V
Nell'intermezzo furono fatti circolare nei palchetti e nella
platea molti foglietti stampati, i quali contenevano il famoso proclama del
cardinal Busca, segretario di Pio VI, che, nel febbraio, prima della battaglia
del Sevio, era stato affisso su tutti gli angoli della città di Roma. Ci fu un
momento di silenzio, in cui non s'udì che il fruscio de' foglietti, che
passavano di mano in mano; poi seguì il mormorio di tanto pubblico leggente;
poi parole alte, e commenti e risate sonore.
E in un lato della platea, a un tratto si sentì a declamare
ad alta voce alcuni brani di quel proclama; onde tutti volsero le teste a quel
punto, e si misero in ascolto:
"L'Europa, da un estremo all'altro, tien fisso in voi
lo sguardo (nei soldati del papa); non dubita del vostro coraggio e d'un esito
felice che gli corrisponda.
"L'ottimo imperatore d'Austria", e qui ci fu una
salva di fischiate.... "L'ottimo imperatore d'Austria Francesco II, il
difensore magnanimo, l'avvocato della Chiesa romana, nel tempo stesso che manda
in nostro aiuto gl'intrepidi volonterosi ungari, transilvani, croati e
alemanni, vi ha spedito, alla prima richiesta del santissimo nostro affettuoso
padre Pio VI, uno de' migliori, più pregiati, più sperimentati di lui
generali... (e qui un uh!... sonoro e prolungato di quanti ascoltavano), che
solo vi mancava, che bramavate. Ei venne sollecito; è fra voi. Il nome solo di
Colli non vi commove, non v'infonde spirito, non ravviva gli animi di tutti i
popoli?... (A queste parole s'innalzarono da varj punti delle risate sonore).
"L'onor comune vuole da voi che lo stimiate un nuovo
Cesare, onde per mezzo vostro venga, veda, vinca. Fortunati voi che potete sperarlo
con tanto fondamento..."
E le risate continuarono, e intercalate ad esse de' sibili e
dei basta!!! I quali basta cominciarono a prendere il sopravvento.
Pur la voce continuava: "Voi, sotto l'immagine di
quella Vergine medesima, che vi ha eccitati a questa impresa, potrete dubitare
dell'amoroso efficace di lei patrocinio? Voi, generosi cavalieri, che nelle
vostre insegne portate lo sfolgorante segno della croce, non vorrete augurarvi
a credere fermato ne' divini decreti che, siccome Costantino il Grande vinse il
tiranno Massenzio in virtù di quel segno comparsogli al ponte Milvio, e per tal
vittoria egli stabilì nella capitale del mondo..."
A queste parole il declamatore fu interrotto da un nocciolo che,
scagliato da uno di coloro che stavano in piedi nella destra corsia della
platea, venne a colpirlo netto secco nella fronte, contemporaneamente al grido:
Abbasso Costantino!
Il declamatore naturalmente s'interruppe; nella corsia,
vicino e intorno a colui che avea lanciato il projetto, nacque un alterco e un
parapiglia terribile; ai basta di prima successe un'esplosione di avanti,
avanti, avanti!
"E voi del pari (continuò dopo alcuni istanti il
declamatore imperterrito, ad onta della sorba che si andava sviluppando sulla
fronte), voi del pari, da questo segno salutare protetti, trionferete di più
empj e brutali nemici..."
Ma, a queste parole, di nuovo tornò a dominare il campo una
esplosione simultanea di basta, silenzio, zitto; e la voce del declamatore ne
fu soffocata, in quel momento stesso che il buttafuori fece capolino dal
proscenio, e diede, battendo le mani, il solito segnale al primo violino, il
quale percosse con forza la latta del lettorino.
Allora dal loggione, quella medesima voce taurina che già
aveva gridato viva la Dionisa, gridò silenzio! squarciando l'aria teatrale con
tale risolutezza, da non ammettere la possibilità che si potesse disobbedire; e
silenzio fu fatto; e si udì netto il fischio che annunziava l'alzata del
sipario, il quale si alzò infatti, e comparve la piazza di S. Pietro in Roma.
Il pubblico mandò quella concorde esclamazione di maraviglia onde anche oggi
suol salutare la discesa della lumiera; esclamazione che fu susseguita da
applausi prolungati al bravo Landriani, il quale stupendamente aveva dipinta
quella scena; e il Landriani dovette mostrarsi a ringraziare il pubblico.
La piazza di S. Pietro era ingombrata da immenso popolo,
impaziente, come diceva il libretto, di godere del general Colli. Dopo alcuni
momenti d'aspettazione, conceduti al pubblico appunto per ammirare la grandiosa
prospettiva della città eterna, comparve il papa sulla sedia gestatoria, e
venne portato nel mezzo della piazza: la sua corte, in tutto lo sfoggio delle
vesti ecclesiastiche, lo circondava; le guardie d'onore e le guardie svizzere,
sfolgoranti d'oro ed argento con esagerazione, introdotti a beneplacito del
vestiarista, che volle farsi merito e contendere la palma al pittor scenico,
gli sfilarono ai lati in duplice ala. Tutte le altre truppe in armi si
schierarono sul fondo del palco. Anche qui, per conceder tempo al pubblico di
ammirare ed applaudire, furono lasciati trascorrere alcuni minuti; e il
pubblico ammirò infatti ed applaudì vivamente; e il pontefice Pio VI, ossia
monsieur Lefèvre, il quale si dimenticò del suo carattere, si alzò dalla sedia
gestatoria e fece tre riverenze alla platea, che lo avea preso a ben volere; ma
la platea tacque di tratto, perchè non desiderava che s'imbrogliassero le idee.
Monsieur Lefèvre ne fu alquanto mortificato; ma di chi era la colpa?...
In quel punto, al suono di una marcia militare, spuntò
dall'ultima delle quinte a destra la testa piumata di un cavallo bianco; ed era
il cavallo del general Colli, il quale finalmente si mostrò fra due soldati che
gli tenevano le staffe, coll'incarico di regolare il passo della bestia, in
modo da non compromettere i vetri della ribalta. Alla sinistra del general
Colli, ossia del signor Raimondo Fidanza, procedeva, pure a cavallo, il senator
Rezzonico, comandante delle truppe pontificie, ossia il signor Luigi
Corticelli.
E il general Colli discendeva da cavallo, e con incesso il
più convenzionalmente teatrale, si portò innanzi alla sedia gestatoria del
pontefice, e, piegossi a baciargli la santissima pantofola. Il pubblico non
applaudì, non fischiò, e si contenne in un silenzio dignitoso, intanto che il
pontefice presentava ai cortigiani il general Colli, siccome la speranza del
Vaticano. Il pubblico, che s'era già sfogato contro l'arringa famosa del
cardinal Busca, dalla quale appariva come lo spirito profetico non fosse più il
lato forte dell'ordine jeratico, assistette a questa scena con indifferenza,
non sapendo determinarsi con risolutezza piuttosto a ridere che ad andare in
collera. Ma forse l'allegria e la collera si sarebbero confederate a provocare
una procella popolare, se non ci fosse stata la valvola di sicurezza degli
indispensabili amori della prima mima col primo mimo, ossia della signora
principessa Braschi col general Colli; ai quali bastò lo scambio fuggitivo di
un'occhiata per intendersela tosto. Ben è vero che la principessa lavorava per
progetto, perchè le premeva di ammaliare il cuore del novello campione e volea
prevenire la Santa Croce, sempre disposta a
tagliarle la strada sul campo sdrucciolevole dell'amore e della politica; e per
assicurare il buon esito di quella guerra, dalla quale sperava tanto. Stando
dunque così le cose, la sedia gestatoria del papa veniva alzata da robuste
braccia; e però accennando il sovrano di partire, i cortigiani e i sudditi e i
militi non poterono star fermi, e lo seguirono, e innanzi a tutti il general
Colli, servendo la principessa Braschi più da Cupido che da Marte, e provocando
un terribile dispetto tanto nel nipote del papa quanto in un certo conte
Antonio, i quali non erano indifferenti ai vezzi della bella principessa.
Così amorosamente finito il terz'atto in piazza San Pietro,
ragion voleva che la scena posteriore fosse un magnifico interno; e il
quart'atto infatti si aprì con una gran sala del Vaticano splendidamente adornata,
con una mensa in fondo lautamente imbandita. Intorno a questa si elevava una
gradinata, occupata da musici e, siccome garantiva il libretto, da eunuchi.
Diversi trionfi di lumi, per usare una frase allora in voga nel linguaggio dei
pittori teatrali e degli attrezzisti, rischiaravano a giorno tutta la galleria.
Dopo l'aspettativa di prammatica, entrava in iscena il papa,
in compagnia del general Colli, il quale riceveva molti segni di stima e di
riconoscenza. Se non che il quart'atto, essendo destinato alle indispensabili
danze, e la prammatica dovendo per forza escludere il buon senso e il
verosimile; il pontefice si metteva a sedere in trono, circondato da tutta la
sua corte; e il corpo di ballo e le bis septem præstanti corpore nymphæ
d'allora, e le tre emerite di magazzino, e la coppia danzante di cartello,
attesero a far pompa innanzi al papa di tutte le loro grazie palesi ed anche
segrete, di tutta la loro abilità, compreso il ballerino, in costume d'eunuco,
il quale saltando a furia, accennava di voler appartenere, a dispetto dell'arte
sincera, all'atletica confraternita dei grotteschi. Il programma del cittadino
Salfi ci assicura, che il papa spiegava in questo mentre tutta la passione che
aveva per le gambe più gentili e meglio tornite, applaudendo chi più si
distingueva; e non omette di fare una particolare menzione di monsignor Busca,
il cardinale segretario, il quale non si risparmiava, nè risparmiava altrui. Ma
intanto che ferveva la baraonda ballante, il general Colli, da buon stratego, non
perdeva nessun momento che gli offrisse occasione di sacrificare i suoi piani
di guerra a quelli d'amore; e ovunque continuava a perseguitare la Braschi, la
quale ben volentieri si lasciava perseguitare, alla barba del principe marito e
del vicemarito conte Antonio. Se non che la festa e l'amore venivano interrotti
da un'altra marcia militare, e a tutti conveniva partire; e primo il generale
Colli, colla duplice felicità del dio Marte che, cercando Bellona, volentieri
s'intrecciava nelle reti di Vulcano.
E finalmente siam giunti al quint'atto; all'atto risolutivo,
alla catastrofe, a quello che deve spiegare tutto il concetto e l'intento della
rappresentazione coreografica. Siamo ancora nella gran piazza di S. Pietro,
ancor più folta di popolo, ancor più fitta d'armi e d'armati. Il papa, dal
general Colli e dal senator Rezzonico, è accompagnato a cavallo sulla sua sedia
gestatoria. Colli fa la rivista delle truppe, e ne preconizza le glorie; tutti,
inginocchiati, presentano le armi a terra, e il papa dà la benedizione alle
bandiere; indi, smontato, fa un dono della sua spada al general Colli, che, in
riconoscenza, giura di combattere per la causa del fanatismo della schiavitù.
Se non che quando si dà il segnale della marcia, un corriere importunamente
reca al santo padre alcuni dispacci, la cui vista produce lo svenimento di lui
e la costernazione di tutti gli astanti, chè i dispacci annunziavano la resa di
Mantova e le altre vittorie francesi.
Ma in questo frangente torna in iscena il generale dei
Domenicani, il quale dal poeta compositore e dal coreografo tiene la duplice
missione, e di rappresentare l'alta ragione del dramma, e di produrre a luogo e
tempo i colpi di scena invocati dal colto pubblico. Esso dunque, avendo la
virtù di sacrificare i sentimenti particolari all'amore del prossimo, e amando
sinceramente i veri interessi pontificj, all'improvvisa novella pensa di
recarsi anch'esso dal papa. Qui nasce un terribile contrasto d'idee,
d'opinioni, di passioni. Il general Colli vorrebbe, dopo il primo colpo della
sorpresa, far credere ch'ei solo può bastare a cambiare l'aspetto delle cose;
ma il papa, rinvenuto dal suo deliquio, ondeggia fra il timore e la speranza, e
mostra in tutti gli atti della sua costernazione ch'egli è soggetto a tutte le
passioni di un mortale fallibile. Però, dopo lungo esitare, si abbandona fra le
braccia del generale dei Domenicani; il quale lo conforta cristianamente a
provvedere una volta, qual degno successore di san Pietro, alla gloria della
Chiesa ed alla salvezza del popolo. "Rinunciate, esclama altamente il
Domenicano, rinunciate al fasto ed al regno di questo mondo che non è quello
del cielo; deponete la tiara, e mettetevi invece il berretto della libertà,
ch'era certamente quello degli apostoli pescatori (e qui gli offriva
quell'insegna); riconoscete insomma i diritti inalienabili del popolo, che è la
vera Chiesa di cui dovete esser padre e non già despota."
A queste parole il general Colli si slanciava contro il
berretto della libertà; ma il popolo, compreso della verità più che
dell'impostura, rivoltava le armi contro di lui. A questo prodigio il papa
riconosceva la libertà, di cui cingevasi il berretto, deponendo il simbolico
triregno.
E qui avvenne quello che non avrebbe dovuto avvenire. Al
gruppo analogo che tutti i personaggi e le comparse fecero intorno al papa,
abbracciato col generale dei Domenicani, e col general Colli, che aveva
transatto anch'esso, il pubblico non potè a meno d'applaudire freneticamente; e
la frenesia passò il segno. Veramente
la mozione venne da un ufficiale francese, che gridò: Vive le pape; vive le
général mais nous voulons un périgordin entre le pape et le général. Allons,
vite un périgordin. E quella parte di popolo che ama sempre
di straripare, si mise ad assecondare la mozione del bizzarro ufficiale; e
allons, vite, un périgordin, fu il grido frenetico che invase platea e
palcoscenico; grido che, non essendo tosto adempiuto dai signori attori,
minacciò di convertirsi in atti violenti. Se il papa fosse stato il papa, certo
che avrebbe resistito alla pubblica violenza, e avrebbe piuttosto voluto morir
martire; ma monsieur Lefèvre non aveva nè questa smania, nè una eccessiva
devozione per la dignità pontificale; così, per stornare i projettili dell'ira
pubblica, si mise a danzare col signor Raimondo Fidanza un perigordino che andò
alle stelle. La strana danza inaspettata provocò una sconcia ilarità generale,
al punto che scoppiavano dalle convulsioni del riso anche quelli che ne avevano
dispetto e quasi paura.
Ma a far cessare lo scandalo provvidero i direttori del
palco scenico, ordinando che si calasse il sipario. Il pubblico mandò degli
urli a quella calata, strepitò per lungo tempo ancora; minacciò e fu in
procinto di tradurre le minaccie violenti, se di nuovo i pompieri metafisici,
gettando acqua su quel fuoco, non fossero riusciti a spegnerlo del tutto.
Tale, nelle sue generalità, fu l'andamento del così detto
Ballo del papa, rappresentato al nostro massimo teatro della Scala, col titolo
di General Colli a Roma; ballo più famoso che conosciuto, perchè appena qualche
storia stampata ne toccò di volo; e qualche cronaca tuttora manoscritta, e tra
le altre quella del canonico Mantovani, ne ha somministrate alcune strane
circostanze. Del resto, di questo ballo si parlò a lungo nel mondo, e allora e
dopo, come di una enormità inaudita. Ma ciò avvenne per quella indecente
applicazione a cui lo trasse violentemente in quella sera una parte di
pubblico. Tant'è vero che lo stesso prevosto Lattuada di Varese, e l'arciprete
Besozzo e il cittadino Salfi, i quali ebbero tanta opera in quel lavoro, nella
persuasione che, parlando visibilmente all'imaginazione popolare, giovasse a
raddrizzar le idee in gran parte ancora pregiudicate, instarono con
sollecitudine presso l'autorità perchè lo proibisse come in fatti venne
proibito. Temettero e il Besozzo e il Lattuada che di quella scandalosa piega
che avea preso, loro malgrado, quella rappresentazione coreografica, se ne
giovasse pe' suoi obliqui fini una conventicola di aristocratici frementi e di
frati aboliti, che si radunava di soppiatto in una casa situata in Santa Maria
Fulcorina, della qual conventicola era il raggiratore supremo (chi mai lo
avrebbe immaginato nel 1766?) quell'istesso marchese F..., quel sacerdote
perduto dietro ai riti paffici, alle cui orgie abbiamo assistito nell'ultimo
capo del libro nono; quel marchese che vedemmo a trattener la carrozza in cui
si trovava la contessa Clelia V... colla sua figliuola Ada. Per che piano
inclinato sdrucciolevole, da quei riti colui sia passato ai tenebrosi misteri
dell'aristocrazia clericale, lo vedremo in appresso. Anzi farem di assistere ad
una di quelle conventicole, le quali s'eran proposto di mandar a fascio il
nuovo ordine di cose. Oggi son passati più di sessant'anni da quell'epoca; ma sembra
che in mezzo non sia corsa che una notte affannosa. Anche oggi ci troviamo in
cospetto dei medesimi fatti; ci troviamo di contro e di dietro gli stessi
nemici; siamo sollecitati dai medesimi problemi.
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