II
Quando il Bruni si trovò, dopo lungi stenti, sotto ad uno degli
archi della rotonda, fu adocchiato alla lunga da suo padre; sì, signori, da suo
padre ancora vivo, ossia dal signor Lorenzo, il decrepito marito della
ballerina Gaudenzi; colui che, se il lettore se ne ricorda, era un giacobino
nato fatto, prima che dei giacobini nessuno sospettasse per ombra nè
l'esistenza nè l'appellazione; il signor Lorenzo Bruni, che contava i suoi
ottantadue anni come se fossero ottantadue zecchini l'uno sopra l'altro, e che,
avendo visto di presenza a nascere la rivoluzione in Francia, s'era consolato
nel vedere l'attuazione di quelle cose ch'egli in confuso aveva pensato e
desiderato quarant'anni prima. Vicino a lui era il prevosto Lattuada di Varese,
prete fenomeno, e che poteva parere esaltato tra gli esaltati. V'era il frate somasco
Carrera, che, educato ai rigori della vita claustrale, di tanto lasciò
prorompere alla libertà la sua indole, di quanto era stata violentemente
compressa.
Adocchiato dunque dal padre e dagli amici, il nostro
Giocondo, che sta fra noi non vecchi e i nostri vecchissimi avi, come Enoc
stette fra Adamo e Noè, venne invitato e fu soccorso anche da un sagrestano a
trascinarsi fino a quella cappella privilegiata, collocata nei rapporti col
pulpito in modo, che della voce del predicatore non si perdesse alcun suono.
Ma il predicatore continuava la sua predica da qualche
tempo, onde i nostri ascoltanti lo seguirono coll'attenzione, appena seppero
togliere il bandolo del discorso:
"Reca dolore, così parlava il famoso arciprete di San
Lorenzo, reca dolore il mettere in vista cose di sì poca edificazione, e temo
che chi mi ascolta, più fornito di pietà che di lumi, prenda occasione di
scandalo, e pensi che convenisse dissimularle; ma chi parla al popolo credente
deve dire la verità tutt'intera. Un tale esempio
ce lo danno gli storici sacri. Mosè non dissimula i delitti del popolo, nè le
proprie sue colpe; Davide volle che il suo peccato fosse reso palese; gli
evangelisti, nel Nuovo Testamento, rappresentarono concordi l'infedele caduta
di San Pietro.
"Io so che alcuni uomini ammalati di pregiudizj e
d'ignoranza incurabile, perchè non amo credere ad altre cagioni meno oneste,
andarono insinuando, e dal pulpito quando avevano coraggio, e dal confessionale
quando avevano paura, che non bisognava dare ascolto alle mie parole, che io
non possiedo nè sapienza nè dottrina, che abuso di quella autorità di che sono
stato rivestito. Ebbene, io voglio dar ragione anche a costoro; io voglio che
non crediate alle mie parole; io stesso, dirò di più, non mi attento di star
sicuro della mia sola opinione: ma che direte quando i più grandi luminari
della storia ecclesiastica mi daranno ragione? che direte quando parleranno gli
evangelisti, dai quali io non ho fatto che attingere quello che già vi ho
detto? che direte quando verranno gli stessi santi padri ad accusare la
condotta della curia pontificia? che direte quando gli stessi pontefici
confesseranno il vero in danno proprio, e non avranno paura di annunciarlo?
"Perchè chi vi ha detto che il papa sia infallibile, ha
detto menzogna. L'infallibilità da G. C. non fu data che alla Chiesa.
Quotiescumque congregati eritis in nomine meo, in medium vestrum ero.
"I santi Padri hanno osservato un profondo silenzio
sulla pretesa infallibilità del papa.
"S. Basileo accusò vivamente Damaso papa, perchè andava
in collera contro chi diceva la verità. Se San Basileo avesse creduto il papa
infallibile, avrebbe egli accusato il pontefice Damaso?
"Rustico e Sebastiano sostennero che il papa Virgilio
aveva combattuta la definizione del concilio di Calcedonia, cosa che fece dire
ad Eumaro arcivescovo, che questo papa era veramente eretico.
"Io sono sommamente scandalezzato da voi, scrisse San
Colombano a Bonifacio IV, imperciocchè la vostra condotta è grandemente
sospetta d'eresia. Se volete essere giudicato successore di Pietro, dovete
essere custode della di lui fede: Doleo de infamia cathedræ Petri: ut ergo
honore apostolico non careas, conserva fidem apostolicam.
"Può esservi espressione che più radicalmente distrugga
l'infallibilità pontificia? "Agostino Trionfa, tuttochè gran partigiano
del papa, nella sua opera Clavis Scientiæ, ha detto chiarissimamente, che il
papa è fallibile: Papa potest errare.
"Lo stesso Innocenzo III ha affermato che il papa può
errare come qualunque altro: facile crediderim, ut Deus permitteret, romanum
pontificem contra fidem posse errare.
"Ma tant'è vero che i papi sono fallibili, che la
storia registra i loro errori e i loro disordini. E anche intorno a ciò, se non
volete credere a me, se avete in sospetto i libri profani, se credete ch'io
parli per bocca dei nemici della chiesa, udite i suoi adoratori.
"Alcuino, scrivendo a Carlo Magno sulla corruzione
della corte di Roma, gli fa intendere, che in essa non vi regna nè pietà, nè
giustizia, nè carità; che egli non ha altro rifugio che ricorrere alla di lui
saviezza, e pregarlo, giacchè Roma non vuole porre argine a siffatti disordini,
di trovar mezzo con cui rimediarvi. - Ecce in te solo tota salus ecclesiarum
Christi inclinata recumbit.
"Chi non sa quel che scrisse S. Bernardo a Innocenzo
III? Fideliter loquor quia fideliter amo.
"Parlava sincero perchè amava sincero, e diceva che la
cagione del decadimento della Chiesa universale doveva trovarsi nella
corruzione della curia romana: In vos, pontifices, curiamque romanam. E nella
lettera ad Eugenio IV egli dice ancora di più.
"Nel consilio Remense, convocato nell'anno 992, è detto
con tutta quanta la libertà, che Roma era divenuta venale e che tutto dicevasi
e facevasi colà secondo la quantità dell'oro e dell'argento: Roma venalis
exposita; ad nummorum quantitatem judicia trutinat.
"Adriano IV ha detto che la corte di Roma era macchiata
di morali disordini: Scimus in hac sancta sede, aliquot jam annis multa
abominanda fuisse, et omnia in perversum mutata.
"Non sono io dunque che parlo; non è a me che voi avete
obbligo di prestar fede. Ma se venerate San Bernardo, se avete fede nei papi
Innocenzo e Adriano, se avete rispetto alla parola inappellabile dei concilj,
dovete dire che io non ho fatto che ripetere contro la curia romana e il potere
pontificale quelle accuse che furono già scagliate da quei grandi e santi
uomini. Ascoltate dunque coloro, se non volete ascoltar me.
"La veneranda Chiesa cattolica, egli è G. C. che la
istituì; le diede precetti fondamentali di umiltà, di giustizia, di carità; la
premunì pien d'amore per essa, di tantissimi sacramenti; la fecondò coi suoi
divini esempj, colla predicazione, cogli
stenti, colle fatiche; la consolidò col sangue e colla morte. Ma guardatevi,
disse a' suoi discepoli, che tra voi non escan fuori uomini scellerati e
perversi; tenteranno costoro di perturbarla, di disordinarla, di distruggerla:
Nascentur ex vobis viri peversi ut abducant post te discipulos suos. Il testo è
di S. Paolo.
"Ma che cosa dunque si deve fare per ovviare a tanti
disordini? Richiamare il pontificato alla santa semplicità
delle sue origini;. fargli restituite i doni funesti che ebbe dai re della
terra. Costringerlo, per dir così, ad esser santo, obbligandolo alla sola
giurisdizione spirituale. Uomini e sacerdoti ignoranti e pregiudicati vi hanno
detto che, tentar di smuovere la temporalità del potere papale, è atto
sacrilego, e tale da meritarsi la pronta punizione di Dio. Ma costoro come
faranno a chiamar sacrilego G. C.? come faranno a invocar su lui l'ira divina?
Dabo tibi claves regni cœlorum, ha detto G. C. a S. Pietro; e quando il popolo,
stupito de' tanti miracoli che operava, voleva farlo re, che cosa fece G. C.?
Fugit ne eum facerent regem; e che disse quando fra' suoi discepoli si agitò
quistione di maggioranza? Qui major est inter vos, fiat sicut minor; e di che
parole fece uso quando parlò dei re della terra? Reges gentium dominantur
eorum, vos autem non sic. Com'è dunque che, se i comandi e gli esempj
dati personalmente dal Redentore sono precisi, comandi ed esempj
da doversi fedelmente seguire, com'è che, mentre e G. C. e San Pietro hanno
avuto in orrore ogni sorta di dominio sopra gli altri, il papa potrà pretendere
monarchia terrena?
"Alla podestà temporale si oppone dunque il carattere
dell'ecclesiastica società, la dottrina e l'esempio
di G. C., gl'insegnamenti degli scrittori e dei Padri, la pratica fedelmente
seguita nei primi secoli della Chiesa.
"La società ecclesiastica non si propone altra cosa,
che disporre il cuore de' popoli a vivere secondo le massime del Vangelo, e
condurli alla vita eterna.
"Gesù Cristo non dà a' suoi discepoli altra autorità
che d'istruire, predicare e battezzar le nazioni: docete omnes gentes,
baptizate eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.
"Gesù Cristo non concede a' suoi discepoli altra
podestà che di legare e sciogliere dai peccati gli uomini: Amen dico vobis,
quæcumque ligaveritis super terram, erunt ligata; et quæcumque solveritis,
erunt soluta. Dal che ognuno ben vede che una simile podestà riguarda unicamente
la salvezza eterna degli uomini, ed ha soltanto di mira il dominio spirituale.
"Quando gli apostoli dissero a Gesù Cristo, allorchè i
Samaritani non l'hanno voluto ricevere: Fate scendere il fuoco dal cielo e
inceneriteli, "Che dite mai, rispose loro G. C., e di che spirito siete?
il figliuol dell'uomo non è già venuto a perdere uomini, ma a salvarli, filius
hominis non venit animas perdere, sed salvare". E quando Pietro troncò
l'orecchio a Malco, che gli disse il Cristo? Mitte gladium tuum in vagina,
omnes enim qui acceperint gladium, gladio peribunt.
"E i santi Padri? Udite i santi Padri; ascoltate
Sant'Ambrogio: Tutte le ricchezze della santa Sede non consistono in altro se
non nella fede. Ecclesia nihil sibi, nisi fidem possidet.
"E S. Fulgenzio che cosa dice? Udite S. Fulgenzio:
Tutta quanta l'autorità del pontefice riguarda lo spirituale e nulla più. In
sæculo nemo rege celsior" E Innocenzo III dice che l'autorità temporale
compete al solo re: Rex in temporalibus neminem superiorem habet.
"E dopo tutto ciò, sino a quando si vorrà far servire
il supremo sacerdozio all'errore, alla passione, ai disordini? Sino a quando
chi è supremo pastore delle anime, si avrà a vederlo disposto a servirsi della
religione come d'appoggio per estendere i suoi temporali interessi a taccia
propria, a scandalo universale, a distruzione della cattolica Chiesa?
"Ma sinora abbiamo udito Gesù Cristo, i santi Padri, i
pontefici più sapienti, gli apostoli, i concilj. Udiamo adesso coloro che
pretendono di saperne più di loro.
"Se si tolgano al papa, dicono essi, le ricchezze e il
temporale dominio, Roma, il papa, la Chiesa cadranno in disprezzo, quando
invece conviene che sian sempre presso i
popoli cristiani in somma venerazione." Ma non sentite voi tutti come sia
questa una manifesta follia? la disistima e il disprezzo non dipende tanto
dall'influenza delle umane ricchezze, quanto dalla mancanza delle evangeliche
virtù; la stima e la venerazione che si porta a chi abbonda di ricchezze, è una
venerazione e una stima apparente, effimera e falsa; quando, all'opposto,
quella che procede da una vita ricolma di virtù, è reale, è sincera, è soda;
questa riflessione ci somministra una pratica verità, la quale, senza che
l'accenniamo, ognuno può facilmente congetturarla.
"Tolgansi pertanto da Roma codeste terrene ricchezze,
tolgasi al papa l'affluenza dei beni che gode, ed ecco rinascere ne' sommi
pontefici il primitivo amore, ed eccolo riacceso anche nel cuor dei fedeli.
"Ma per conchiudere su questo punto delle ricchezze e
del temporale dominio del papa, voglio che sentiate quello che, al suo
segretario Eginardo, ha detto in punto di morte Carlo Magno, colui che esercitò
la sua liberalità facendo grandi donazioni al papa:
Rispetto alle mie militari imprese ed alle imprese politiche
ripeto le precise sue parole, niuna cosa è per cui tanto tema di avermi tirato
l'ira di Dio, quanto le cose che ho fatto in Italia. In quella occasione la mia
ambizione mi precipitò in mille iniquità. Ho ajutato i papi; ho rotto, a
persuasione di essi, il matrimonio colla figlia di Desiderio; l'ho rimandata
disonorata al padre.
Per colmar lo stajo delle mie reità, mi sono lasciato
indurre a far signori i pontefici romani di una gran contrada d'Italia, con che
veggo d'aver gettato i fondamenti della di lei totale rovina. Per la qual
cagione mi debbo aspettar da Dio un castigo severissimo, e la memoria mia sarà
avuta in abbominazione dalla italiana posterità. Il dominio di tante città e
provincie, in mano di un ecclesiastico, non può produrre che mali gravissimi.
Come mi giustificherò io dunque, o Dio, di tanti guai, delle tante guerre, e
delle tante calamità, che, per la donazione che feci alla Chiesa di S. Pietro,
sovrastano all'Italia?
"Queste parole di Carlo Magno sul letto di morte fanno
piangere a ripensarle oggi. Però non è fanatismo nè errore il dire, che la
soppressione del dominio temporale, ossia la distruzione di tutto ciò che portò
seco la fatale donazione di Carlo Magno, è l'unico rimedio per far cessare gli
orrendi abusi della corte di Roma e per salvare l'Italia.
"Sono secoli e secoli che la Chiesa mortalmente geme
sotto i disordini della corte di Roma, prodotti dal temporale dominio del papa;
tempo è dunque oramai che si dia contro di essi un colpo vigoroso, risoluto e
decisivo. I disordini allora cesseranno; la Chiesa, depurata da' pregiudizj,
trionferà; gli Stati saranno tranquilli; la pace sarà nel mondo; l'umanità
potrà finalmente provare tutti i beni dell'esistenza, e Dio sarà
glorificato."
A questo punto l'arciprete predicatore, il quale, esaltato
dal suo tema, aveva percorso tutto il diapason della sua voce sonora, cangiò
tono e modi a un tratto, come se l'oratore ecclesiastico cessasse dalle sue
funzioni e sottentrasse il cittadino consigliere ed amico del popolo; cangiò tono
e modi, e così prese a dire:
"A coloro i quali, siccome ho già fatto osservare,
hanno più pietà che lumi e buon senno, farà meraviglia che io vi abbia chiamati
qui per invitarvi ad assistere ad una rappresentazione in teatro, dove il
pontefice è messo in scena. Ma siccome è corsa voce, che alla persona del
pontefice fosse fatta ingiuria, e che una satira indecente lo esponesse al
dileggio del popolo, così vi esorto a credere, che questa non è che una
menzogna dei religiosi fanatici, e una vana paura degli spiriti deboli. Il papa
vi è rispettato. Bensì la rappresentazione è condotta in modo che serva di
ammaestramento al popolo, e proponga utili consigli a coloro che hanno promesso
di voler chiudere finalmente le vecchie piaghe d'Italia."
E il predicatore, dopo queste parole, scomparve dalla vista
dell'uditorio affollato, il quale cangiò l'attenzione silenziosa in un
bisbiglio, che man mano si fece sempre più
rumoroso; chè le varie opinioni vennero manifestandosi in tali discussioni, da
far credere che la rotonda di San Lorenzo fosse piuttosto un'aula parlamentaria
che una chiesa. Questa nullameno si andò vuotando a poco a poco, senza
disordine di sorta. Bensì avvennero disordini gravi sulla piazza della Scala e
nelle contrade laterali al teatro, per la gran folla che vi si accalcò verso le
ore tre dopo mezzodì. Lo spettacolo davasi gratis e a porte aperte, e tutti
volevano giungere in tempo per trovar posto. Vi furono risse e percosse. La
guardia nazionale accorsa vi lasciò qualche fucile e qualche lume e qualche
falda del marsinone bianco-verde. Molti veli e drappi e sottane furono messe a
lembi; molte donne furono portate semivive
fuori della folla.
I fortunati siamo noi soli, che, senza fare anticamera,
potremo recarci in teatro un momento prima che si alzerà il sipario; e
probabilmente avremo l'accesso a qualche palchetto, o troveremo un posto in
orchestra, o sul palcoscenico addirittura. Da questi punti, oltre lo spettacolo
teatrale, godremo lo spettacolo del pubblico, e percorrendo col cannocchiale le
cinque file dei palchi, faremo di riconoscere i vecchi amici dai loro
discendenti, e qualche cara beltà; e spingendo l'occhio indagatore
nell'indistinto brulicame della platea, vi scorgeremo qualche elmo a criniera,
che coprirà la testa giovanile di chi, sebbene uscito di plebe,
Forse è chiamato a non oscuro imene.
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