VI
Non è poco il dire, che, per ottanta pagine circa, un libro
che i bibliotecarj metteranno sempre nel
dipartimento della Phantasia, siasi occupato esclusivamente, e quasi ex
cathedra, di storia vera e di politica vera, tirando in ballo il papa ed il suo
potere temporale, e congiungendo non a caso il passato col presente; e citando,
come un dottor della Sorbona, e Apostoli ed Evangelisti e santi Padri e
pontefici galantuomini; e parlando del vecchio Napoleone Bonaparte, e delle sue
insidie politiche e dei colpi e contraccolpi rivoluzionarj, ecc. ecc. Di queste
ottanta pagine crediamo che i lettori gravi, e che tirano il rapè, ci vorranno
essere grati, e tanto da credere che il nostro lavoro possa esser letto anche
da quelli che hanno in odio le produzioni della fantasia. Ma la storia, la
quale rifà la vita, per esser completa, deve rifarla di dentro e di fuori; e se
quasi sempre, come un ciambellano, segue
devota i re dell'azione e del pensiero, che vissero e furono proclamati in
pubblico, e dei quali con atto pubblico si fece il trapasso alla posterità:
come un benefattore deve poi entrare nelle dimore private a cercarvi quelle
figure che vissero non abbastanza note o ignote all'universale, per indagare
come la vita intima della società segua l'impulso della vita pubblica, e come
persino le virtù, i vizj, gli affetti e le passioni ripetano da essa il modo di
manifestarsi; chè non tutte le virtù nè tutti i vizj sono possibili in tutti i
tempi, e il dramma domestico si atteggia senza volerlo all'epopea storica.
Lasciamo dunque per ora le piazze e i teatri e i luoghi pubblici e gli uomini
che operarono cose già divulgate dalla storia, e penetriamo nel silenzio di una
privata dimora a vedere la progressione di un dramma domestico, che si modifica
lungo il cammino, e piega a seconda dei pubblici avvenimenti.
Nel palazzo situato nella contrada della Spiga, appartenente
al marito della contessina Ada, in una sala a terreno, verso il giardino
rispondente al naviglio, in sul tramonto d'un giorno di marzo del 97, stavano
tre donne. Quelle donne rappresentavano tre età e tre periodi diversi; ed erano
precisamente la contessa Clelia V..., la contessina Ada... e donna Paolina S...
La prima aveva settantadue anni; la seconda quarantasei; la terza
diciasette.
È pieno di tristezza quel momento in cui si vede
nell'estrema decrepitezza una creatura umana, di cui siasi fatta conoscenza
quand'era nello splendore della beltà.
Noi non abbiamo ancora potuto fare sul vero un tale esperimento,
perchè bisognerebbe che avessimo almeno i nostri settant'anni; mentre invece,
per sciagura nostra, ne siamo distanti al punto, da misurare con ispavento la
vita lunga che ancora ci rimane a percorrere, se una saetta benigna non ci
viene a cogliere strada facendo. Ma oltrechè un tale esperimento lo fecero
altri, i quali ci hanno assicurato non esservi niente di allegro, noi lo
abbiamo tentato confrontando di una medesima persona i ritratti eseguiti a
periodi distanti, dove si vedeva riprodotta l'immagine fresca e ridente della
cara giovinezza, e le alterazioni estreme della triste vecchiaja.
È doloroso a vedere, e nel tempo stesso non è senza un certo
interesse l'osservare come il tempo, pur non toccando l'ossatura e il disegno
di una faccia, la vada totalmente contraffacendo, imperversando sulla liscezza,
sul colore, sugli accessorj: il lento processo della dissoluzione, esaminato su
di una medesima faccia, è certo, caro il mio gaudente lettore, che turberebbe
anche la tua allegria.
Or, venendo a donna Clelia, un tale esame potevasi fare
guardando il suo ritratto ad olio, opera del pittore Porta, che pendea da una
parete della sala, ed era lo stesso innanzi al quale abbiam visto addormentarsi
in torbido sogno il conte colonnello V.... Ella non contava che ventidue anni
quando avea posato innanzi al pittore. Erano dunque trascorsi cinquant'anni;
mezzo secolo! una piccola bagatella. Nè tuttavia potea dirsi che il tempo
distruttore avesse cavato tutto il partito possibile della sua forza crudele.
No, la dissoluzione non aveva fatto miracoli; perchè i capelli bianchi anche
nella giovinezza per la polvere di cipro, erano rimasti foltissimi, e le loro
onde argentine scaturivano da una cuffia tagliata a foggia di camauro; i
sopraccigli si erano conservati neri; bensì, come avviene nella tarda età,
cresciuti in foltezza e diventati ispidi, adombravano cupamente l'occhio
infossato, e imprimevano a tutta la faccia una terribilità indescrivibile; così
quella cara trasparenza del colorito, che, nella prima gioventù, comunica una
tal quale bellezza perfino alle tinte più aborrite, si era cangiata nella
rigida opacità della cartapecora; il mento e la bocca, siccome dicemmo altre
volte, di linee severe e ricordanti il profilo napoleonico, ma che nell'età
prima avevano esercitato un fascino strano per il contrasto colle altre parti
floridissime di quella bella donna, avevano raggiunta la massima angolosità.
Tutto quel complesso poi di disegno, di colore, d'espressione, d'atteggiamento,
era tale, che imponeva altrui un rispetto, il quale sarebbe stato disgustoso e
pesante, se dopo il primo urto non vi fosse letto il riassunto di un'intera
vita di pensieri, di sventure e d'affanni.
Questa vegliarda severa stava seduta a lato di un tavolino
sul quale era dischiuso un libro; portava gli occhiali d'ebano inforcati sul
naso e, tenendo alzati gli occhi al disopra delle lenti, guardava fissa da
qualche tempo la figlia della propria figlia, della contessina Ada, ai freschi
e leggiadri quindici anni della quale, che appena contava allorchè la vedemmo
l'ultima volta, se ne erano aggiunti trentuno; il che vuol dire che, nel 97,
aveva quarantasei anni: età incomoda e nojosa tanto per gli uomini che per le
donne; chè i primi hanno cessato di amare, le seconde di essere amate, messe in
discredito dai reumatismi, dalla gotta incipiente, e dall'età critica.
Tuttavia, se questa è la regola generale, le eccezioni non mancano; e in quanto
alla contessa Ada, se non avesse avuto tutt'altro per la testa, ben avrebbe
potuto suscitare ancora qualche simpatia in coloro, almeno, che per bizzarria,
sono capaci di anteporre le bigie giornate d'autunno e la cascata delle foglie
ai soli sfacciati del giugno e del luglio. Essa, nella persona, serbava intatta
la leggiadria d'un tempo, e nel volto mobilissimo aveva qualcosa che in parte
nascondeva quell'età.
Anzi, a spiegarci meglio, quel volto, per la mobilità
accennata, era così ineguale, che pareva cangiare età ad ogni lieve guizzo di
muscoli. Certo che non avremmo consigliato mai la contessina Ada ad esporsi al
perfido sole di mezzodì, e molto meno ai fatali riverberi di un muro tinto in
giallo, chè allora il lavoro che il tempo aveva fatto su quella faccia, saltava
fuori da tutte le parti, e tradiva cento macchiette cutanee, e qualche ruga
ribelle ai lati e sotto gli occhi, e qualcosa come di pesto e di frollo e di
sciupato nelle guancie, serbanti però sempre
la giovanile pozzetta; ma tutti questi guasti scomparivano, appena un raggio
propizio di luce pittorica avesse investito quel volto, o un riflesso benefico
di qualche tenda serica, azzurra o rossa; o, meglio di tutto, quell'albore
annacquato che è in una camera illuminata di notte da una lampada. Allora
pareva quasi che, per incanto, si togliesse il melanconico sipario degli anni
quarantasei, per iscoprire il sotto tessuto di una faccia di trent'anni al più.
Nel momento in cui l'abbiamo sorpresa per farne la descrizione, siccome era
verso sera, e, se non c'era il sole vivo, non c'era nemmeno nè la luna nè la
fiamma di candela, mostravasi così mezz'a mezzo, tra gli estremi che abbiamo
delineato, e piuttosto più vicina ai trenta che ai quaranta; perchè in quel
punto era concitata dall'arte, e da qualche cosa di più forte ancora. Seduta
innanzi al pianoforte, stava provando la musica della Marsigliese che teneva
aperta sul leggio, e si esaltava nell'interpretazione di essa.
Ma intanto, che la nonna guardava come perscrutando non
sappiamo che cosa, e la mamma passava al cembalo la Marsigliese, donna Paolina,
che tale era il nome della figliuola di donna Ada (non si meravigli il lettore
di sentire ancora i titoli sonanti di marchese, di conte e contessa e don e
donna in un tempo che i titoli di nobiltà erano stati messi inesorabilmente al
bando dalla Libertà e dalla così detta Eguaglianza; perchè nell'intimo della
vita domestica, dal periodo della loro invenzione fino ad oggi, non furono mai
sospesi nemmeno un minuto; e i servitori e le cameriere e i cocchieri hanno sempre
continuato a dare del don e della donna e del conte e della contessa ai loro
padroni, perchè era una questione di pane come un'altra. Anche fuori delle
pareti casalinghe, e anche fuori della schiera infelice delle fantesche e dei
servitori propriamente detti, i servi dilettanti e devotissimi di tutto il
mondo, e i pagnottisti perpetui hanno sempre
continuato anch'essi a dare i titoli a chi toccavano per diritto di blasone,
anche in piazza, anche in teatro; ad una condizione però, già s'intende, che
nessuno dei democratici sfogati li sentissero, perchè le bastonature erano in
voga, e la prudenza e il parlare sommesso erano consigliati dalla pubblica
intimidazione; e qui mettiamo il claudite alla parentesi, che ci portò fuori
affatto di traccia), dunque donna Paolina (che così venne chiamata al fonte
battesimale, perchè la nonna e la madre vollero perpetuare in essa la cara
memoria di donna Paola Pietra; ed ecco un altro claudite), donna Paolina
dunque, essendo aperto un finestrone che dava nel giardino, perchè il marzo non
era freddo e si voleva usufruttare l'ultima luce, stava appoggiata ad una spalla
di esso, in una posa tutta sua particolare e, diremo, affatto maschile, perchè
aveva il tergo appoggiato a un punto del muro che non era sufficiente per
concederle di star ritta in piedi; onde, colle gambe tese e i piedi puntati al
basso del muro opposto, segnava una diagonale.
Or venendo alla descrizione di quella fanciulla, vorremmo
che il lettore l'avesse veduta cogli occhi proprj, per capacitarsi che non è
già per amore di convenzionalismo che noi regaliamo a tutti i nostri giovani
personaggi una bellezza incomparabile; ma sibbene perchè se quella fanciulla
era bella veramente, non è in nostro diritto di contraffarla e peggiorarla per
intento di varietà; la varietà è infinita in natura, anche senza incomodare la
scrofola e la rachitide.
A misurarla dunque, così a calcolo d'occhio, quella
fanciulla poteva essere alta come un uomo di statura regolare; ma siccome aveva
la testa leggera ed il collo non corto, e le mani ed i piedi piccoli, ed una
vita che si poteva stringere in due mani, e la vesta lunga, così potea sembrar
alta fino all'eccedenza; alta e sottile e lunga come una frusta; se non che le
maniche di seta strette, come allora voleva il costume, rivelavano un braccio
sviluppato e denso; e le sottane di levantina che, per quella strana positura
di lei, cascando mollemente, profilavano le sue gambe tese, lasciavano
trapelare forme così aitanti, da parere un'esagerazione per una ragazza di anni
diciasette. Quando ci si permettesse il confronto, suggeritoci dal più gretto
naturalismo, noi diremmo, che se colei, invece di una fanciulla, fosse stata
una puledra, ben poteva valere i duecento mila franchi della Katinka di
Abdul-Megid. Ma donna Paolina, che da un pezzo stava immobile in quella strana
positura, concentratissima com'era in un pensiero, di slancio si rizzò in
piedi, e fece due o tre passi, aggirandosi intorno a sè, sciolta ed elastica e
come snodata.
La contessa Ada, in quel punto, continuando a provare sul
cembalo la Marsigliese, s'era concitata nell'esecuzione, e facendo intera
l'emissione della voce, espresse con accento verace tutta la concitazione
selvaggia di quel grido di guerra.
La fanciulla si fermò di colpo; diede manifestamente un
guizzo. Quella musica, quelle parole, quel grido le avean messo addosso
l'inferno.
Caduta la notte, si recarono i lumi. Dopo qualche tempo
venne gente in quella casa, e si vegliò fino oltre le undici. Tutto quanto
avvenne in quelle ore per noi è affatto indifferente, bensì terremo dietro a
donna Paolina quando, dato il bacio della notte felice alla nonna e alla mamma,
prese un lume, e, accompagnata dalla cameriera, si recò nella sua camera da
letto.
Muta si lasciò ravviare e intrecciare e mettere nella rete i
capelli; muta lasciò che partisse insalutata la cameriera.
Dopo si spogliò adagio adagio, sempre
fantasticando e osservando macchinalmente il ritratto di suo padre, che pendeva
dalla parete di contro al letto; il qual padre, lo diremo così di fuga e
rimettendo le indispensabili spiegazioni e dilucidazioni ad altro tempo, era il
conte Achille S..., ricchissimo patrizio milanese, il quale, dopo essersi
mangiato un lauto patrimonio, fatta l'eredità di un secondo, sposò impaziente e
furente di passione la contessa Ada, per amareggiare poi tosto di cento
infedeltà il talamo nuziale e la pace di quella povera donna, innamorata fino
all'infelicità. Sciupato il secondo patrimonio, strano e bisbetico qual era,
aveva abbandonato e casa e moglie e figliuola, ed era corso a prestare i suoi
servizi militari fin dal 92 nell'esercito di Francia. Fatta una terza eredità,
aveva lasciato l'esercito; ma i parenti avendolo interdetto per prodigalità,
indispettito tornò a riprendere il suo grado nell'esercito del Reno, dove
trovavasi ancora. Più giovane della contessa Ada, l'avea sposata, vedovo già da
due volte e dopo aver fatta l'infelicità di molte e molte donne; chè, ad onta
della sua torbida fama, aveva sempre
esercitato sul sesso debole un fascino irresistibile.
Questo era il padre di donna Paolina, osservando il cui
ritratto, ella s'era venuta a grado a grado spogliando. E qui i giovani lettori
non isperino una descrizione, chè ci preme troppo la calma del loro sangue.
Soltanto diremo che, quando mise il ginocchio, oh che
ginocchio!!! sul letto, a un tratto balzò giù, e tratto un cassettone di un
guardaroba, ne levò.... che cosa? Un elmo con criniera; un'assisa verde coi
risvolti bianchi; un pajo di calzoni di daino bianco; un pajo di stivali; una
sciabola.
Ma a chi appartenevano? a lei. Ma in che modo? ecco.
Nel carnevale, al collegio dond'ella era uscita pochi mesi
prima, s'eran date alquante rappresentazioni comiche; di quelle che un certo
professor Ghedini Mirocleto allora scriveva apposta pei collegi, press'a poco
come sarebbero oggi quelle del Genuino.
Fra quelle commedie, che noi abbiamo letto, e che sono d'una
miseria incomparabile, esso ne aveva scritto in quel tempo una d'occasione, che
s'intitolava Il dragone benefico; una bestialità in punto e virgola, ma che era
piaciuta alla direttrice del collegio, la quale pregò donna Paolina, allieva
emerita, ad assumere la parte del protagonista. La fanciulla accettò, col
permesso della nonna e della mamma, e ottenne che le si facesse fare un vestito
completo da dragone. Quando comparve sul palco scenico abbigliata a quel modo,
gli spettatori, che non eran tutti donne, andarono in visibilio. Però donna
Paolina prese maggior stima di se stessa, e s'innamorò di quell'abbigliamento
militare; e se ne innamorò per una ragione più pericolosa di quello che pare.
Allorchè dunque trovavasi sola, ed era sicura di non essere scorta, si
dilettava a rivestire quelle armi, e se ne compiaceva orgogliosamente,
guardandosi nella specchiera che teneva nella camera da letto; ma pazienza
fosse qui tutto! il peggio è che quel vestito le suggerì...
A pensare che una simile inezia doveva essere la cagione di
conseguenze tristissime, davvero che c'è da rimanere increduli; ma nel
carnevale istesso avea visto più d'una volta il capitano Baroggi. Oh non
l'avesse mai veduto! Noi che sappiamo quel che avvenne dopo, non possiamo
vincere la commozione. E ora, o lettore, fermando lo sguardo a contemplare il
leggiadro spettacolo di questo dragone che sta specchiandosi, preparati a
stupire; e se hai il dono delle lagrime, anche a piangere.
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