IV
Intanto che quell'occhio beffardo scintillava, il primo
violino, signor Peruccone, fatto d'occhio al buttafuori, mise lo strumento alla
ganascia, e accennò che si desse principio al preludio del nuovo ballo, la
musica del quale era stata scritta dal signor Pontelibero Ferdinando.
La Cerrito e la Taglioni crediamo sieno giunte in tempo per
essere accompagnate dal suo violino; chè egli fu il successore appunto del
professore Peruccone. Lo spirito repubblicano e le idee democratiche che fin
dal 1750 bollivano, non si sa come e per un arcano presagio de' tempi nuovi,
nel signor Lorenzo Bruni, passarono, comunicate forse allo sgabello teatrale, fino
al signor Pontelibero, che, leggendo Rousseau al pari del signor Lorenzo, fu
de' primi a tendere l'orecchio avido alle cose di Francia; de' primi a
desiderare che l'ondata rivoluzionaria venisse a gettarsi con impeto sulle
coste d'Italia; de' primi a far festa all'ingresso delle truppe francesi, e a
portarsi fin sotto allo scalpito del cavallo bianco di Bonaparte, per vedere
dappresso il giovane imberbe che, colla severa maestà del sopraciglio e colla
preponderanza, quasi parea, di un Dio, teneva in timorosa obbedienza i più
anziani eroi sanculotti, irti di chiome e di basette.
Del rimanente, se mai il lettore ci domandasse, per qual
ragione spendiamo tante parole pel signor Pontelibero; diremo che, trattandosi
dell'autore della musica coreografica, che fu certo un avvenimento di quel
periodo di storia italiana, bisognava bene che si sapesse con che idee, con che
convinzioni il suo autore abbia infiammata la propria inspirazione nello
scriverla. Così potessimo dire altrettanto del signor Lefèvre; ma se molti lo
hanno conosciuto, nessuno trovò una variante alla notizia nuda e cruda, ch'esso
era un galantuomo, convertito, di semplice
mimo che era stato, in coreografo, quando s'accorse che per vivere ci voleva il
concorso di due mestieri. Il pensiero del Ballo del Papa, e quello di portare
sulla scena, concentrata in dramma visibile, una delle questioni più gravi
suscitate dagli avvenimenti d'allora, era venuta dal cittadino Salfi, che aveva
steso e sceneggiato il programma; e questo, per un'idea balenata nella testa
fervida del prevosto Lattuada di Varese, la quale idea, chi sa, era forse stata
suggerita dalla perfetta somiglianza che la figura del ballerino Lefèvre aveva
con quella del Pontefice Pio VI.
Ma, a proposito del libretto del ballo, immaginato e scritto
dal cittadino Salfi dietro suggerimento del prevosto Lattuada: come avvenne che
di seimila e più copie che ne furono stampate allora, tutte siano scomparse
oggi? nelle numerose collezioni de' magazzini librarj e delle case private che
noi abbiamo esplorate, in quelle, vogliamo dire, dove era presumibile la
possibilità di rinvenire un tal documento curioso; nelle stesse collezioni
delle pubbliche biblioteche, abbiamo trovato un salto e una lacuna precisamente
alla sede del famoso libretto.
Se fosse stato ritirato o fatto abbruciare in piazza per
comando della pubblica autorità, la cosa sarebbe ben chiara; ma non avvenne mai
nulla di simile: che cosa adunque è a conchiudere da un tal fatto? che le
coscienze, appresso, devono aver subìta la legge della paura; che i proprietarj
de' libretti devono aver fatto in segreto il loro auto-da-fè, per timore che il
papa, il quale aveva, come per tanti anni pretese il pubblico pregiudizio,
mandate a male le sorti del primo Napoleone, compromettesse, per vendicarsi di
quel libretto conservato, anche i loro affari privati. Così i libretti
sparirono tutti, e se noi ne abbiamo trovato uno, è perchè il libraio Silvestri
gli risparmiò il rogo, e gentilmente ce ne fece tener la copia.
Ma or tornando in teatro, le cadenze del preludio finirono
tra gli applausi del pubblico; e il sipario si alzò.
Comparve la sala del concistoro in Vaticano; il papa era
assiso sul trono; i cardinali, i vescovi, i prelati, i teologi, secondo
l'ordine loro, gli sedevano intorno; il nipote del papa e il principe romano
stavano ai due lati del trono.
La platea applaudì alla stupenda scena, imaginata e dipinta
dal fantasioso Landriani; ma di mezzo agli applausi si fè sentire la nota
tenuta di un fischio acuto, la quale andò smorendo a poco a poco nel vasto
recinto. Nè quel fischio era uscito per far opposizione al pubblico. Chi lo
aveva emesso non s'intendeva gran fatto di scenografia, e non era nemico del
Landriani; ma, veduto il pontefice, non volle tardare a manifestargli le sue
simpatie. Quest'incidente lo sappiamo dalla bocca dell'amico Bruni, che
dall'orchestra vide l'uomo che fischiava, ed era il gobbo Rigozzi, noto allora
e dopo per la sua procellosa maldicenza, pel suo spirito irrequieto, e per la
foga onde s'era dato a diffondere le idee parigine del tempo del terrore,
idolatra qual era di Robespierre e di tutti coloro che avevano inteso di
disfare a colpi di scure e di rifare il mondo incancrenito.
Ma qui ci conviene seguir passo passo il programma, perchè
il lettore d'oggi veda se meritava poi che ne fossero distrutte le sei mila
copie.
L'azione adunque s'apriva nel momento in cui il papa stava
consultando una congregazione straordinaria di cardinali, prelati e teologi,
sugli articoli della pace, proposti dalla repubblica francese. Questi articoli
si leggevano e si rigettavano con indignazione generale come contrarj
all'autorità della corte pontificia. Ma in questo mezzo un frate domenicano,
generale dell'ordine, acceso di zelo, si gettava a' piedi del papa per
dimostrargli che in quella decisione c'era più il voto degl'Inglesi e degli
Austriaci che degli Apostoli e dei Cristiani; onde il papa, maravigliato di
trovare ne' suoi teologhi lo zelo di S. Paolo, domandava ancora il voto degli
altri, che di bel nuovo proclamavano la guerra. E tosto il cardinale segretario
Busca stendeva il decreto della S. Congregazione dopo di che il papa brandiva
la spada fra gli applausi dei cardinali.
A questo punto, per produrre l'effetto voluto, e per mettere
nel pubblico la massima esaltazione ed esacerbazione, il coreografo, a ciò
sollecitato dal prete Lattuada, aveva raccomandato alle comparse, incaricate di
far le parti di cardinali, di applaudire con impeto e con insistenza, per
rendere il vero con quell'interezza da trarre in illusione la platea; ma tra la
platea e tra il palco scenico s'impegnò, pur troppo, una lotta di fischi e
d'applausi tali, da minacciare di uscire dalla sfera coreografica, perchè il
pubblico pretendeva che i cardinali cessassero di applaudire mentre questi non
se ne davano per intesi, sapendo di fare il loro dovere; e la cosa andò
tant'oltre, che le più basse ingiurie, accompagnate, per parte del loggione, da
alquanti pezzi di munizione di bocca convertiti in proiettili, furono scagliate
contro quella trentina di poveri diavoli, obbligati per trenta soldi a far il
cardinale e il teologo, e a farsi odiare senza colpa e maltrattare dal
pubblico. Gli uomini sensati però s'intromisero a gettar acqua sul fuoco; e,
per quella legge inversa onde talvolta i meno tirano i più, riuscirono a ricondurre
la tranquillità e a far proseguire il ballo.
E il ballo, dopo molto tempestare, continuava colla
spedizione del messo incaricato di partecipare la mente infallibile del S.
Padre agli agenti della repubblica francese. E qui si scioglieva la
congregazione; dopo di che si cambiava la scena in un interno della corte
pontificia, dove, per far luogo alle inevitabili donne, si rappresentava un
intrigo tra la principessa Braschi, nipote del papa, la quale aveva una
speciale predilezione per la guerra, e la principessa Santa Croce, la quale
invece si dilettava della pace. Se non che il papa, adulato e dall'una e
dall'altra, spediva il senator Rezzonico e il brigadiere Gandini per le
opportune disposizioni di guerra. Ma, a questo punto, di bel nuovo il generale
dei Domenicani, eccitato a parlar chiaro dalla principessa Braschi, prorompeva
ad accusare francamente l'inganno e l'impostura dei cortigiani che aggiravano
il papa; e coi gesti si affannava di esprimere quello che per fortuna diceva
chiarissimamente il libretto: Il ministro di una religione di pace non deve che
abjurare ogni pensiero di guerra. Il successore di S. Pietro deve maneggiare le
chiavi e non la spada. Bisogna seguire le massime degli apostoli, e non quelle
dei cardinali. L'eredità del papa è la Chiesa, e non già l'impero temporale
altrui usurpato.
Ma, a tutte queste sentenze belle e buone, il papa
rispondeva che, avendo parlato, ex-cattedra, la vittoria era assicurata: e così
finiva l'atto primo, nel momento che Pio VI partiva da una parte, seguito dalla
principessa Santa Croce, e il generale dei Domenicani partiva dall'altra,
seguito dalla principessa Braschi.
Fin qui può dunque vedere il lettore, che l'azione
coreografica, più che le intenzioni di una satira scandalosa, racchiudeva
quella di una ragionevole dimostrazione del vero e del giusto.
E cominciò anche il secondo atto, il quale, se si conservò
fedele alle buone intenzioni, si ribellò al buon senso drammatico; e, tanto per
tirare innanzi fino all'inevitabile quinto atto, presentava un miscuglio
triviale di qui pro quo, facendo che la principessa Braschi ad arte svenisse
nelle braccia del generale dei Domenicani, onde determinare il convenzionale
colpo di scena, per mezzo del cardinal segretario che, furtivamente
sorprendendo e principessa e frate, andava ad avvisarne il papa, il quale
compariva in iscena a risolvere la situazione, e a minacciare il generale dei
Domenicani di punirlo colla soppressione dell'ordine; e qui, dopo un altro
parapiglia indispensabile per mettere insieme un be1 gruppo, e che non merita
la pena di riferire, si sentiva in lontananza una cornetta da postiglione e,
pochi istanti dopo, entrava in iscena il brigadiere Gandini, ad annunciare
l'arrivo del general Colli, mandato dall'Austria per essere il campione del
papa. A questo punto cadeva il sipario, per dar tempo di preparare il grandioso
atto terzo.
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