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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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X La mattina seguente, il Baroggi in abito civile e semplice, per quanto lo comportava il costume, si recò alla casa Pietra, e domandò se si poteva parlare alla signora contessa V... Il portinajo che aveva ordine di lasciar passar tutti, lasciò passare anche il Baroggi, il quale, venuto in anticamera e detto il proprio nome a un servitore, di là venne introdotto in sala, dove trovò la contessa insieme con donna Paola. Questa, allorchè vide il Baroggi: - Oh... voi? disse. Se il lettore si ricorda, donna Paola s'era adoperata in pro suo e della madre. - Non vengo per me, soggiunse il Baroggi, nè per darle nessun disturbo. Vengo a nome del signor Andrea Suardi per dire una parola alla signora contessa V.... che, se non isbaglio, è quella innanzi a cui ho l'onore di trovarmi. - Dite, dite, rispose la contessa pallida e tremante, chè il nome del Suardi le avea fatto rifluire il sangue al cuore. - Veramente il signor Suardi m'avea raccomandato di non parlare che a lei sola... ma io credo che in quel momento non pensasse a donna Paola; e per questo io credo d'interpretare il desiderio di lui, anche parlando in sua presenza. Il signor Suardi domanda pertanto alla signora contessa il favore di poterle dire una parola in tutta segretezza, per cose della più grave importanza. - Gli avevo già detto a Lodi che a Milano avrebbe potuto parlarmi liberamente. Però venga e tosto. - Sapete la disgrazia da cui è afflitta la contessa, soggiunse donna Paola; cento cose abbiam da fare nella giornata. Dunque sarebbe necessario che venisse qui subito. Il Baroggi, a quelle parole, sapete la disgrazia da cui è afflitta la contessa, divenne rosso come una bragia; cosa che diede nell'occhio a donna Paola ed anche alla contessa, la quale sommessamente disse alcune parole a donna Paola. - Sì... è il figlio della povera Baroggi, rispose quella ad alta voce. Ma, a proposito, da che dipende che vi vedo in abito civile? - Fu per rispetto a questa casa che ho messa giù la casacca da finanziere. Anche questo è stato un desiderio del signor Suardi. - Ma siete a' suoi servizj? - No: bensì la mia professione porta che molte volte debba trovarmi con lui; egli ha della bontà per me e per la povera mia madre. Se dunque mi dà qualche incombenza, non mi faccio pregare ad eseguirla. Donna Paola si alzò a queste parole, quasi che una molla le avesse dato la spinta; ed era infatti un movimento comunicatole da un pensiero improvviso che era già per tradursi in una domanda al Baroggi; ma si trattenne, e dandole tosto di svolta: - Affrettatevi dunque; dite al signor Andrea Suardi che la signora contessa lo sta aspettando. Affrettatevi. Quando fu uscito: - Costui sa tutto di certo, osservò donna Paola, e forse ha prestato mano al trafugamento. Egli è un sotto-tenente delle guardie di finanza al servizio della Ferma. Povero Baroggi!... ed era un fanciullo di buonissima indole; ma il bisogno lo ha spinto a quel pericoloso mestiere, e s'è dato alla crapula... e poi vennero i debiti... e poi... Ecco gli effetti. Ah! è meglio morire quando mancano i mezzi di soccorrere a tutte le miserie! La contessa non rispose, e quasi non sentì tali parole, perchè era tutta sossopra per l'ansia dell'aspettare; e nel frattempo non fece altro che sedere, alzarsi, passeggiare senza mai potere aver requie. Finalmente, dopo una mezz'ora, il servitore annunciò: Le due donne si alzarono. La contessa incrocicchiando le dita d'ambo le mani, le strinse le une contro le altre con forza, distendendo simultaneamente le braccia, come fa chi tenta sciogliersi da un'oppressione convulsa; poi disse: - Ah! non vi allontanate, donna Paola. - Lasciate fare, starò nella camera vicina, essa le rispose; abbiate coraggio e sperate bene. Donna Paola uscì. La contessa Clelia si appoggiò al canapè e stette ritta in piedi. La porta s'aprì, ed entrò il Suardi. Se la contessa tremava, il Suardi non era tranquillo. Bensì la prima mostrava nel volto e nella persona tutta quanta la condizione dell'animo proprio; mentre il Suardi, sotto al calmo sorriso delle sue labbra lievemente arcuate, celava compiutamente l'intima battaglia de' pensieri. Le parole però non gli vollero venir tosto, onde la contessa fu la prima a rompere il silenzio: - Or dunque, cosa avete a dirmi, signore? - La supplico di sedere, contessa. Il discorso non può esser breve... Intanto la ringrazio dell'avermi accordato questo abboccamento. La ringrazio non per me... ma per lei. - Dovevate parlarmi per cosa di gravissima importanza? Sappiate dunque che una sola è tale per me. - Ed è la sua figlia, lo so; ecco perchè son qui e perchè l'ho pregata a volere ascoltarmi a Lodi. Ma ora... per rasserenarla, le dirò, contessa, che ho la speranza di poter forse presto meritarmi i suoi ringraziamenti. - E dov'è dunque mia figlia? chiese allora impetuosamente la contessa, con un accento iracondo, non mitigato che da un tremito di singhiozzo. - Si rimetta in calma, signora contessa, e speri bene; perchè se la sua figliuola le comparirà presto innanzi, io confido che questo avverrà per mio merito. - Ma dov'ella è? torno a domandarvi. - S'io lo sapessi, vossignoria avrebbe avuto a domandarmelo? Essa troverebbesi già nelle sue braccia. A queste parole la contessa guardò il Galantino con un volto tra l'attonito e lo spaventato; poi soggiunse disperatamente: - Ma e che dunque siete venuto a far qui, se non sapete dove sia? ma e dove mai può essere adesso? O mia Ada!! - e cadde sul canapè. Quella disperazione fece colpo al Suardi, e si sentì sinceramente commosso; onde alzandosi da sedere ed avvicinandosi alla contessa: - Ma non stia a travagliarsi così, torno a ripeterle; perchè forse e presto e per opera mia ella potrà rivedere sua figlia. All'annuncio della disgrazia avvenuta, io che ho gente sparsa in tutte le parti del Ducato, e mezzi di comunicazioni a centinaja, ed esploratori pei contrabbandi, tosto ho detto fra me: Ben io la rintraccerò questa ragazza, e così vedrà la contessa Clelia come fa a vendicarsi un mio pari... Ed ho già de' contrassegni, contessa, e mi par bene che oggi o domani si verrà a capo di tutto e si verrà a saper tutto. Si consoli dunque e risparmi le lagrime. Vuol ella, contessa, ch'io debba essere venuto qui per nulla? Per consolarla sono venuto qui. Onde capacitarla poi ch'io sono un galantuomo, e non un tristo nè un ribaldo, le dirò che di noi due non so chi più desidera di venir a capo d'ogni cosa. Si consoli dunque, contessa, e rasciughi le lagrime e m'ascolti. - Ma per darmi una così lieve notizia vi siete messo espressamente in viaggio per Bologna? rispose la contessa rimettendosi in qualche calma. È ciò verosimile? Posso io prestar fede alle vostre parole? - Chi v'ha detto, contessa, ch'io andassi a Bologna? Io trovavami in giro per affari miei particolari. Dato fine ai quali, recavami a Piacenza così per diporto. Di modo che, allorquando vi ho veduta, sospettando o che foste già al fatto della disgrazia, o foste per saperla, ho creduto dover mio il mitigarne il colpo, cercando di dirvi quel che io aveva fatto per voi e le speranze che ne concepivo; ecco tutto. Quando il Suardi ebbe ciò detto, donna Clelia fatta certa dalle parole dell'avvocato Strigelli che il rapitore non poteva essere ch'egli solo, fu per investirlo con impeto e parlar chiaro, e pigliarlo di fronte; ma si trattenne, paurosa di irritarlo e di peggiorare la condizione delle cose, onde si tacque perplessa. Nè dal canto suo il Suardi sapeva tirare innanzi il discorso. Egli era piantato male, ed aveva fatto un passo falso, e una passione gli lavorava terribilmente di dentro; una passione di cui non aveva mai subìto il dominio in tutta la sua vita. Egli era venuto lì per manifestare l'animo proprio alla contessa, per dirle quel ch'era passato tra lui e la fanciulla Ada, per ottenere da lei pacificamente una parola che togliesse ogni ostacolo a' suoi desiderj. Ma quando fu al punto di parlare, non si sentì la sfrontatezza di farlo. D'altra parte non volea confessare d'essere stato l'autore del rapimento, perchè pensava alle conseguenze, e volea pur serbarsi un varco alla ritirata; e nel tempo stesso rifletteva che, per costringere la contessa ad una risoluzione, bisognava pure che le facesse toccar con mano come la fanciulla fosse in suo pieno arbitrio, e che un matrimonio era pure il solo mezzo per finir tutto senza scandalo e in pace. Qualche nostro lettore potrà dire che, in uomini della natura del Galantino, è impossibile una passione amorosa di quella forza, di quella intensità, di quella durata; e che l'abito della sfrontatezza così vecchio in lui doveva soccorrerlo anche in quella circostanza. - Il lettore può aver ragione, ma il vero è che il Galantino, al contatto di quella passione affatto nuova per lui, e in conseguenza di quella sua condizione mutata, subì veramente in parte quella trasformazione. Al fatto della ricchezza, alle apparenze del gentiluomo, erano susseguiti in lui anche i sintomi di una natura quasi nuova. Le facce dell'uomo sono molteplici, e sbaglia chi lo considera da un lato solo. Non v'è mortale, per quanto tristo, che non abbia in sè un germoglio di qualche virtù. Ciò, per fortuna, lo hanno detto cento altri, onde ne sarà più facile l'essere creduti. Però non è detto che un tal germoglio non possa fruttificare col tempo, e al contatto di circostanze speciali; sebbene l'uomo antico di quando in quando torni pur sempre a far capolino attraverso alle cangiate abitudini dell'uomo nuovo. Ecco perchè tra questo colloquio del Galantino colla contessa, e l'altro ch'ei tenne con lei medesima a Venezia, l'intonazione è così diversa, che ci par quasi di trovarci al cospetto di un'altra figura. Ma non si tratta di un dramma in cui l'azione si svolga in ventiquattr'ore; in un giorno un uomo non può menomamente modificare il suo carattere: ma nel corso di una vita intera ben si può dire che, dall'adolescenza alla gioventù, alla virilità, alla vecchiaia, egli presenta nell'animo tante alterazioni quante appaiono nella sua faccia. Non è che l'arte di convenzione quella che considera un uomo come se fosse fatto d'agata, e come l'agata impenetrabile dal tempo. Chi applicò alla vita l'osservazione continua, ci saprà dire se abbiam ragione. Continuando adunque il silenzio più che la circostanza lo avrebbe dovuto permettere, la contessa ebbe campo di volgere in mente più pensieri, e infine: - Sentite, signore, gli disse. L'iracondia era scomparsa, l'accento mutato, e ad infletterlo non era rimasto che un fremito lieve lieve e quasi non avvertibile di singhiozzo; e coll'accento mutato erasi mutata anche l'espressione del volto della contessa. Esso appariva sconvolto ma tranquillo, ma soffuso di un languore soave, e il labbro per la prima volta schiuse al Galantino un mesto sorriso. Il Galantino non aveva mai vista che la severità la più arcigna nella bellezza solenne della contessa; onde quel sorriso gli fece un senso nuovo e gradito. - Jeri, continuò la contessa, un uomo stimabile mi parlò di voi lodandovi. - Di me? - Di voi... e mi disse che molti sventurati hanno benedetta la vostra carità. - Io non so... - Lo sapete e ne dovete sentire una gran compiacenza. Ah... io vi prego dunque di continuare in questa vostra bella disposizione d'animo. Pensate che è una madre che ha perduta la sua unica figliuola quella che vi prega. Ditemi dunque tutto sinceramente; io non proferirò parola per lamentarmi. Quel ch'è stato è stato. Foste voi dunque a levarla dal convento? Ditemi tutto, tutto. Dopo una pausa significantissima: - Io no, rispose il Suardi, quantunque l'avrei voluto. - Voluto, ma come voluto? Io vi comprendo meno ancora di prima. Voluto?... - Sì... perchè... - Quando io ci penso, contessa, quasi non posso crederlo a me medesimo; ed ora ascoltatemi, ma senza andare in collera. - Che?... - Io sono perdutamente innamorato della vostra figliuola. - Ah!! e la contessa mandò un respiro affannoso, e torse lo sguardo dal Galantino. - Con ciò vi sia spiegato l'interesse che mi son preso per la disgrazia avvenuta alla vostra figliuola, e l'essermi potuto dimenticare dell'ingiuria che mi avete fatto, e della posizione orribile in che mi avete posto. Con ciò potete credere alle mie parole, e vivere sicura che tutto quello che ho fatto per venir sulle tracce della vostra figliuola, non l'ha fatto nè il Senato, nè il Capitano, nè altri, ad onta dei loro bandi e di tante guardie mandate dovunque. Io ho scoperto tutto, io so tutto. Ed ora credetemi e consolatevi; la vostra figliuola è in salvo, e consolatevi di più, pensando ch'ella è oggi quel giglio puro e immacolato ch'ella era quando uscì di monastero. Consolatevi e credete alle mie parole, chè, per Dio, non sono un bugiardo. La contessa si alzò, e per un istante fuggitivo brillò un raggio di contento su quel suo viso augusto; ma poi si rabbujò di nuovo, e: - Finchè, disse, voi non mi diate la spiegazione del fatto da parte a parte, giacchè asserite di saper tutto; e la spiegazione non sia tale che mi si snebbii la mente e mi si dilegui ogni mistero, e non vi sia nulla più per me d'inverosimile, perdonate, io non vi credo. - Questo è giusto, ma prima è necessario che io apra tutt'intero l'animo mio, e vi esponga la vera e prima cagione, l'unica ragione per cui son venuto qui, e ho tanto insistito per potervi parlar prima a Lodi. - Parlate, in nome di Dio, ch'io sto ad ascoltarvi. Il Galantino fece due o tre passi per la camera, poi disse: - L'amore che mi ha inspirato quell'angelo della vostra figliuola è tale, quale non ho mai provato in tutta la mia vita: esso è di quella forza che non può esser vinto senza che... ma voi vi corrucciate. Io taccio. E si diede a passeggiare innanzi e indietro rannuvolandosi anch'esso. - Continuate, continuate, disse poi la contessa, riassumendo nel viso la più completa espressione della severità e dell'orgoglio; chè essa voleva sentir tutto, e nel tempo medesimo voleva quasi porre un freno alle parole del Galantino. Ma questi si piantò in faccia a lei, e come tediato della propria perplessità e di quella delicatezza riguardosa di cui egli stesso era maravigliato, tentò quasi a dire un colpo arrischiato e risoluto. - È inutile ch'io vada in cerca di parole e di modi nuovi per far dei lunghissimi giri intorno al mio solo desiderio senza esprimerlo. Parlerò dunque schietto e breve. Il mio desiderio è di unirmi in matrimonio colla vostra figliuola. Ecco tutto. Donna Clelia che stava ritta in piedi appoggiata al canapè col braccio sinistro, avendo al lato destro il Galantino, al quale non guardava, osservando in sua vece un quadro che aveva dirimpetto, piegò un momento la testa a quelle parole, e con quei suoi grandi occhi neri saettò il Galantino d'uno sguardo così, diremo, gonfio di sprezzo e d'orgoglio, che valse per mille parole d'insulto; e il Galantino si sentì ferito al punto da smarrire ogni pazienza, ogni riguardo. - E ben questo m'attendevo! così proruppe egli di fatto. Voi altre signore dame potete morire per la perdita delle vostre figliuole, potete gettarvi dalla finestra per la disperazione, ma nel tempo stesso il vostro orgoglio farebbe morir le figliuole di consunzione e di crepacuore, e le metterebbe al punto di darsi la morte piuttosto che appagare un'affezione innocente del loro cuore, quando di questa affezione ne sia oggetto un giovane, un uomo che non appartenga al vostro ceto. Crepi la figliuola, va benissimo, ma guai s'ella non si marita a un conte, a un marchese, a un duca; crepi la figliuola, non c'è nulla in contrario; la tenera madre ha sempre tempo di piangere dopo con comodo. Siete tutte fatte così voi altre signore dame. Orgoglio e niente di più, e affezioni finte e dolori affettati e lagrime da commedia. Tutte così; sciocche, ignoranti e dotte, nella boria andate tutte d'accordo. Del rimanente mi fate ridere, contessa. Se si presentasse a domandar la mano di vostra figlia il conte M... per esempio (e pronunciò intero quel nome), o il barone C... (e nominò anche costui per esteso), od altri di tal fatta, i cui padri, cinquanta, sessant'anni, cento anni fa, voglio essere abbondante, appartenevano alla più marcia plebe; e comprarono poi i titoli coi danari o con servigi equivalenti, servigi non gloriosi, intendiamoci bene... perchè so distinguere anch'io cosa da cosa... e allora si vedrebbe che edificazione, che complimenti, che festa, che allegria in casa per la grande fortuna della sposina!! Ma se tutto l'ostacolo sta qui, tranquillatevi contessa, provvederò io al resto... ho larghe tenute anch'io, e ville e case e oro e carrozze e cavalli... e tempra di salute invidiabile... e freschezza di gioventù ancor salda, e avvenenza, per Dio. Sappiatemi dire di grazia se quell'ometto ridicolo del conte M... può valere l'unghia d'un mio dito; sappiatemi dire se il barone C... con quel suo naso pavonazzo, ch'è lo stemma al naturale della sua casa arricchita nel vender vino, può vantare questa mia fronte... ampia e nobile, per Dio... Anche la bella apparenza è qualche cosa, signora contessa; che se a lei preme davvero che il marito della sua figliuola sia nobile, ci penseremo anche a questo; e se non io precisamente... mio figlio, o il figlio di mio figlio saranno conti... e questa condizione la metteremo nel patto nuziale. Codeste parole in bocca del Galantino è indubitabile che denno far senso. Ma coloro a cui per avventura potessero riuscire ingrate, si consolino pensando che le ha pronunciate un ribaldo in collera; quelli poi che ci vedessero balenar dentro pur qualche barlume di verità, riflettano che la verità non ha paura di farsi annunciare nemmeno dalla bocca dei tristi, tanto ella è invulnerabile. Ma la voce del Galantino, in ragione che parlava, s'era venuta alzando gradatamente, tanto che, alle ultime sue parole, donna Paola comparve all'ingresso della sala. - Ah! esclamò allora la contessa nel vederla, sentite anche voi... sentite, ajutatemi, consigliatemi; e fece tre o quattro passi rapidi dal canapè alla soglia della porta su cui donna Paola stava ritta e severa, e le prese strettamente la mano, traendola nell'altra camera e dicendo al Galantino, mentre gli si rivolgeva: - Aspettate. Passarono alcuni minuti. Il Galantino, alterato nel viso e parlando tra sè e se, misurava nel frattempo a gran passi la camera. Ricomparve poco di poi donna Paola sola. Ricomparve, e mettendosi a sedere e facendo sedere il Galantino: - Scusate, signore, disse, se mi prendo la libertà di dirvi che dovevate avere maggior riguardo al dolore profondo di quella povera donna. E pronunciò queste parole in modo che al Galantino sbollì ogni sdegno, e si sentì umiliato. - Vostra signoria mi perdoni, ma io venni qui con tutte le migliori intenzioni, e se ho potuto far dispiacere all'egregia signora contessa, ne sono sinceramente pentito. E di che sorta fossero le mie intenzioni, donna Paola può averlo appreso dalla contessa, s'ella ha detto a vostra signoria come la fanciulla sia ora in salvo, e tutto per opera mia. - Questo me lo ha detto... e se ciò è il vero, che non ne dubito, abbiate la bontà di riflettere, perdonate se parlo sincerissima, che le buone opere e i beneficj non hanno più nessun merito quando se ne chiede, anzi se ne pretende un compenso, e un compenso che soverchia il potere e le forze di chi dee darlo; poichè dovete sapere che non è nella contessa la facoltà di accordare o negare la sua figliuola in isposa a chicchessia; ma nel conte V... suo marito. Il decreto del Senato vi dovrebbe esser noto. Il Galantino non aveva in quel punto la mente al decreto senatorio, ed era lontano le mille miglia dal pensare al conte colonnello V...; onde, essendo rimasto fieramente colpito e sconcertato a quel nome, non seppe a tutta prima che cosa rispondere. - Vedete ora dunque, continuava donna Paola, che a voi non rimane che a compire l'opera meritoria e ricondurre la figliuola nelle braccia di sua madre. Il Galantino guardò per qualche tempo donna Paola; ma poi, dando a un tratto in uno scoppio d'ira: - Ebbene, proruppe, giacchè non si vogliono le vie tranquille... venga l'inferno ad aiutarmi. Giacchè non si vuole che quella fanciulla sia mia per sacramento, non sia più di nessuno; nè di me, nè di sua madre, né di suo padre, nè d'altri. So io quel che farò. Lascio tutta la mia ricchezza all'ospedale perchè i poveri sguazzino un momento; e fuori io e lei da questa vita maledetta, dove senza ricchezza non si fa nulla e quando c'è non vale a nulla, e la gioventù è un martirio, e la bellezza un'occasione di tormenti, e l'orgoglio il carnefice universale. Fuori di questa vita io e la fanciulla, e il conte e la contessa rimangano a consolarsi coi loro quarti. Così è e così sarà, lo giuro..., e vogliate perdonarmi questa visita inutile. Ciò dicendo si volse per partire, e già era alla porta, quando la contessa, uscendo con violenza dall'altra camera: - No, gridò, con accento disperato. No, fermate. Aspettate. Continuava la contessa: - Voi vedete la condizione mia infelicissima; parlate voi al conte. - Io non parlo più a nessuno. So quel che debbo fare. Fermo sulla porta il Suardi; muta a guardarlo la contessa, con uno sguardo della più intensa preghiera; pensierosa donna Paola col mento abbassato sul petto... Codesta scena si prolungò per qualche tempo. Infine donna Paola disse: - Io stessa parlerò dunque al conte. Siete contento di ciò? - Ci tornerò... - E mia figlia quando potrò rivederla? esclamò la contessa, giungendo le mani. - Quando lo vorrete voi, quando lo vorrà il conte; ma badi quel signore di non far motto di tutto ciò all'autorità. Tutto sarebbe perduto irremissibilmente, quando ei fosse per credere di aver tutto salvato.
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