VI
Intanto, prima di assistere al dialogo tra il Galantino e il
figlio della Baroggi, e a sapere in che modo incominci la relazione tra l'uno e
l'altro ed inoltre com'erano riuscite infruttuose le cure del prevosto di san
Nazaro e dell'avvocato Agudio per far constare la paternità del defunto
marchese F... a favore del fanciullo stato battezzato nella parrocchia di san
Nazaro sotto il nome della madre; così avendo voluto il marchese stesso, previa
una dichiarazione orale fatta dal medesimo al prevosto, colla quale avea
promesso di volere a tempo migliore dargli il proprio nome. È a sapere altresì
come la testimonianza solitaria del prete non avea avuto nessun peso in
giudizio, perchè la consuetudine voleva che insieme col parroco testimoniasse
anche il padrino il quale mancò; e nemmeno ebbe valore la testimonianza del
notajo Macchi, quello ch'era stato chiamato a stendere il testamento nel quale
veniva istituito erede il figlio della Baroggi, pur nominato qual figlio dal
marchese testatore, ed assunto al diritto e all'obbligo di portarne la
parentela; e tutto questo ad onta del patrocinio dell'avvocato Agudio, che
invano aveva adoperato tutta la sua sapienza e sagacia legale per far che
quelle due testimonianze avessero valore a provare la paternità che si negava
dagli avversarj. Ma gli avversarj erano riusciti a convincere i giudici, o
almeno i giudici avevano avuto il loro interesse a lasciarsi convincere, come
quelle testimonianze dovessero valutarsi separatamente e al cospetto di due
circostanze diverse e che però, prese isolatamente, non dovevano e non potevano
avere nessuna forza di prova; e tanto meno, in quanto il registro battesimale
era il solo atto scritto legittimo e pubblico a cui doveva aversi riguardo
nella trattazione di quella causa. Bene l'Agudio aveva insistito nella
dimostrazione che, sebbene fosse vero, per essere la testimonianza del notajo
Macchi relativa alla scritturazione d'un testamento, e quella del parroco
relativa ad una dichiarazione orale fatta dal marchese in tutt'altra
circostanza e per tutt'altro intento, che dovessero prendersi isolatamente; non
di meno venivano esse come a confederarsi ed a costituire la validità della
duplice testimonianza quando si guardava al solo ed esclusivo fatto della
paternità.
Perduta adunque la lite dalla Baroggi, sentenziate
insussistenti le sue pretese a favore del di lei figlio, ella si venne a
trovare nella più deplorabile condizione.
Il prevosto che l'avea presa a proteggere, erale sempre
stato liberale di qualche soccorso, anche dopo svanita ogni speranza; ed avea
provveduto eziandio a far educare convenientemente il fanciullo. Ma, per
disgrazia, venuto a morte anch'esso, nel 1761, la Baroggi si trovò derelitta
del tutto, con un figlio che avea sedici anni, non in posizione di continuare
nell'educazione incominciata, non atto a guadagnarsi tosto il vitto per sè e
per la madre, dimostrando bensì le più belle attitudini, ma nell'incapacità di
poterle far maturare e condurre a perfezione.
Allora la sventurata Baroggi erasi rivolta allo stesso conte
Alberico, il quale, per levarsi l'importuna d'attorno, ordinò che il maggiordomo
le contasse qualche danaro. Ma il maggiordomo, sborsato per quella volta la
somma di che aveva avuto l'ordine, provvide da quell'ora in poi a sbarrar la
porta alla sventurata, e a spuntare gl'improvvisi affetti di quella pietà
superficiale e sbadata che pur sorgeva in petto al giovine conte ogni qualvolta
gli perveniva qualche supplica straziante di quella povera donna.
Questo fatto provocò un certo rumore nella città, tanto che
giunse all'orecchio anche del Galantino, il quale di quella faccenda ne sapeva
qualche cosa più di tutti. Ora la notizia della condizione deplorabile in cui
versavano la Baroggi e il figlio di lei (e difficile a dire se per un senso di
pietà spontanea, o per qualche altra causa meno generosa benchè più forte), gli
fece una profonda impressione, tanto profonda che pensò di mandare un suo
commesso dalla madre a proporle se voleva impiegare in qualche modo il figlio
presso gli ufficj della Ferma, che gli sarebbe dato un salario sufficiente onde
provvedere a sè ed alla madre. In tal guisa il giovinetto Giulio Baroggi fu
impiegato in prima siccome scrivano; poi avendo mostrata assai svegliatezza e
solerzia, venne promosso a commesso delle esattorie, infine a sotto-tenente
nelle guardie della Ferma; carica che gli fruttava un non dispregevole salario,
una bella divisa, e molti di que' guadagni che soglionsi chiamare incerti, sia
per le quote che gli eran contate sulle perquisizioni e contrabbandi, sia pel
soprassoldo che toccava quando aveva il mandato di percorrere alla testa di un
numeroso drappello di guardie tutta la linea del confine.
Se non che la necessità di vegliare le notti, di vivere tra
la più rozza gentaglia, e più di tutto, i tristi pensieri che gli derivavano
dal confronto tra quello che era e quello che avrebbe potuto essere, gli fecero
contrarre la mala abitudine della gozzoviglia, del bere, dell'uso e dell'abuso
dell'acquavite, per dar tono alla vita, per mettersi all'unisono e acquistar
baldanza tra quelli a cui comandava, e più ancora per scacciare i molesti
pensieri, che si facevano sempre più intensi
quando la reazione che succedeva all'esaltazione provocata dalle bevande
spiritose, gli lasciava infiacchita la fibra e più disposta a subir l'influenza
della tristezza. Codeste sue abitudini non gl'impedivano però di essere
zelantissimo alle sue incumbenze, perchè la natura gli aveva pur concesso
saldezza di mente e saldezza di carattere. Bensì lo avevano condotto al punto
d'impegolarsi nei debiti e tanto, che non sempre
i suoi guadagni poteano bastare a conservare alla madre quella vita
modestamente provveduta che pure fervorosamente egli desiderava nella quiete
dell'animo suo, ma di cui si dimenticava tra i bicchieri e tra i compagni. Da
ciò dovettero originare disgusti e malumori e alterchi tra lui e la madre, la
quale finiva in pianto le sue querele, lasciando il figlio desolato e pentito e
pieno di proponimenti di cangiar vita. Però la tristezza gli si era confitta
nell'anima al punto, che la giocondità anche passeggiera non era più una
condizione naturale del suo spirito, ma un effetto artificiale delle bevande
spiritose, delle quali ormai non poteva più far senza, perchè erano il solo
mezzo che gli era rimasto a dar qualche istante di requie all'anima
travagliata, press'a a poco come chi fa tacere lo stridore dei denti col
versarvi sopra l'alcool addormentatore.
Insistendo sul qual fatto, egli è a considerare come
dall'infanzia alla fanciullezza, alla giovinezza, avendo egli sempre
avuta dinanzi la figura turbata e piagnolosa della povera sua madre,
necessariamente gli si venne invelenando l'esistenza; sentendo a parlar sempre
di miserie, e vedendo sempre la disgrazia in
casa, il suo spirito avea, per questo lato, contratta quasi l'abitudine del
timore, come que' fanciulli che, percossi continuamente da madri spietate, si
rannicchiano tremanti ad ogni alzar di braccio che pur si mova per tutt'altro.
Così anche allora che non v'erano occasioni che potessero presagire infortunj,
egli viveva col sangue agitato, e paventava miserie che non solo non eran
probabili, ma impossibili. Su questa condizione, diremo fondamentale, della sua
esistenza, si vennero poi radicando altri sentimenti profondi. Un odio
implacabile contro ai ricchi e ai nobili, che usciva affatto dalla
ragionevolezza e dalla giustizia, ma che pur troppo era spiegabile in chi era
stato ed era ancora la vittima d'uno di loro, e pareva dovesse portarne le
conseguenze in perpetuo. Il marchese F... aveva ingannato sua madre, e sebbene
il Baroggi credesse che colui avesse testato a favor suo, temeva tuttavia non
fosse stato anche quello un giuoco ingannatore per togliersi d'attorno
gl'importuni, i quali volevano impedirgli di lasciar tutte le sue ricchezze al
fratello, e di appagar la boria coll'accrescer sempre
più l'importanza del casato. In quanto al conte Alberico, è inutile a dire
com'egli lo abborrisse con tutta l'esaltazione di un sentimento implacabile. Se
non che d'accosto a tant'odio contro di un ceto in genere e di que' due uomini
in ispecie, quasi per concedere un po' di riposo al suo spirito, il quale sarebbe
stato consumato da quell'assidua acredine, venne spuntando, lo abbiamo già
detto, il sentimento della gratitudine per colui che solo fra tutti - egli poi
ne ignorava la vera cagione - aveva pur provveduto a sostenerlo, ad ajutarlo, a
beneficarlo. E questa potrebbe parere una fortuna, se la disgrazia non avesse
fatto che un tal protettore fosse di quelli appunto che si chiamano piaghe e
vituperi dell'umanità.
Questi poi alla sua volta tenevasi caro il Baroggi, perchè
si valeva di lui in quelle circostanze dove era necessaria una stoffa d'uomo
più sopraffina del consueto, una cera più gentile e modi più delicati di quelli
che mostravano comunemente i bassi impiegati e le guardie della Ferma. Dopo
tutto alfine è a confessare che il Suardi si compiaceva dei beneficj che faceva
al suo giovane protetto, e che in cuor suo lo compiangeva, e non pensava e non
guardava a quel giovine senza sentirsi tanto quanto commosso. La natura del
Galantino era tristissima, il lettore ne ha delle prove per fin soverchie; ma
avendo il dono di una mente svegliata, questa di tanto in tanto mandava sul
cuore di lui un raggio benefico, che lo rendeva migliore. Si addomestica il
leone e l'orso nero, perchè un certo loro istinto d'intelligenza permette
all'uomo di ammansarne la ferocia. Ma l'orso bianco è implacabile, perchè è il
più torbido di tutte le fiere. Il Galantino tristissimo aveva pur pensato a
cercare e della Baroggi e del figlio suo. Il conte Alberico invece, dopo un
pugno d'oro concesso per forza, li aveva lasciati alla loro miseria.
Ben è vero che il Galantino più di tutti doveva misurare
l'infortunio di quella madre e di quel figlio. Ma il conte Alberico sapeva pure
che il defunto marchese ne era il padre, sapeva pure che un testamento era
stato scritto a suo favore, sapeva pure che quel testamento era stato
trafugato, e che credeva che fosse distrutto; sapeva pure che la fortuna, il
solo giuoco della fortuna aveva messe a sua disposizione le ricchezze che
avrebbero dovuto appartenere al figlio Baroggi. Ma una volta che si sentì
protetto e salvo e assolto dalla legge, e che la legge avea alzato un muro di
divisione tra lui conte e il Baroggi finanziere, non pensò mai che dalle
sterminate sue rendite che ascendevano a lire milanesi seicentotrentamila,
poteva levarne, senz'accorgersi, una lievissima annata, che pure avrebbe
bastato a sostentar due vite e a stornare la maledizione dal capo dello zio
defunto, e da quello del padre e dal proprio. Or chi dunque può dirsi più
tristo, tra l'ex-lacchè Galantino e il conte Alberico F...?
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