I
Convien risalire a quindici anni addietro, allorquando chi
scrive trovavasi in quella età felice, in cui si è amici di tutto il mondo, e
il mondo per contraccambio vuota con noi il sacco delle cortesie; età in cui la
bile non è ancora uscita dal suo sacchetto a invelenir le vene, e il volto
conserva le sue rose, e le influenze atmosferiche non fanno di noi quel che il
rame fa delle rane scorticate; età in cui l'umore è sempre
uguale e sempre lieto, e l'animo si apre a
tutti, spensierato e fidente; età in cui sin la bruttezza ha la sua beltà;
tanto che tutti, vecchi e giovani, uomini e donne, matrone e fanciulle si
volgono a noi, chi per consigliarci, chi per compatirci amabilmente, chi per
accarezzarci senza malizia la barba nascente; età in cui l'uomo è il legittimo
re dell'universo, del finito e dell'infinito, perchè se il presente gli sorride
da tutte le parti, l'avvenire gli si svolge dinanzi in lungo e in largo, senza
confine, tutto pieno di fantasmi dorati. Chi pensa a codesta divina adolescenza
della vita, e senza consultare la fede di battesimo, vede nello specchio che ha
tanti anni di più, e, guardando il fumo che esce dalla sua pipa, può esclamar
col poeta:
Questo di tanta speme oggi mi
resta
si fa silenzioso e tetro, e cerca tosto di sommover l'onda delle
tristi idee, mescolandovi lo spirito d'assenzio. Allorchè dunque chi scrive
aveva quindici anni meno, ebbe a far la conoscenza di un vecchio, il qual
vecchio, a quel tempo, dei due milioni e cinquecento mila abitanti che contava
la Lombardia, era forse quello che portava più anni sulle spalle, tanto che, se
fosse stato povero, avrebbe fatto la prima figura alla lavanda de' piedi. Ma
non era povero, quantunque non fosse nemmen ricchissimo. - Fu presso al lago di
Pusiano, che vedemmo per la prima volta questo vecchio, e precisamente
nell'istante che stavamo leggendo l'iscrizione che addita a' passeggieri la
povera casa dove nacque il grande Parini.
Quel vecchio era là seduto, in mezzo ad alcuni contadini che
lo guardavano con gran rispetto, e sentendo che noi andavam tempestando di
domande i proprietari di quella casa, per aver notizie della famiglia Parini e
per sentire se vivesse ancora in quel contado qualche parente del poeta, si
alzò e avvicinatosi a noi:
- Della casa Parini, disse, non vive oggi che un prete, il
quale sta fuori di questo territorio. Del resto io ho conosciuto il poeta, e ho
vissuto con lui in grande dimestichezza e qui e laggiù a Milano, e ho
conosciuto la madre dell'abate.
- Sua madre, ha ella conosciuta?
- Sua madre, sì signore. A lei ch'è nato jeri, parrà strano
ch'io fossi già sul tramonto di quella che si chiama la virilità, quando Parini
venne a morire. Avevo pochi anni, quando col poeta, che di fresco aveva dato
fuori l'immortale suo Giorno, fui a visitare la sua madre decrepita. - Io conto
oggi i miei ottantott'anni, come se fossero ottantotto zecchini, e sto bene di
stomaco, perchè la natura ha messo l'eternità ne' miei denti molari; e sto bene
di gambe, perchè non ho mai patito d'indigestione e mi giova tuttora il mio
vinetto di collina. - Così dicendo si mosse a discendere, accennando ch'io lo
seguissi. - Io me gli accostai per dargli braccio; ma egli, ridendo: - Non
s'incomodi. Ella potrà stancarsi, giovinetto com'è, non io così vecchio... - e
si discese insieme. Non aprì bocca finchè non si fu al basso, e soltanto quando
venimmo all'orlo del lago, dove molti villeggianti lo salutarono riverenti:
- Dunque, ella vuol bene al mio Parini? Io chinai la testa.
- Parleremo di lui, soggiunse allora; ed io mi feci ad accompagnare il vecchio
venerabile, senza esser punto maravigliato dell'affabile libertà ond'egli mi
parlava senza conoscermi. Chi ha vissuto una lunghissima vita, sta nel mondo
come nel proprio dominio e tratta gli altri colla cortesia dell'ospite verso i
nuovi venuti. - Accompagnatolo ad una sua villetta, stetti con lui per più
d'un'ora, e quando presi licenza, gli promisi di ritornar il giorno dopo; tanto
m'interessava. Allorchè poi lasciai Pusiano, promisi che in novembre mi sarei
recato a visitarlo nella sua casa in Milano. - Ciò che feci religiosamente.
Quel vecchio era un tal Giocondo Bruni, benestante, di
sufficiente ma non di eccessivo peculio. - Era piccolo di statura, e
magrissimo. La natura, che il volle destinato ad una vita lunga, lo aveva
emunto d'ogni umore superfluo, e ridotto come una corda di violino. Poteva
spezzarsi, non affloscirsi. - Aveva capelli canuti e tuttora folti che gli
coprivan la fronte; occhi neri, piccoli, fondi, tuttora vivissimi, e che
attestavano come gli abbondasse ancora il fosforo del cervello. A ottantotto
anni aveva la mente lucida, le idee ancora ordinate, la memoria fedelissima.
Soltanto lo tormentava, nelle giornate piovose, un sonno ch'egli chiamava
morboso, del quale s'inquietava ed affliggeva.
Amava la gioventù con predilezione che pareva originalità di
natura; ma soffriva antipatie feroci, tanto che ne' crocchi, dove mi trovai
seco qualche volta, investiva con rabbuffi insolenti qualcuno che non gli aveva
mai fatto offesa. - Ma i vecchi, come i fanciulli, amano ed odiano per istinto;
i fanciulli hanno l'istinto della natura, i vecchi quello dell'esperienza; ed
il vecchio Giocondo, in quelle tali faccie profilate, costrutte e tinte in quel
tal modo, aveva imparato a leggere quel tal carattere; di qui le sue cortesie e
le sue asprezze. Nato di madre ballerina, come aveva percorso tanta parte del
tempo, aveva così percorso molti luoghi dello spazio, perchè colla madre sino a
dodici anni, in compagnia d'un precettore, s'era trovato in tutte le città
d'Italia e d'Europa, dove c'era un teatro, dove c'era opera e ballo. - A
Milano, dove nacque, stette per più mesi, sino ad otto volte ne' primi dodici
anni; poi vi prese stanza, a compire gli studi, sino ai venti; poi fu a Parigi,
a Berlino, a Vienna, con la madre che volgeva al tramonto; poi ritornò in
Italia e dimorò a lungo in Venezia sempre
colla madre, che là morì, lasciandolo erede di un bell'avere a ventitrè anni.
Di questa età mi mostrò un suo ritratto eseguitogli dal Tiepoletto a Venezia. -
Faccia bellissima e spiritosissima. - Dai ventitrè anni in poi fermò la sua
dimora a Milano, recandosi però, quando occorreva, a vedere altrove le cose e
gli uomini e le donne degne d'esser osservate dappresso. - Con questa vita, e
con quella tempra, e con quel fosforo della massa cerebrale, e con quello
spirito della curiosità e dell'investigazione che non lo lasciò mai vivere
quieto, era esso la storia universale viva e vera degli ottant'anni che aveva
vissuto dopo i primi otto. Aveva passato i sette anni quando Federico il Grande
stava disperandosi per gli affari di Sassonia, e Pitt, il padre, veniva rimosso
dal ministero britannico, e Caterina II saliva il trono, e la Pompadour facea
nausea ai galantuomini, quantunque piacesse al re di Francia. Avea quindici
anni. quando Pitt, figlio, facendo stupire i professori dell'Università di
Cambridge collo studio indefesso e coll'intelletto universale, imparava a far
dimenticare la fama paterna; quando Foxe nei danari che il più bizzarro ed
azzardoso dei padri gli dava per tentar la fortuna al giuoco, e nell'oceano
della vita, nel quale immaturo si gettò come a nuoto, trovò il segreto della
futura sua grandezza, mescendo il punch alle filippiche nel greco di Demostene;
quando Rousseau, dando in luce opere di sovrumano concepimento e abbaglianti di
forma incomparabile, nel punto stesso che scandolezzava le sane menti con atti
ingiuriosi alla dignità d'uomo, pareva che s'affannasse a far creder vera
quella definizione del Sarpi, essere l'ingegno una malattia del cervello;
quando Robespierre, ancora fanciullo, leggendo avidamente Gian Giacomo,
apprendeva l'odio contro tutte le istituzioni sociali, e l'idea nuda ed innocua
del filosofo pensava a tradurre in ferro ed in fuoco. Aveva diciassette anni
quando per la prima volta s'introdusse la coscrizione militare, e ventitrè
quando Maria Antonietta sposò il Delfino di Francia e si concluse la pace al
Congresso di Teschen. - Era giovane fatto allorchè a Venezia conobbe Foscarini,
e il vecchio Zeno e il Tiepolo, il pittore e il poeta, e il Canaletto, e
l'abate Chiari, e Goldoni giovinetto e Carlo e Gaspare Gozzi; a Roma udì il
Miserere dell'Allegri, a Napoli assistette al fiasco dell'Armida di Jomelli.
Fece una rissa ferocissima di parole con l'Alfieri a Torino. - A Milano conobbe
tutti quanti. - Sparlò del prossimo con Casti, stette serio con Parini, fece
pazzie col pittor Londonio, sovvenne di danaro il poverissimo Biondi, il
ritrattista per eccellenza, che non mangiava per comperare i pennelli. Quando
ci trovammo due o tre volte a fare con esso lui qualche giro sulle mura di
porta Orientale, ne' giorni che le mille carrozze sfilano in gala, era bello a
sentirlo dire: Di quel signore ho conosciuto il bisavolo; quello lì che or va
in carrozzino dee la sua prima fortuna alla roletta; quello là che va col tiro
a quattro la deve ad una birbonata. Ne' giorni del perdono all'Ospedale
Maggiore, quando sono esposti i ritratti dei benefattori di tre secoli, si
piantava con soprassalti di gioia davanti a taluno di que' venerandi vecchioni
del secolo passato, e diceva: questo somiglia, quello no...; e tosto una
biografia, un racconto pieno di accidenti curiosi, di quelli che la storia
ignora e pur basterebbero a far la storia vera. Un giorno che si stava innanzi
al ritratto del dott. Macchi, di colui che visse in povertà quasi d'accattone
per lasciar all'ospedale tutto quanto ebbe dal padre e raccolse dalla sua
professione di notajo, dopo averci narrati molti particolari di quell'uomo, che
peccò d'avarizia in vita, per essere insigne benefattore in morte, d'improvviso
soprastette dicendo: "Vi ricordate di quel tale che la prima domenica di
quaresima abbiamo veduto nel carrozzino di gala sulle mura di porta Orientale,
e di cui abbiamo tenuto alcuna parola? - Ebbene, questo notajo fu quegli che
scrisse la minuta di un testamento che doveva esser trascritto da uno zio del
padre del padre di quel signore". Del quale pronunciò il nome che noi non
ripeteremo; chè molti dei personaggi che faranno parte della nostra epopea in
veste da camera, hanno l'obbligo di costituire una società anonima.
Quando il novantenne vegliardo levò gli occhi dal ritratto
del dottor Macchi: "Se verrete da me, soggiunse, fra qualche giorno, vi
racconterà un fatto stranissimo, il quale, se può interessare la curiosità
degli oziosi da caffè, può interessare il filosofo che spasima d'affanno per i
mali che l'uomo ha inventati onde tormentare sè stesso; e può battere alla
porta della giustizia e illuminarla, e illuminar persino la sapienza
legale".
Ma qui ci conviene lasciare il nostro decrepito amico, che
tante volte accompagnammo a veder l'Arco della Pace e a far il giro de'
bastioni; e poi, in più angusto cerchio, e sotto i tigli de' pubblici giardini,
abbiam sostenuto del braccio quando non poteva più soddisfare al suo orgoglio
di camminare isolato; e soltanto continuava a dispiegarci lo sterminato volume
contenente uomini e cose vissuti e avvenute in cento anni, ripetendo sempre
quel suo intercalare: La mia memoria è una valle di Giosafat tutta affollata di
maschere. - E dal bel mezzo del secolo XIX ora ci convien saltare nel bel mezzo
del secolo XVIII, e recarci al Teatrino del palazzo Ducale, a quel Teatrino che
lasciò per molto tempo il nome al successivo della Canobbiana; colà udremo la
musica della Semiramide riconosciuta del maestro Galuppi, e vedremo a danzare la
bellissima Gaudenzi... quella che fu la madre del nostro decrepito amico.
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