VIII
Quando il Suardi ebbe messo il labbro all'orecchio dei
Baroggi, si trattenne di colpo, come se un secondo pensiero avesse
istantaneamente distrutto il primo; si trattenne, e a colui che stava in
sull'ale:
- Quel che ti volevo dire te lo dirò domani. Il tempo passa,
e se si giunge tardi non si fa nulla. Per ora, affinchè tu metta il cuore in
pace riguardo alla purezza di quella fanciulla, ti propongo questo partito: se
mai si riesce, come spero (chè allorquando una cosa la si vuole la si ottiene,
purchè la volontà sia quella tale), se mai si riesce dunque a trarla dal
monastero, ella rimanga, finchè sarà bisogno, presso tua madre. Tua madre che
colle ginocchia logora i gradini degli altari, e si macera, poveretta, nelle
preghiere e nei digiuni, pentita e strapentita e troppo pentita di avere... ma
non richiamiamo il tristo passato, che, del resto, s'ella fu ingannata, non ha
ragione di credersi colpevole, mentre non fu che una vittima. Tua madre sia
dunque la sua custodia. Così tu non potrai avere più scrupoli... e mi presterai
quell'ajuto, senza del quale non si può far nulla. Suvvia, coraggio... e pensa
al tuo avvenire.
Capitò a molti, anche tra uomini i più tenaci del loro
proposito, di avere a lungo respinte le insidiose insinuazioni degli scaltri
con franchissimo coraggio, e che poi, o per qualche accidente inaspettato o per
la stanchezza della lotta, si sentiron costretti a lasciarsi trarre nel laccio
senza dir di sì e senza dir di no, e di seguire, sebbene contro genio, la volontà
altrui. È sempre la storia del diavolo e delle
sue tentazioni. Un tal fenomeno lo dovette subire anche il Baroggi. Quella
uscita inaspettata del Suardi sulla facoltà che aveva detto d'avere, di poter
cambiare dall'oggi al domani la fortuna di lui; le parole e i modi misteriosi
onde egli avea toccato quel tasto, la tappezzeria rimossa dalla sua mano, quasi
fosse per discoprire cosa della più alta importanza, e fino a quel punto
gelosamente celata; tutto ciò gli mise una tale agitazione nel sangue, una tal
commozione nel cuore, una tal confusione nella mente, che, in una parola, non
si trovava nella condizione di prima. Egli sapeva la storia del Galantino, e la
sua prigionia e la tortura subita e sopportata, e le carte importanti trafugate
al defunto marchese, sicchè a queste cose egli corse di slancio col sospetto,
appena il Galantino gli parlò con quel piglio misterioso. Allorchè poi quegli
troncò il discorso, e, svoltandolo in un altro, propose al Baroggi di affidar
la fanciulla a sua madre; non ebbe in quel momento il coraggio di costringerlo
a palesar tutto, e d'altra parte non seppe persistere nel rifiutargli il
proprio ajuto, perchè non voleva lasciarsi fuggir di mano l'occasione e il
merito di poter penetrare in quel segreto, che era stato ed era, e, sino a quel
punto, gli pareva che avesse dovuto continuare ad essere, il segreto di tutta
la sua vita. Non rispose dunque nulla all'ultimo eccitamento del Suardi, bensì,
come questi si mosse, gli tenne dietro sbalordito e pensoso e disposto a far tutto
quello che colui avrebbe voluto in quel giorno. Così usciti dalla stanza,
discesi in cortile, salirono nella carrozza che li aspettava, dicendo il
Suardi:
- Strada facendo ti spiegherò il mio piano.
Mentre il signor Suardi, al pari di un comandante in capo,
insieme col suo ajutante di campo, guardando di tratto in tratto l'orologio, si
recava al quartier generale, lontano dalla mischia, e nel tempo stesso in
situazione di accorrere al riparo, e d'improvvisare sul medesimo campo di
battaglia un nuovo colpo strategico, quando mai un rovescio inaspettato fosse
per mandare in dileguo il primo piano già da lungo meditato; i commessi
incaricati della perquisizione, le guardie, gli sbirri, quelle col loro archibugio
ad armacollo, questi colla sola sciabola girata dietro le reni, erano usciti
dal palazzo della Ferma generale, e si avviavano difilati alla volta del
monastero di San Filippo Neri. Le ventiquattro erano passate, e già stava per
compirsi l'ora che ad esse succedeva. Il sole primaverile illuminava per carità
qualche camerotto al quinto piano, dove degli estremi raggi stava approfittando
con ansiosa sollecitudine qualche povera cucitrice, la quale voleva compir
l'orlo di qualche camicia per risparmiare i tre soldi della popolana candela di
sego. In quell'ora, nella chiesuola del monastero di San Filippo, nella parte
ch'era segregata dal pubblico, erano discese la madre badessa, le suore
maestre, le monache semplici, le converse, le
incipienti, e il drappello delle educande. Il mantice dell'organo veniva
caricato d'aria da due grosse e ottuse converse; intanto che, quasi a provare
la quantità d'aria che era entrata nelle canne, e la propria valentia
nell'arte, una mano percorrendo agilissimamente i tasti, ai profondi suoni
della canna maggiore, con netta e rapidissima decrescenza, faceva succedere il
sibilo acuto e flautato della canna ottavino. L'organo, come al solito, dava in
sulla parte della chiesa aperta al pubblico, e i pochi che a quell'ora erano intervenuti,
guardando attraverso la griglia di legno che dal parapetto dell'organo si
alzava fino a due terzi della canna maggiore, vedevano per la luce di due ceri,
i quali erano accesi al disopra della tastiera, muoversi tre teste. Ed eran le
teste della suora maestra di canto fermo e d'organo, e di due fra le allieve
più distinte in quell'arte. Di queste due, quella che, seduta alla tastiera,
sbizzarriva colla mano velocissima, era la giovinetta Ada. Poco dopo,
dall'altare, collocato dietro al muro che divideva la chiesa in due parti (e
faceva riscontro all'altro posto oltre il muro, ed al quale si ufficiava per il
pubblico), una suora intuonava le litanie della Beata Vergine; ad essa, le
altre monache, le educande, il pubblico rispondevano, mentre l'organo colle sue
echeggianti variazioni interpolava ogni tema di que' predicati, coi quali la
più sublime poesia sgorgata dall'entusiasmo della fede e dell'amore decorò il
nome di Maria.
Di qui passando altrove, il lettore può accompagnare di
nuovo i commessi della Ferma, usciti dal palazzo dell'amministrazione generale
per recarsi al convento, quando le litanie potevano essere al loro termine.
Allorchè dunque il primo dei commessi, lasciati i compagni nella via di san
Barnaba, entrava nell'ortaglia dov'era il nuovo casino del signor Suardi, per
abboccarsi con lui, come aveva avuto ordine; la suora inginocchiata all'altare
cantava già il concede nos famulos tuos, ecc., e quando, dopo avergli parlato,
il commesso usciva frettoloso, in compagnia del sotto-tenente Giulio Baroggi,
aveva già rintronato sotto alle vôlte della chiesa il sub tuum e l'a periculis
cunctis libera nos semper.
Una mezz'ora dopo, il commesso e il Baroggi e gli altri
erano già entrati in monastero, e fu allora che quel gentiluomo amico di casa Ottoboni,
galoppando per diporto in quei luoghi, e saputa la cosa, s'era affrettato a
raccontarla agli amici, e innocentemente a mettere la tempesta nell'anima del
giovane Crall, che divorando e tempo e strada, corse alla loggia dei compagni
Frammassoni di San Vittorello.
Il sole era scomparso, da qualche tempo, e anche i luminosi
crepuscoli di quella serena giornata s'erano spenti affatto, e qua e là
lasciavasi veder nel cielo qualcuna delle stelle più premurose, allorchè sboccò
dalla contrada di San Vittorello quella scelta schiera di Frammassoni giovani e
frementi, armati tutti di spade e qualcuno anche di pistola; dispostissimi
tutti a far nascere un tale scompiglio e un tal disordine, che fosse poi atto a
provocare un ordine. Ed ora dobbiamo dire quello che, sebbene non sia
indifferente, pur ci fuggì di memoria allorchè parlammo di quella loggia di
Muratori; ed è che fra coloro i quali si trovavano presenti alla tornata, v'era
un uomo che abbiamo conosciuto fin dall'anno 1750, e che, se non fu il primo, non
fu nemmeno l'ultimo ad aver parte attiva negli avvenimenti d'allora; vogliamo
dire il signor Lorenzo Bruni, violino di spalla per l'opera, e primo violino
del ballo al teatro Ducale. Il lettore deve ricordarsi e della lettera che lo
stesso Bruni scrisse da Milano al signor Amorevoli, tenore al teatro di Dresda,
per dargli informazioni intorno alla figliuola della contessa Clelia V...; e
com'egli fosse venuto a Milano onde conchiudere di presenza, co' signori
ispettori del teatro Ducale, la scrittura di sua moglie, madama Gaudenzi-Bruni,
per la prossima stagione di carnevale.
Or dunque si aggiunga al resto che il Bruni, venuto a Milano
solo, era stato poi raggiunto dalla moglie e da un suo figlio giovinetto, il
quale non aveva ancora tre anni (Chi avrebbe detto a noi che questo fanciullo,
figlio di un tal uomo, dovevamo poi conoscerlo vecchio novantenne in riva al
lago di Pusiano, perchè ci fosse anello di comunicazione tra il passato e il
presente!) Aggiunga inoltre il lettore, che il Bruni, per esser diventato
marito e padre, non aveva cangiato carattere, idee, aspirazioni, abitudini. Che
anzi in quegli anni, avendo percorso mezz'Europa, più e più s'era infervorato
nelle sue opinioni; che, siccome voleva la nuova onda delle cose, s'era
ascritto alla loggia dei Frammassoni di Parigi, che s'era messo in
comunicazione colle logge erette nelle principali città d'Europa, e che
arrivato a Milano, e saputo della loggia milanese, avea sollecitato di mettersi
in comunicazione con essa; ch'era stato de' più caldi ad esortarla perchè
dall'inerte discussione passasse all'azione pratica. Infine che, sebbene non
avesse più trentacinque anni, ma cinquant'uno, pure alla proposta di lord
Crall, s'era messo in compagnia de' giovani più deliberati, sfoderando
anch'esso la spada, e giurando su quella, come voleva il formulare.
Ed or presto vedrà il lettore fino a che punto sappiano
giungere i maledetti ghiribizzi della fortuna e gli strani giuochi della
combinazione; e come il signor Bruni ogni qualvolta inciampava nei ciottoli
delle contrade di Milano, avesse a dar della testa anche nelle corna del
diavolo, occasionando trambusti serj, e dovendo alla sua volta rimanerne
vittima.
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