V
Vi sono città la cui storia è tutta una disgrazia, come la
biografia di qualche infelice nato sotto la cattiva stella; città che nemmeno
coi sacrificj possono placare la maldicenza; di cui i meriti e le virtù reali e
le apparenti sono disconosciute e passate in silenzio; di cui i benefizj sono
retribuiti d'ingratitudine; città che, al pari di qualche padre, di qualche
madre, son disprezzate e bistrattate persin dai medesimi figli. Ci vorrebbe,
per esempio, un bel talento a sostenere che la
città di Milano sia stata il beniamino della sorte. Ella ha avuto le sue grandi
pagine storiche al pari di chicchessia. Ella ha avuto qualche momento in cui fu
piuttosto la prima che l'ultima; e questo momento, sebben sien corsi molti
secoli, è stato, salvo errore, forse il più glorioso di tutta la storia
d'Italia. Ella ha dovuto ed ha voluto patire e dissanguarsi per sè e per gli
altri. Ella ha dato il suo contingente d'uomini grandi a tutte le discipline
che fanno la civiltà; ella ha murato i suoi giganteschi edifizj, ella ha dato
la sua schiera eletta di artisti per decorarli; ella fu così gentile e così
amante del grande, del bello e del buono, che qualche nobile intelletto, mal
compreso e infelicissimo altrove, raccolse qui le sue tende, e qui diventò
famoso. Dopo tutto ciò è una gara universale di ripetere quel che Alfieri già
disse in quel celebre sonetto, dove, lacerando le genti d'Italia come pagine di
un libro che si disprezza, sentenziò che i Milanesi non sanno far altro che
mangiare:
I buoni Milanesi a banchettare;
sentenza che Foscolo, forse a gratificarsi la grande ombra
del suo modello, peggiorò e trasmutò e condensò in quel tal predicato
disprezzativo che non amiamo ripetere. È dunque destino l'essere maltrattata in
verso e in prosa, l'essere ingiuriata anche dagli uomini sommi e santi. Persino
i suoi figli fanno a gara nel percuoterle ad ogni ora il seno abbondantissimo
di latte nutriente; e noi stessi che diciam questo e parrebbe quasi volessimo
prenderci l'impegno di difenderla, noi stessi ci assumiam l'incarico, per usare
una frase d'ingegnere di campagna, di ricevere la consegna di tutti i suoi
elementi materiali e morali che la compongono, in un momento che tutta quanta
ella sta abbandonandosi ai piaceri del banchettare. Tuttavia noi non crediamo
di offenderla, perchè, avesse ella pure avuta in addietro questa geniale
tendenza, e che vuol dire perciò? Non sempre
si deve creder nell'allegria di coloro che sembrano
allegri; spesso l'uomo da cui più scoppietta la facezia, è il più melanconico
di tutti: talvolta è un modo tutto suo di salvarsi dalla pressura dell'affanno.
Chi più si tuffa nell'onda di Lieo, creperebbe d'amarezza se non esilarasse con
esso il percosso ingegno. Ci fu un savio che quando vedeva taluno ebbro più del
solito, e per gli effetti dell'ebbrezza intento a tenere in giocondità la
brigata: Dio sa quanto costui ha sofferto! pensava tra sè, e convertiva in
pietà quel primo senso di gajezza che in lui destava la presenza dell'uomo
eccitato dai vapori del vino.
La città nostra sotto il martello di Uraja, nell'eccidio del
Barbarossa, in mezzo ai cani di Bernabò, nei tradimenti onde abortì il triennio
decorso dall'ultimo Visconti al primo Sforza, fra i pidocchi dei lanzichenecchi
e le atroci guasconate dei gendarmi dei re di Francia, quasi a dare uscita
all'affanno che minacciava di scoppiarle di dentro, ebbe sempre
pronto l'aculeo della sua strofa vernacola che celò il pianto sotto alle risate
gioviali e sonore; e lo celò al punto che quasi parve indifferente alle vecchie
ingiurie, ai dolori nuovi, alle minaccie del peggiore avvenire; e forse fu
allora che cominciarono a tenerla in basso conto quelli che, non sapendo che
piangere come fanciulli battuti, non riuscivano a comprendere come si possa
bere la cicuta ironicamente ridendo come Socrate. Da queste riflessioni il
celebre verso d'Alfieri potrebbe dunque ricever l'ultimo e il più vero suo
commento, e l'insulto di Foscolo verrebbe a ribadire il frons prima decepit
multos di Fedro. A ogni modo, nel secolo passato l'allegria della nostra città
era sulla sua superficie com'era nelle sue viscere. Ella si era dimenticata
delle sue antiche miserie, e non viveva in timore d'un peggiore avvenire. S'era
adagiata sul triclinio in pace, e non attendeva che a darsi buon tempo. Ma
tutta l'Italia e tutt'Europa facevan lo stesso. Venezia bella pareva non voler
più ricordarsi di Venezia forte. Parigi tripudiava come una baccante ubbriaca,
eppure se ancor non le muggiva il vulcano dappresso, già ne usciva il fumo dal
cratere. Ma è codesta una condizione inevitabile così dei popoli come degli
individui, di non pensar più alle cose serie, nel punto stesso che lor si
stanno maturando i gravi avvenimenti. Ed ora ritornando donde siamo partiti,
alcuni fra quelli che più avevano schiamazzato sotto al balcone a cui dovettero
affacciarsi donna Clelia e donna Ada, entrarono nella casa e domandarono di
poter parlare alla padrona. Erano alcuni priori di maestranze che chiesero,
affermativamente, ben s'intende, di festeggiare nell'occasione della prossima
vigilia di san Pietro il ritorno della contessa, e il felice ritrovamento della
sua figliuola. Noi crediamo che la contessa avrebbe volontieri fatto senza di
quella pubblica dimostrazione, e probabilmente anche il conte; ma non essendo
di prammatica il rifiutarsi, perchè il rifiuto non significava che il desiderio
di risparmiare quel migliajo di zecchini, di cui tante quote entravano in
quante erano casse di maestranze; espressero a quei bravi maestri operaj, colla
consueta fraseologia della modestia di convenzione, la loro gratitudine; e si
chiamarono assai felici, quantunque non meritevoli, di essere tanto onorati.
Onde quei priori, usciti di casa Pietra, si recarono tosto alla casa Crivello a
farvi anche colà un'abbondante messe di gratitudine.
Adempiuto a questi preliminari, su tutti gli angoli della
città si affissero gli avvisi che la vigilia della festa di san Pietro vi
sarebbe stato banchetto generale notturno alle porte delle case, e questo a
glorificazione del Santo, e ad esultanza pubblica pel miracolo avvenuto nelle
persone delle nobilissime zitelle donna Ada del conte V... e donna Giacoma dei
marchesi Crivello.
In sabato dunque era stata fatta la dimostrazione sotto al
balcone di casa Pietra. Alla domenica furono pubblicati gli avvisi. Al lunedì
tutta la città non fece altro che pregustare l'allegria della prossima notte, e
darne le disposizioni, perchè la festa di san Pietro cadeva in martedì.
Chi vuol farsi un'idea del trambusto giocondo che era in
tutta la città in quel giorno, non deve far altro che esagerare l'idea della
gioja che penetra in tutte le famiglie alla vigilia e all'alba del dì di
Natale, gioja temperata soltanto da qualche velo di melanconia nei capi di
famiglia i quali devono dar le mancie e son fuori affatto dal tiro di poter
ricevere regali. E dalle intime consolazioni passando al movimento materiale
della città, per farsene una imagine non si deve che esagerare il quadro del
giorno del Corpus Domini in quelle contrade e in quelle case dove e innanzi a
cui passa la processione; e, se occorre, risalire colla memoria a qualche anno
addietro, quando in codeste faccende delle pubbliche processioni la città, e
segnatamente il popolo minuto, pigliava un interesse che più non suole avere
oggidì: giorno solenne in cui quelle case che guardano nelle contrade
privilegiate si riversano, per così dire, tutte al di fuori, e segnatamente le
popolane. La coperta gialla di filugello assume nuovo incarico, e va a servir
di tappeto alla finestra e al poggiuolo; le secchie di rame e le secchioline di
latta emigrano dalla cucina e vanno ad appendersi all'archetto della porta,
fatte più lucenti del solito dalla cenere e dal pomice, per esser pari
all'onore di tenere in fresco qualche mazzo d'ortensie appariscenti, circondate
d'arundini listate.
Il canarino, il fringuello, il capinero, il merlo, soliti a
far compagnia alle vecchie casalinghe, lasciano anch'essi la cucina e il
terrazzo, e vanno a pigolare al pubblico, sulla porta della casa, o nelle
gabbie messe a nuovo e guernite di foglie di lattuga e d'indivia, ornamento e
cibo al tempo stesso. Giorno solenne, in cui chi possiede qualche vecchio
arazzo è sollecito di decorarne le pareti esterne della casa; e la solerte
fanciulla espone al pubblico il tuo tappeto a scacchiera d'arlecchino, fatto
coi ritagli di panno a vario colore, sfuggiti già in più anni alla forbice
paterna.
Se dunque per una festa che deve durare mezz'ora è tanta la
giocondità che percorre le case, ed esalta segnatamente le persone giovani e i
ragazzi, è facile imaginarsi che commozione febbrile ci doveva essere nei
preparativi di una festa pubblica che aveva a distendersi da un capo all'altro
della città, e in cui la devozione pel santo festeggiato e le congratulazioni
per alcune persone a cui si credeva che in quei giorni la fortuna avesse voluto
dare una beneficiata, dovevan ricever la loro sanzione ed essere documentate da
tante cene quante eran case in Milano; e in cui tutti gli stomachi, come
avviene nel dì di Natale, avevano il permesso di affrontare tutti i pericoli di
una replezione, e gli aridi esofaghi d'inaffiarsi al punto che cessasse il buon
accordo tra le teste e le gambe. E le case si riversavan davvero tutte al di
fuori, e tutte si affannavano di parere sempre
qualche cosa di più di quello che erano. Chi era avvezzo a mangiare in piedi e
sulla nuda tavola di peccia plebea, sfoggiava la tovaglia e i tovagliuoli; chi
mangiava per consueto ne' cucchiali di legno sfoggiava i cucchiali d'ottone
luccicanti e tersi. Tra le case signorili poi era una gara a chi metteva in
mostra più ricchezza e più varietà di vasellame d'oro e d'argento. Tutto il
giorno di lunedì fu passato in apparecchi; i cuochi patrizj si apprestarono a
dar saggio di tutte le risorse dell'arte loro; i maggiordomi discesero nelle
vietate cantine a farvi una meditata scelta delle bottiglie più decrepite,
consultando ed esplorando in cento modi il turacciolo se mai desse indizio che
la soverchia vecchiaja del vino non lo avesse mai convertito in aceto. E nelle
case medie e nelle povere e nelle poverissime era un affaccendarsi in altro
modo. Le oche e le anitre plebee erano state fin dall'alba prese d'assalto
dalle solerti madri e dai padri ghiottoni, che dalla bottega giravano l'occhio
anche in cucina. Gli splendidi tacchini di otto in dieci libbre, distintivo
della classe mercantile che aspira a regioni più eccelse, erano scomparsi tutti
fin dal giorno antecedente dal Verzajo, dal Cascinotto, da san Clemente,
contrada riputatissima fin d'allora nell'industria dei polli ben purgati e
nell'arte di condurre al punto supremo la putrefazione della beccaccia; e le
beccaccie e le beccaccine e i fagiani e i francolini e le folaghe, ecc., e
tutta quella specie e sottospecie d'uccelli, che costituiscono, quasi a dire,
l'alta nobiltà del regno ornitologico e che perciò hanno il diritto e l'obbligo
di puzzar più degli altri, eran già tutte passate dalle panche della piazza
alla prelibata moscajola della cucina patrizia.
Se non che ad intorbidare tutto questo allegro movimento
della città avvenne quello che avviene quasi sempre
allorquando il bel tempo e la più perfetta serenità del cielo è un elemento
indispensabile al buon andamento di una festa pubblica. La statistica delle
illuminazioni, sebbene non si possa garantire della sua esattezza, porta che
una buona metà vennero offuscate dalle nebbie e dalle nevi, e spente
sgarbatamente dal vento e dagli acquazzoni. Nei giorni della canicola e negli
eterni del giugno e luglio, in cui il sole par che faccia di tutto per
provocare l'ingratitudine de' mortali; chè dalle quattro del mattino ha
l'indiscrezione di risplendere fin quasi alle nove della sera: in questi giorni
in cui la pioggia è invocata come un beneficio salutare, essa è inflessibile, e
non cade mai e sembra quasi compiacersi del
tormento dei postiglioni che affogano tra i vortici della polvere delle strade
postali, e dell'ira dei poeti che non trovano la rima, impediti dall'afa e
dalle cattive digestioni. Ma solo allora che per un pubblico spettacolo si
voglia approfittare di questa troppo cortese disposizione del cielo, state bene
attenti che di punto in bianco si lascerà scorgere sull'orizzonte qualche
nuvoletta bigia a sgomentar gli appaltatori che sospirano il guadagno, e il
pubblico che sospira il divertimento.
Ma lasciando questa oziosa digressione, capitò dunque che in
quel dì della vigilia di san Pietro, dopo che il sole per venticinque giorni
aveva infuocata la città, dardeggiando senza interruzione per sedici ore al
giorno; precisamente verso il mezzodì, per la prima volta e senza avvisi erasi
ritirato dietro a un gruppo di nuvole di cattiva qualità, le quali misero
l'incertezza in tutti quanti e fecero nascere molti alterchi nelle famiglie,
perchè gli spiriti eran diventati acri pel dispetto, dacchè i banchetti non
avrebbero avuto la metà del loro prestigio senza luna e senza stelle, e la
pioggia li avrebbe resi affatto impossibili.
La fortuna però volle che, dopo essere stata la città
continuamente in forse fin oltre al tramonto sulle mutazioni del cielo, al
segno che alcuni pensavano per fino di trasportare al dì dopo, e di pieno
giorno, e nell'interno della casa la loro quota di giubilo da consumarsi a
pranzo; verso un'ora di notte un venticello inaspettato rendesse affatto
sgombro il cielo; e la luna fosse pronta al suo posto, e le stelle popolassero
il firmamento. Onde tornò la lena ne' petti, e giacchè le cene dovevano
incominciare al tocco della mezzanotte, quelle ore intermedie si impiegarono
nell'apparecchiar la tavola fuori delle porte di ciascuna casa, ed a metter la
facciata delle case in quella maggior gala che era consentita dalla condizione
dei padroni e degli inquilini. E venne anche la mezzanotte. E allo
scampanamento che si fece sentire, com'era di pratica, agli orologi pubblici,
tutta la città si mise a tavola, senza che fosse più incomodata da cavalli, da
carri, da carrozze, perchè era severamente proibito a chicchessia d'uscire a
quel modo nè per diporto nè per bisogno; rimanendone il privilegio a coloro
soltanto per cui si faceva la festa; i quali anzi, qualche tempo dopo lo scocco
della mezzanotte, dovevano per consuetudine fare il giro di quasi tutta la
città in carrozza. Così dunque le carrozze di casa V... e quelle di casa
Crivello si misero in movimento, allorchè qualche bottiglia era già stata
vuotata tanto alla tavola dei ricchi che a quella dei poveri.
Ed ora, se il nostro racconto fosse un poema, l'invocazione
della Musa sarebbe indicatissima. Ma invece, quando il lettore ce lo permetta,
essendo assolutamente necessario di animare gli estri per riprodurre al vivo e
al vero quella scena notturna, beveremo anche noi in anticipazione una buona
bottiglia d'un vino che oramai più che all'enologia, può appartenere
all'archeologia, quasi come il falerno d'Orazio; un vino che fu spremuto dai
grappoli nel vendemmiale del primo anno di questo secolo. Per quello che
dobbiamo far noi, che teniamo al guinzaglio cento anni, cinquanta del secolo
passato e cinquanta del secolo corrente, l'ispirazione non può venire da Musa
più propizia di questa bottiglia contenente il Napoleone dei vini, maturato
anch'esso tra due secoli e capace di spumeggiare arbitro tra l'uno e l'altro.
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