V
Il giovane Crall, uscito dal Palazzo Ottoboni-Serbelloni,
fece la via con quell'affannosa sollecitudine di chi non ha altro timore che
d'arrivar tardi. Passando a volo tra gente e gente, venuto alla corsia de'
Servi, svoltò a sinistra nella contrada de' Pattari, passò per piazza Fontana,
venne in contrada Larga, attraversò la contrada Velasca e, riuscito a Porta
Romana, piegò a destra, e svoltò infilando la viottola di san Vittorello,
giunto alla metà della quale entrò in una porta larga e tozza, quella porta
medesima su cui oggi si legge - Vettura per città e per campagna. Attraversato
il cortile, si fermò davanti ad un ingresso chiuso da due imposte, nella destra
delle quali era infisso un pendulo martello a serpente. Diede due gran colpi,
l'uno vicinissimo all'altro, poi attese alquanti secondi, e diede un terzo
colpo più deciso e più sonoro dei due primi. Allora le imposte si spalancarono,
come se un nascosto congegno le avesse fatte girare, e com'egli fu entrato,
quelle si chiusero dietro lui. Il luogo dove lord Crall avea inoltrato il piede,
era un'aula vasta; tre lampade pendevano dalla vôlta. Questa e le pareti eran
tutte tappezzate di drappo nero; scheletri interi e frammenti di scheletri
umani, costati, braccia, stinchi, teschi erano appesi intorno intorno come
trofei. Una gran tavola coperta di panno nero era ad un'estremità dell'aula.
Assiso innanzi ad essa stava un vecchio, d'aspetto grave, con due altri seduti
alla destra ed alla sinistra di lui. Sulla tavola, davanti all'uomo seduto nel
mezzo, era un teschio, uno squadro, una cazzuola ed altri ordigni. Dietro a
lui, molto in alto, pendeva dalla parete un quadro che rappresentava i ruderi
di un gran tempio, sulle due colonne anteriori del quale si leggevano queste
parole: - Iachin e Booz. - Sotto ad esso era un tripode, e sul tripode una
lampada funeraria, da cui guizzava una gran fiamma verde-azzurra che
rischiarava misteriosamente quel quadro e tutta l'aula e le faccie dei tre che
stavano innanzi alla tavola, e le trenta o quaranta faccie degli altri, seduti
in ampio cerchio rimpetto ai tre. Quando il giovane Crall fu entrato, pronunciò
le stesse parole che si leggevano sul quadro - Iachin e Booz, - e tutti si
alzarono, ed egli prese posto tra gli altri. Ma ora, perchè il lettore non
sospetti che lo si voglia divertire colle fantasmagorie della lanterna magica,
sappia che era quella un'adunanza di uomini appartenenti a quella società
segreta, i cui fasti, giusta la credenza di alcuni dei suoi più fanatici
seguaci, si sprofondavano nella più remota antichità, società che si vantava discendente
persin dai vetusti Bramini, dai Ginnosofisti, dai Druidi remoti; che credeva
procedere dai misteri eleusini; che venerava qual suo gran maestro capostipite
l'architetto Hiram, il costruttore del tempio di Salomone; ed ecco perchè sulle
due colonne superstiti del portico del tempio distrutto, cui figurava il quadro
che abbiam descritto, vedevansi le parole Iachin e Booz, le quali vennero fatte
scolpire da Hiram sul tempio di Gerusalemme, per accennare alle idee della
edificazione e della forza. Mentre però quella società gloriavasi d'una nobiltà
tanto antica, che all'uopo non bastandole di fermarsi ad Hiram, risaliva a
trovar le sue origini fin nella torre di Babele, compiacevasi pure di procedere
da più umile ma più prossimo e più sicuro stipite; chè dopo il secolo VIII e
nei secoli XII e XIII, nell'occasione segnatamente che fu innalzato il tempio
di Strasburgo, fu dessa rappresentata e diffusa vastissimamente da quella
confraternita di capimastri e muratori che lavorarono ai più cospicui edificj di
tutte le parti d'Europa, e impressero dappertutto con opera continua ed
uniforme, quello stile d'architettura che, falsamente detto lombardo in Italia
e falsamente gotico in Francia, non fu altro che il neogreco, il quale,
abbandonato il Partenone, si era appreso al tempio cristiano. Se non che il
fatto dell'architettura murale s'era convertito in simbolo dell'idea di civiltà
e di progresso; epperò tutt'Europa avea brulicato di tante figliazioni di
quella società, quanti erano uomini invaniti della persuasione di poter essere
illuminatori del loro secolo.
Una tale società che, senza essersi mai spenta del tutto,
ebbe però de' periodi del più inerte languore, si ridestò tutt'a un tratto
verso la metà del secolo passato in Inghilterra prima, poi in Francia, e colla
più rapida moltiplicazione poi in Italia. Nel 1732 avea stabilita una loggia a
Roma. Nel 1747 ne piantò una a Milano (si chiamavano logge i luoghi delle sue
adunanze). Nel 1766 ella viveva ancora ed avea residenza appunto nella contrada
di san Vittorello. L'autorità conosceva l'esistenza sua, ma non ne pigliava
gran fastidio perchè da essa non era mai derivato danno di sorta; d'altra parte
sapeva che la moltitudine, alla quale era pur nota l'esistenza di lei, la
derideva manifestamente, e perchè non avea mai veduto procedere da essa atto
veruno che, in poco o in tanto, influisse sul bene pubblico; e perchè sapeva
come quelle serali e notturne conventicole si sciogliessero spesso in pranzi
lauti e cene prolungate. Comunque del resto fosse di ciò, nel tempo a cui ci
troviamo colla nostra storia, quella società, ingrossata di fresca schiera e
sollecitata da qualche spirito fervoroso, avea preso un avviamento un po' più
determinato e serio. A noi non consta che il Verri v'appartenesse. Il suo
ingegno acuto e pratico e consistente gli avrà fatto riconoscere e deridere
l'inutilità di tali riunioni. Ma vi appartenevano molti suoi amici, e di quelli
ch'egli stimava e che stimavano lui, tra' quali il giovane Crall, ch'era il più
caldo di tutti.
Questi, domandata ed ottenuta la parola dal gran maestro
presidente, così parlò a quell'adunanza:
- Venerabile maestro del grand'Oriente, maestri fratelli,
compagni ed iniziati, la causa che qui m'ha oggi mandato è della più alta
importanza, ed ha bisogno della vostra forte e pronta cooperazione. Nelle
ultime adunanze, a voti unanimi, fu determinato che la nostra loggia sarebbe
d'ora innanzi intervenuta immediatamente a soccorrere il prossimo in pericolo,
non soltanto coll'opera del pensiero, ma anche con quella della mano, esponendo
al bisogno anche la vita, quando l'occasione fosse stata grande ed urgente.
Venerabili fratelli, quest'occasione è venuta! Tutte le case, tutti i ceti,
tutte le confraternite, tutti i corpi sacri e morali della città di Milano sono
da più giorni esposti alle violenti soperchierie, ed alla rabida fame de'
fermieri. Sono esposti eziandio agli arbitrj, ai capricci, alle voglie talvolta
oscene degli sgherri della Ferma. Finora vennero risparmiati gli asili delle
sacre vergini, dove si raccolgono per educazione le fanciulle delle più
distinte famiglie della città. Ma oggi per la prima volta si penetrò in essi.
Il monastero di San Filippo Neri fu, momenti sono, invaso dalla sbirraglia de'
fermieri, sotto pretesto che vi sia nascosta mercanzia di contrabbando.
Propongo adunque che quanti siamo qui tra i più giovani e i più avvezzi
all'arme, usciam tosto per recarci colà a respingere la violenza colla forza. È
necessario un esempio, è necessario che
qualche vita si sacrifichi alla giustizia, è necessario che qualche fatto
enorme scuota dal colpevole letargo coloro che pur tengono il mandato del
pubblico bene, ma che, impinguati dalle volpi, chiudono gli occhi e lasciano
fare. Quelli che sono del mio avviso, permettendolo il maestro venerabile, si
alzino dunque e mi seguano.
A queste parole così determinate, proferite con voce sonora
e con accento caldissimo, successe un bisbiglio fra quanti erano là radunati
nell'aula. Il maestro venerabile, con placido discorso, tentò dissuadere il
fratello Crall da quell'impresa arrischiata; il maestro oratore venne in
soccorso del venerabile, così pure il maestro tesoriere e il segretario, tutte
persone che probabilmente non volevano compromettere i pranzi e le cene future
con qualche passo arrischiato.
- Ma a che, gridò allora il giovane Crall, abbiamo
pronunciato con tanta solennità il giuramento dell'ordine? Dimmi tu, e qui si
rivolse ad un giovane vicino, dimmi tu che l'altro giorno non eri che un
lupicino venuto a cercar qui la luce (si chiamavan lupicini i candidati prima
di essere ricevuti in quella società), dimmi ora dunque: che cosa hai giurato
quando fosti trovato degno di essere ammesso fra gli adepti? Parla, che cosa
hai giurato su questa spada?
- D'amare i miei fratelli, e soccorrerli a norma delle mie
facoltà.
- E a che hai acconsentito quando mai tu non sapessi
mantenere il giuramento?
- Che mi sia troncato il capo, strappato il cuore,
abbruciato il corpo e gettate le ceneri al vento.
- E perchè dunque una così atroce sentenza?... soltanto forse
per togliere la possibilità che qualcuno di noi manchi al convegno, quando si
tratta di sedere a mensa per divorare con formidabili ganasce le più saporite
imbandigioni? È forse ai cuochi soltanto o ai vinattieri che abbiam giurato di
esser utili? e per così poco mettere a repentaglio e testa e cuori e ceneri?
Suvvia, dunque, che si fa?
Al venerabile mancò la parola, tacquero l'oratore e il
tesoriere. Una dozzina di giovinotti si alzarono, sfoderando le spade e
gridando: Noi siam tutti pronti, se lo permette il venerabile. Questi crollò il
capo, e disse: Andate, che la fortuna vi salvi, ma ricordatevi del segreto.
L'adunanza si sciolse, e ne uscirono una decina di giovani armati di spada e di
proposito deliberato.
Or lasciamo che costoro s'avviino verso il monastero di San
Filippo, prontissimi a cavar dal fodero di pelle bianca inverniciata la spada
non ancor molto cruenta, e in procinto di produrre un tal disordine, da far
strillare di spavento la madre badessa, le monache e le educande e da costringere
le leggi tapine a dar la testa nelle muraglie per la novità del caso. In questo
frattempo noi dobbiamo recarci altrove ad assistere a un dialogo tra il
Galantino ed un personaggio che comparirà per la prima volta in iscena, ma che
fu da noi tante volte nominato, e che, a tutto rigore, potrebbe reputarsi il
primo personaggio del dramma, o per lo meno il personaggio indispensabile;
perchè se costui non fosse nato, non sarebbe avvenuto nulla affatto di tutto
quanto abbiamo raccontato e racconteremo. Egli è il figlio della Baroggi, il
pupillo patrocinato indarno dal galantuomo Agudio. Noi l'abbiamo nominato più
volte quand'esso non aveva che cinque anni, ed ora che dobbiamo conoscerlo di
presenza ha compiuti gli anni ventuno, ed è sotto-tenente nelle guardie di
confine della Ferma generale; carica che press'a poco ora corrisponderebbe a
quella di sergente nelle guardie di finanza. Ma in che modo questo
disgraziatissimo giovane, che pure fu a due dita di essere uno tra i pochissimi
benedetti dalla fortuna e dalla ricchezza, passò i sedici anni dal 1750 al
1766? in che modo il Galantino, per le sue buone ragioni, andò a soccorrere la
povertà infelicissima della madre di lui e ad offrire al figliuolo un posto tra
le guardie della Ferma? a che cosa or lo vuole adoperare, per usufruttuare il
beneficio, nel colpo che sta per tentare? che effetto sarà per fare in convento
la comparsa d'una dozzina di giovani guardie della Ferma, protette dalla legge,
prepotenti e viziate? che sarà per nascere dal parapiglia guerresco tra i
compagni della loggia di san Vittorello capitanati da lord Crall, e che
stranissimo qui pro quo potrà generarsi da tutta questa arruffatissima matassa?
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