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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO OTTAVO
    • V
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V

Quando il Parini fu uscito, aveva lasciato dietro a , quasi diremmo, il profumo della sua nobile natura. Quanti erano raccolti in caffè stettero alcuni istanti senza parlare, assorti in quella nuova atmosfera; così se una elegante gentildonna, passando in mezzo ad una frotta di rozze contadine che alterchino, avvien che le avvolga nella fragranza lasciata dalle sue vesti, coloro si tacciono, irresistibilmente comprese di quell'aura odorosa. Quel silenzio rispettoso però non durò molto, chè al pari delle rozze contadine, le quali, svanito il profumo, deridono la squisitezza di chi lo ha lasciato indietro, anche quei compagnoni si rivoltarono contro l'autorità dell'alto poeta, e:

- Bella anche questa, cominciò a dire il ventilatore del braciere; curiosa davvero, che uno si creda in diritto d'insultare una società di galantuomini perchè ha stampato de' versi che, se i suoi amici dicono il vero, saranno immortali.

- Ma è assai più strano, soggiunse il Baserga, che chi si arroga d'insegnare i buoni costumi a' ricchi, si trattenga poi in una bottega ad origliare i discorsi altrui. Del rimanente loro signori sapranno che l'abate Parini è stato il precettore de' figli di donna Paola, e che anche adesso frequenta assiduamente quella casa.

Proferendo queste parole il signor Baserga si alzò ed uscì. Colui che il Parini avea onorato del nome di amico uscì pure, per non intrattenersi in nuovi ed inutili alterchi. Gli altri poi si fermarono, e, liberati dalla controlleria d'un contraddittore perpetuo, ridussero a più chiara e speciosa lezione, e rimpolparono colle loro congetture il racconto del maggiordomo, perchè potesse circolare con miglior successo fra il popolo, ed essi medesimi s'incaricarono di farne gli spacciatori; press'a poco come gli editori francesi, quando hanno ridotto in forma di libro accessibile a tutti qualche nuovo trovato della scienza.

Ed ora dirà il lettore: come mai in tanto cicaleccio del pubblico attento ai fatti che abbiam narrati e ai personaggi che li generarono, non saltò fuori un sospetto che venisse a percuotere e a trarre innanzi al tribunale dell'opinione pubblica anche la persona del Galantino, che necessariamente, per l'associazione delle cose, per la memoria del passato, per la sua condizione che lo faceva quasi vivere una vita pubblica al cospetto continuamente del pubblico, doveva essere ricordato in quell'occasione?... Come mai dunque ha potuto passarsela netta, senza che nessuno pensasse a lui, pur dal momento che si voleva andare in cerca di un rapitore qualunque della fanciulla? che si conoscevano le sue abitudini libertine, e l'audacia sfrontata onde solea valersi anche in quelle tresche che per lui non erano che un divertimento dagli affari; che, ed è il più, a tutti era noto aver esso abitazione, giardino e deposito di mercanzie in luogo attiguo al monastero di San Filippo Neri? Dare a questa domanda una risposta che sia l'espressione del vero non è possibile; ma volendo pur arrischiare un'opinione, ci parrebbe di poter dire che il pubblico d'allora, il quale, come quello di tutti i tempi, talvolta è capriccioso al pari di un ragazzo, di quel personaggio eteroclito del Galantino aveva tanto parlato e straparlato; lo aveva accusato, manomesso, vituperato, maledetto in tanti modi e a tutte l'ore, che oramai era quasi sazio di occuparsi di lui. Così vediamo qualche fanciullo dimenticare in un angolo della camera da giuoco il fantoccio col quale s'era scapricciato a strappargli testa, braccia e gambe sotto gli occhi stessi dell'ajo; ma di soppiatto poi farsi a rompere un prezioso oriuolo per vedere com'è fatto di dentro. Che che ne sia, il pubblico vuol variare le vittime; talvolta, stanco di percuotere i tristi passa a maltrattare i buoni. La storia d'Aristide rimane sempre ad ammonirci di questo fenomeno perpetuo.

Or tornando al Galantino, se il pubblico non pensava a lui, pensava ben egli a se stesso, e più seriamente che non avesse mai fatto in tutta la vita. La passione, che è come l'ubbriachezza, lo aveva portato fuori alquanto della sua natura. Sebbene astuto e antiveggente per una straordinaria saldezza d'intelletto, pure, prima di compire il fatto del trafugamento, aveva creduto che nella sola riuscita di quello vi fosse l'adempimento de' suoi desiderj, e si dovessero trovare tutti gli elementi necessarj per mandare ad effetto ogni suo disegno. Ma, dopo qualche tempo, dopo che ebbe messo al sicuro d'ogni ricerca le due fanciulle, dopo che ebbe finito di pensare alla prima parte, diremo così, della sua impresa, la quale per verità era la più arrischiata e la più disperata; forse anche dopo che il Baroggi, invece di confortarlo lo sbaldanzì, ebbe campo di considerare più freddamente tutte le conseguenze possibili di quel primo audacissimo passo, e si turbò. Il fatto segnatamente che dominava, e quasi atterriva la sua audacia, era il contrattempo della fanciulla dei marchesi Crivello, che non s'era potuta svincolare dall'altra. Pensava che la propria ricchezza avrebbe reso meno odiosa la proposta d'un matrimonio agli occhi della nobiltà, che l'amore appassionato della fanciulla per lui avrebbe intenerito i cuori, onde facilmente si sarebbe messa una pietra sui fatti avvenuti; ma a guastargli questa speranza e queste belle idee ridenti entrava il pensiero che i parenti della Crivello avrebbero reclamato dall'autorità la più severa punizione del trafugamento. Bene, dopo l'assalto impetuoso di questi timori, la sua mente feconda almanaccava, improvvisando progetti di difesa e di nuovi inganni e d'insidie nuove; ma colla stessa facilità con cui li aveva improvvisati, li rifiutava poi uno dopo l'altro, con dispetto iracondo, al pari di un poeta che, nell'ansia della composizione, non trovi un'idea che gli attalenti.

In conclusione, se i nostri lettori hanno potuto maravigliarsi e dolersi, che un così astuto ribaldo sia stato sempre fin qui portato, come suol dirsi, in braccio dalla fortuna; possono ora consolarsi nel vederlo finalmente esso alle prese con un pericolo che non sembra voler offrire un varco probabile di salvezza.

Quando, la mattina del giorno successivo al tafferuglio del monastero, l'abbiamo udito a parlare col Baroggi, ei ci dovette sembrar ancor pieno di sicurezza e baldanza; ma ciò dipendeva che non s'era ancor trovato al cospetto delle due fanciulle dopo riavute dallo stupore e dallo spavento che nella notte le aveva oppresse, al punto da non poter parlare fino a tanto che videro un volto di donna. Ma allorchè si recò nella casa del Baroggi, e parlò alle ragazze, queste si comportarono di maniera, che sentì la necessità di allontanarle da Milano; e quando egli stesso in persona e con cautela le ebbe accompagnate in un luogo in riva al lago di Como insieme colla madre del Baroggi, potè accorgersi che la presenza della Crivello rendeva pericolosissima la custodia delle fanciulle; e tanto più avuto riguardo allo spirito religioso e bigotto della donna a cui le aveva affidate, la quale, eccitata dagli scrupoli, avrebbe potuto parlare e metter fuori il suo nome.

E perciò avea pensato di non condurle in nessuna delle terre che aveva in proprietà, ma sì in un luogo d'affitto presso Torno, borgo ch'egli conosceva assai bene, per avere avuti affari negli anni addietro col proprietario d'una fabbrica di lana, l'ultima rimasta delle tante di cui, prima delle guerre de' Comaschi, Torno era pieno. Il luogo poi dove aveva loro trovato stanza era Montepiatto, situato sopra Torno, e noto per esservi stato un convento di monache. Queste circostanze del sito preciso dove donna Ada della contessa V... e donna Giacoma dei marchesi Crivello vennero collocate sotto la custodia della Baroggi, sono esattamente riferite dal monaco Benvenuto di sant'Ambrogio ad Nemus; e diciam questo perchè non si creda che da noi siasi scelto quel luogo soltanto per aver l'opportunità di fare una nuova descrizione del lago di Como. Il classico Lario stancò la penna di tanti scrittori di prosa e di verso, e i pennelli di tanti paesisti, che non è possibile che chi non aspira ad assere nojoso creda di ringiovanire tra congetture della causa del fonte intermittente della Pliniana e l'etimologia della parola Tivano. Bensì quando ci fosse capitato una landa uggiosa della bassa Lombardia, forse ci saremmo fatto un grande onore a descriverla, per la ragione che ci piacciono i temi dimenticati dagli altri; ma il monaco Benvenuto ci ha condannati a non poter scegliere un paesaggio di nostra fantasia.

Senz'obbligo dunque di far descrizioni, rechiamoci a Torno, ovvero sia a Montepiatto, a toccare il polso febbrile della giovinetta Ada...

Se non che questo nome ci ammonisce d'una dimenticanza, per la quale dobbiamo indugiarci ancora un istante a Milano, e dir qualche parola dell'illustrissimo signor conte colonnello V... per tanto tempo trascurato da noi, con un dispregio che parrebbe superar quello della contessa.

Questa fermatina ci torna inoltre necessaria a far conoscere una nuova e micidiale bocca da fuoco, apertasi all'impensata per rendere ancora più difficile la posizione del Galantino. Dal ragioniere Baserga abbiamo saputo che, per decreto dell'eccellentissimo Senato di Milano, era stata dichiarata la paternità del conte V... rispetto alla fanciulla Ada. Dio sa, penserà il lettore, di che scoppio di furore avrà dato spettacolo il conte alla notizia di quel decreto! ma in vero che avvenne il contrario, ed ecco come. La natura del conte ci è nota. Forza muscolare assorbente l'intellettuale, cuore schietto, nascosto ed avviluppato in mille modi dall'orgoglio di casta, dall'intolleranza, dalla spavalderia soldatesca; e nel tempo stesso un corredo di pregiudizj così inveterati, che lo facevano devoto al principio dell'autorità. I senatori, ad uno ad uno, ei li avrebbe, in un bisogno, fatti correre a squadronate, ma il Senato tutt'insieme raccolto, ma il presidente di esso, circondato dalle più pompose apparenze del pubblico ossequio, che veniva chiamato Quasi rex e pareva un semidio, imponeva alla sua imaginazione; il decreto pertanto che emanò da quel formidabile consesso, firmato da colui, che solo col suo carrozzone lentamente tirato da quattro cavalli aveva il privilegio di poter interrompere l'ordine regolare delle carrozze sul corso di via Marina, gli fece un tal senso, che credette più a quel decreto che a stesso. A questo però conviene anche aggiungere che il furore di vendetta aveva avuto, in quindici anni, il tempo di svaporare; che l'avvocato il quale difendeva il suo diritto e gli altri causidici consulenti non gli aveano mai data per sicura la vittoria sulla parte avversaria; che (e forse questa fu la causa prevalente), avendo avuto più volte occasione di veder la fanciulla Ada, quell'aspetto leggiadro, attraversando soavemente gli orgogli, i disdegni, i pregiudizj, gli penetrò fino al cuore, e vi si fermò. Spesse volte nella solitudine della sua casa vedovile, pensando a quel vago angelo, si sentiva commosso rimeditando le sventure, le quali non vollero che la sua casa fosse benedetta. Un giorno perfino si pentì d'aver gettato lo scandalo nel mondo con quella lite giuridica, e si corrucciò d'aver voluto respingere per sempre da quella creatura innocente.

O arcani dell'umana natura, per cui, talvolta, colui che sembra il più immite, al contatto di contingenze speciali diventa il più accessibile alla tenerezza! E questo appunto era avvenuto del conte, di modo che, allorchè uscì il decreto del Senato, quasi ne provò gioja. Però fu il colpo più spietato della fortuna quello per cui, dopo tre giorni, la fanciulla che per forza gli era stata imposta dalla legge ed egli l'aveva accettata in pace, improvvisamente scomparve! Quando gli amici stolidi, credendo di fargli piacere, gli recaron l'annunzio di quel fatto, il suo furore non proruppe, ma scoppiò con tal impeto, che quasi parve presentare i sintomi della forsennatezza, e gli astanti ne stupirono come quelli che non potevano comprender tutto. Così un nuovo formidabile avversario sorse, non sospettato, a far più impacciata la condizione del Suardi, che contro di tutti si sarebbe messo in guardia, fuorchè contro di lui.

Ed or che sappiam questo, possiamo recarci in riva al Lario a fare una visita alla povera Ada.

 




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