VIII
Or come avvenne che il Galantino si trovasse sulla strada
che da Lodi va a Casalpusterlengo? Ecco il fatto. A Milano, dopo che il conte
V... seppe del trafugamento della fanciulla Ada; furibondo e nel tempo stesso
sospettoso che chi ci aveva interesse avesse voluto offendere lui stesso, col
togliergli i diritti della paternità, mentre si era voluto imporgliene gli
obblighi; esaltato inoltre dalla perversa voce che rapidamente era corsa per
tutta Milano, a dispetto delle objezioni degli increduli, che donna Paola di
concerto col figlio Guglielmo avesse tentato il mal colpo; aveva fatto tanto
scalpore presso il Senato, che il capitano di giustizia, il quale, messo già
sulla falsa via dalla lettera anonima del Galantino, aveva sottoposto ai più
severi interrogatorj lord Crall e i complici suoi, non tanto pel reato
dell'aver assalito a mano armata la forza pubblica, quanto per l'accusa
dell'aver ricorso a quella violenza per rapir due ragazze dal convento; dovette
invitare a comparire indilatamente anche donna Paola Pietra-Incisa per essere
sentita in giudizio. Come è naturale, e per la cattura del figlio e per la fuga
di Ada, il giorno dopo ella stessa avea pensato di rivolgersi al capitano, e
perchè s'incaricasse tosto di pubblicare un bando a rintracciar le fanciulle, e
per informarsi della condizione in cui trovavasi suo figlio; se non che, con
sua sorpresa, quando già stava per uscire e per recarsi dall'eccellentissimo
capitano, ricevette un foglio sottoscritto da esso, nel quale, omesse le
formole dell'etichetta epistolare, la si citava d'ufficio a comparir tosto
innanzi a quel tribunale.
Donna Paola, stupita del modo onde le veniva fatta
l'intimazione, si recò al Palazzo di Giustizia senza farsi aspettare; e colà
venne a trovarsi al cospetto del signor capitano, il quale, dismesse le
rispettose parole, la sottopose ad un interrogatorio che sarebbe prezzo
dell'opera il riportare qui, perchè la paziente assennatezza di donna Paola,
l'eloquenza efficace, il disdegno sublime, ma calmo e soffocato dalla
preoccupazione dell'ultimo intento, il rimprovero temperato di umiltà, ma forte
abbastanza per compungere altrui, vi risplendono in tal modo che è
un'edificazione a leggerlo. Il capitano, com'è facile a supporsi, ne rimase
penetrato; allora, fatto venire innanzi anche il conte V... che era là ad
attendere donna Paola, questa giunse a persuadere colui stesso dell'ingiuria
inaudita che le si era voluto fare col crederla rea di un sì turpe ed empio
attentato. Il conte V... non fece altro che unire le proprie sollecitazioni a
quelle di donna Paola affinchè il capitano volesse tosto far uso di tutti i
mezzi che aveva a disposizione perchè, mentre si pubblicava il bando,
s'incaricassero il pretorio della capitale e tutti i pretori delle altre città
del Ducato, e i pretorj suppletorj di confine a spedire per ogni dove uomini
esperti e guardie a rintracciar le fanciulle. In quel dì stesso anche il
marchese Crivello, avendo presentata una furibonda querela al Senato, questo
tanto più si trovò obbligato a intimare allo stesso capitano di giustizia che
col più formidabile apparato che non si fosse mai praticato in altre
circostanze simili, si facesse dalle guardie frugare in tutti i luoghi della
città e dei corpisanti, e batter la campagna in lungo e in largo, e percorrere
tutto il Ducato e i luoghi confinanti, se fosse stato necessario.
Di questo bando, per decreto del Senato, furono alcuni
giorni dopo messi gli affissi a tutti gli angoli della città e delle borgate
vicine; per lo che il Galantino si trovò in una terribile apprensione. Pensando
che a Torno, e per la vicinanza di alcune ville signorili, e per la prossimità
della città di Como, le fanciulle potevano troppo presto venire scoperte dagli
agenti e dai fanti del capitano e dei pretorj, senza perder tempo le levò di là
e le trasferì in un luogo remoto della Vallassina, con promessa che sarebbe
tornato subito; e che recavasi intanto a Bologna per parlare alla contessa
madre, onde ella medesima venisse in persona a toglier la figlia da quelle solitudini,
per ricondurla poi fidanzata in città, e benedire a' prossimi sponsali.
Difatto, venuto a Milano, visto che sino a nuove circostanze non vi era più
aria sana per lui, pensò di trasferirsi senza perder tempo a Bologna, di
presentarsi alla contessa, e quando mai, ciò che secondo lui non era
improbabile, ella avesse ricevuto l'avviso della scomparsa di sua figlia,
consolarla col darle notizia che per suo mezzo era stata rinvenuta, e cogliere
l'occasione per domandargliela in isposa. Con ciò, innanzi tutto, egli pensava
ad attuare il proprio desiderio ardentissimo; in secondo luogo provvedeva anche
a vendicarsi della vecchia ingiuria. Di tal modo ei si lusingava inoltre che,
una volta che la contessa avesse annuito al matrimonio, spinta dall'amor materno,
messa in altalena tra la paura di perder per sempre
la figlia e la consolazione di riabbracciarla tosto; con lei si poteva anche
concertare il mezzo di dare un altro colore al fatto del trafugamento e far
tacere l'autorità. Con questi pensieri pertanto, non essendo ancora stato
colpito da sospetto di sorte, fece disporre una carrozza da viaggio degna del
conte di Firmian, per poter abbagliare altrui colle apparenze, più che era
possibile, signorili; e si mise in viaggio per Bologna, sicurissimo di trovarvi
la contessa. Or ecco in che modo, viaggiando difilato a quella volta,
s'incontrò nella carrozza di lei che riconobbe con sua gran sorpresa, onde fece
rivoltare i cavalli per tener dietro a lei, e raggiungerla e parlarle alla
prima fermata.
La contessa Clelia, traguardando di tanto in tanto dal
finestrino della carrozza, vedeva che quella del Galantino seguiva la sua
placidamente, con tutti gl'indizj di non voler cambiar strada. Allora, tra i
molti pensieri, congetturando che colui avesse viaggiato per venir sulle sue
traccie, Dio sa per quale intento, ingiunse al postiglione di mettere i cavalli
alla più veloce carriera che fosse possibile: comando che fu tosto adempiuto,
perchè non c'è al mondo uomo più docile e più condiscendente d'un postiglione
quand'ha ricevuta una buona mancia e quando sa di doverne ricevere di più
grosse. Se non che la contessa, guardando indietro, vide che il postiglione del
Galantino aveva fatto il medesimo co' suoi cavalli. Allora non dubitò più di
essere inseguita, e ne fece motto alla cameriera.
A Lodi, il suo postiglione svoltò nel portone dell'albergo
del Gambero per cambiare i cavalli; e dopo pochi minuti fece lo stesso anche il
postiglione del Suardi; e come la contessa Clelia salì in una camera perchè si
doveva fare una fermata di un'ora, anch'esso salì in un'altra.
Dopo pochi minuti, un cameriere si presentò alla contessa,
dicendole che un signore arrivato in quel punto all'albergo e che stava in una
stanza lì presso desiderava di parlare con lei, e domandava perciò licenza di
poter entrare.
La contessa, a tutta prima, quasi fu per acconsentirvi; ma
poscia, nauseata di quel che le era occorso a Venezia, e nel tempo stesso
temendo da quell'uomo ogni peggior cosa, gli mandò a dire che non riceveva
nessuno lungo il viaggio; ch'ella si recava a Milano, e che là egli avrebbe
potuto parlarle. Il Galantino insistette ancora, e a tal segno, che la contessa
dovette interporre l'albergatore medesimo, per non essere importunata
d'avvantaggio.
Il Suardi, all'imbasciata dell'albergatore, con ostentato
sussiego:
- Dite alla signora contessa, rispose, che l'oggetto per cui
aveva a parlarle interessava lei e non me. Non si trattava che d'un atto di
riguardo che m'ero imposto. Pur faccia come vuole. A Milano si accorgerà di
aver fatto male a non ascoltarmi. Riportatele queste mie parole, e fate
attaccar subito i cavalli.
L'albergatore riferì tutto alla contessa, ma ella, sebbene
le si fosse accresciuta l'affannosa curiosità a quelle parole, non si smosse e
rispose:
- Va bene.
Il Suardi, sconcertato nel suo disegno, dovette ritornare a
Milano, in bocca al lupo, come si suol dire, ma non gli rimaneva a far altro.
Lungo il viaggio pensò come quel primo tentativo fallitogli poteva, arrivata
che fosse la contessa a Milano, offerire un indizio per mettere gli occhi su
lui. "Mi son trovato in impacci ben più gravi di questo (rifletteva egli
tra sè) e non mi son lasciato mai intimorire da nessun ostacolo. Anzi gli
ostacoli quanto più eran serj mi servivano quasi di mezzo ad ottenere tutto
quello che volevo. Cos'è dunque questa paura che mi assale tutt'a un tratto?
Non sono io più il Suardi di una volta? Non sono or forse in possesso di quella
ricchezza colla quale si rimedia a tutto e si fanno tacer tutti? Coraggio
dunque, e avanti. Mi fa ridere questa contessa orgogliosa... perchè se vuol
bene alla sua figliuola, bisognerà pure che per forza o per amore ella venga a
patti con me. Mi fa ridere quel signor capitano di Giustizia col suo bando! Un
po' d'unto alle mani di qualche senatore, un po' di unto alle mani di qualche
barigello... Senatori e barigelli!.. va benissimo! quand'io mi sono assicurato
di chi dà gli ordini e di chi li eseguisce, mi pare che non mi rimanga
null'altro a fare. La mia cassa rigurgita di ducati e di talleri di Carlo VI.
Coraggio dunque, e non ci si pensi più."
E il Galantino, sebbene tanto perspicace, non arrivava a
comprendere che quella ricchezza medesima, che gli pareva un'arma onnipotente,
era la vera cagione de' suoi insoliti timori. Egli nuotava nell'oro, e perciò,
data l'ipotesi di un passo falso e di una caduta, aveva da perder troppo. Il
coraggio intero e sfrontato lo ebbe quando nel mondo nulla aveva da perdere e
tutto da guadagnare. Allora procedeva sicuro e colla forza invincibile
dell'istinto che lo sollecitava a ghermir la fortuna in qualunque modo.
Mezz'ora dopo del Suardi si rimise in viaggio anche la
contessa, che entrò in Milano per Porta Romana un paio d'ore innanzi sera,
discendendo poco dopo alla casa Pietra.
Nella sala di ricevimento, impegnata in gravi discorsi con
donna Paola, stava da qualche ora la Gaudenzi la quale aveva condotto seco
l'unico suo figliuolo. La Gaudenzi, ignara di tutto quanto era avvenuto ed
avveniva in Milano che non le appartenesse, e d'altra parte, memore del cortese
ajuto ricevuto fin dal 1750 da donna Paola, aveva pensato di rivolgersi ancora
a lei, dopo che le erano riusciti infruttuosi tutti i passi mossi presso il
capitano di Giustizia onde aver nuove del marito e saper in che condizione ci
si trovasse. Sentito a nominare lord Crall fin dal giorno che dall'attuaro
erale stato comunicato l'arresto del Bruni, quel cognome di suono straniero non
le avrebbe mai potuto far sospettare chi veramente colui si fosse. Però alle
prime parole che ella tenne con donna Paola fu reciproca la meraviglia in
entrambe.
Donna Paola stupì che il marito della Gaudenzi fosse
impigliato nel processo di Guglielmo; e la Gaudenzi si meravigliò più ancora
nel sentire che lord Crall era figlio di donna Paola. Per questa circostanza
singolare crebbe più che mai l'interesse dell'una per l'altra a vicenda; però
era da un pezzo ch'elleno stavan parlando del doloroso accidente e del modo di
ripararvi, allorchè il servitore entrò e disse:
- È arrivata la signora contessa Clelia V... in questo
momento; eccola.
Donna Paola si alzò turbata a quel nome, al punto che parve
le fuggissero le forze. La buona Gaudenzi, informata d'ogni cosa un momento
prima, fu invasa da tanta pietà per la contessa, quando la vide entrare, che
dimenticò quasi sè stessa.
E il suo figlio, che poteva avere dodici anni, abbastanza
svegliato per comprendere tutto, si mise anch'esso in aspettazione e in
apprensione a quella venuta.
Ed oggi, quando noi pensiamo che abbiam conosciuto quel
fanciullo stesso, fatto vecchio decrepito, siamo esaltati da un tal senso di
meraviglia che quasi diventiamo increduli verso noi stessi. Però, senza
alterarle d'un punto, vogliamo riferire le parole stesse del figlio di Lorenzo,
quando ricordandosi di quel fatto, e di quella scena, e di quelle donne, ce le
dipinse con tale schiettezza e semplicità che
quasi in ascoltarlo ci pareva di vivere con esso in quell'anno 1766; e tanto
più che abbiamo stretto più volte la mano e baciato il venerando volto di
quell'uomo che, fanciullo, era stato baciato da donna Paola e dalla contessa.
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