio, il dramma.
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