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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO UNDECIMO
    • VII
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VII

In una tragedia, celebre e mediocre nel tempo stesso, perchè fu il lavoro di un giovane ignaro della mappa del cuore umano, fu scritto che chi sostenne d'aver amato due volte, non ha mai amato. Queste cose si possono dire a sedici anni, anche a venti, anche dopo, se la faccia di un galantuomo sia così eteroclita da stornare l'ago calamitato delle femminili beltà; ma in circostanze ordinarie, e allorchè e uomini e donne abbiano qualità sufficienti da provocare e mantenere la corrente elettrica, quante volte, in una vita di trent'anni ed anche di quaranta, la specie umana può amare, senza compromettere il vivo interesse di ciascun amore! anzi noi pregheremmo gli uomini e le donne di molta esperienza, e che dalla indulgente natura sortirono delle doti appetitose, a saperci dire, in tutta segretezza già s'intende, se non è possibile manovrare due, tre, anche una mezza dozzina di amori simultaneamente, conservando il nativo galantomismo, e un cuore ben fatto e, ad un bisogno, anche poetico.

C'è una condizione però da osservare (di questo almeno ci assicurano gli esperti), ed è che bisogna guardar bene di perdere l'equilibrio nel governo di codesti amori. Se un giorno solo, di quei tre o quattro affetti che si hanno nella propria giurisdizione, uno sorge più alto degli altri e, senz'avvedercene, ci lasciamo andare a star con lui in troppo lunga domestichezza, allora, correndo esso il pericolo di diventar solitario, può tramutarsi in quell'amore acuto al quale è più conveniente un posto in un trattato di patologia. Ciò premesso veniamo ai fatti. Il capitano Geremia Baroggi avendo ventitrè anni, ed essendo, come fu notato, bellissimo, e per di più esercitando una professione che allora era di ultima moda, e appartenendo alla cavalleria, e perciò avendo il diritto di portar gli speroni, era appunto nella opportunità di poter manovrare la sua mezza dozzina d'amori senza turbarsi, come una volta l'incomparabile Cocchi della compagnia Guerra guidava imperterrito la sua mezza dozzina di cavalli bianchi a dorso nudo. Non so per che cosa, ma, a parte anche la giovinezza e la beltà e gli altri fascini, gli speroni hanno un potere irresistibile sui nervi delle donne, tanto maritate che zitelle. È un fatto provatissimo che, a parità di circostanze, un ufficiale di fanteria passerà ai secondi posti e andrà soggetto a delle mortificazioni inaspettate, se appena balzerà fuori a mettersi in suo confronto un ufficiale di cavalleria. Il suono dell'arpa era indicatissimo una volta perchè i giovinetti si trovassero bell'e innamorati, senza vedere la faccia le mani della bella incognita; ma anche il suono semplice e puro degli speroni bastò più d'una volta a far risolvere dei cuori femminili a battere a favore di un ignoto che a caso passasse sotto le finestre cogli stivali tintinnanti. È un fenomeno strano e d'origine arcana; ma non per questo cessa di esser vero.

Lasciando ora gli speroni, è a sapere che il capitano Baroggi, senza che fosse vagheggino, vanitoso, nell'ultima volta che venne a Milano di presidio, e fu per tre mesi, si trovò, senza accorgersi, ingaggiato in tre amori che gli serrarono addosso in pochi l'uno dopo l'altro. Non eran molti, a dir vero, per la pace del cuore, ma siccome le donne che lo avevano inspirato erano tutte belle a perfetta vicenda, ed egli aveva saputo dividere equabilmente le sue ore d'ozio con ciascuna di esse, così avea vissuto felicissimo i suoi novanta giorni. Nell'ultimo mese però s'era incontrato nella signora R..., che gli penetrò, non dirò nel cuore, ma nella simpatia un po' più delle altre, ed egli stesso se ne accorse, ciò che fu un eccellente indizio. Però quando il signor Andrea Suardi gli propose di fare una visita alla contessa A..., che per turno divideva colla R... il seggio della regina del torneo milanese, fu contentissimo, presentendo che a quel modo ei si sarebbe rimesso in equilibrio. Ma non si perde mai l'equilibrio quando si sente e si vede il pericolo. L'affare bensì diventa seriissimo allorchè, frugando così a caso intorno a qualche rosaio, ti si ficca inavvertita una spina nel dito. Un bel giorno, non si sa da che cosa dipende, ma la mano è gonfia e il braccio è al collo. Ora il nostro bel capitano, mentre era contento di potere colla bellissima e voluttuosissima contessa A..., fintanto almeno che sarebbe rimasto a Milano, farsi scudo e riparo contro alle invasioni ognora più minacciose della bella R..., non sapeva che appunto una spina gli era penetrata tra pelle e pelle pochi giorni prima.

Nel carnevale dello stesso anno 97 si diede, come fu detto, un corso di rappresentazioni drammatiche in un collegio femminile, fondato nell'anno antecedente in Milano da una dama francese, per nome, Blanchard, venuta da Parigi con fama di gran letterata, di grande sventurata, perchè suo padre era stato ghigliottinato e le di lui ricchezze, almeno così ella asseriva, si erano dileguate in mezzo ai furori popolari. Quella donna, capitata in momenti opportuni, venditrice insigne di vento e di fumo, e nominatasi direttrice del nuovo collegio, ottenne di vederlo in breve popolato dalle figliuole appartenenti alle più ricche famiglie di Milano. Parve alla maggior parte che colà potessero ricevere un'educazione più liberale, più sciolta, più svariata, più conveniente insomma ai tempi nuovi. I parenti stessi, messisi d'accordo per giovare a quello stabilimento con laute contribuzioni, in breve gli diedero un impianto così ricco e fastoso, che quando trattavasi di esami, di accademie, di musica, di ballo, pareva di trovarsi piuttosto nelle sale di un ricco pomposo, che tra le pareti di una sala di educazione. Le giovani mammine vi accorrevano in gara di bellezza e di ricchezza; e col pretesto dell'educazione e dell'amor materno, velate di devota incontinenza, non tutte già s'intende, ma alcune e non poche, s'ingegnavano a piantare qualche mirto tra le innocenti ajuole di quel giardino. Siccome poi un passo ne chiama un altro, così la vivace ufficialità dell'esercito repubblicano, che aveva alloggio e tavola presso le più facoltose case di Milano, accompagnando qualche volta le mammine a quei domenicali e serali ritrovi, trovavano il loro conto a fermarsi colà; tanto eran fatti premurosi del buon'andamento della pubblica istruzione!

Allorchè poi s'intavolò la storia di un corso di rappresentazioni drammatiche per la stagione di carnevale, nelle sere del giovedì e della domenica, riusciva un'impresa molto affannosa quella di ottenere un biglietto di ingresso a quel collegio; perchè vi erano poi anche rinfreschi, e pei brillanti ufficiali s'introdusse così un po' per volta anche il fervido sciampagna, il quale verso mezzanotte metteva in giro un'allegria bacchica tutt'altro che irreprensibile.

In quel collegio v'erano, come accade, giovinette di quattordici, di quindici, di sedici anni.

A queste erano affidate le parti più difficili e importanti delle commedie scelte a rappresentarsi.

Le mamme di quelle giovinette, non potendo vincere nella gara muliebre, le mamme delle bambine di quattro o cinque anni, quantunque amassero le loro figliuole, pure erano le meno assidue a quei trattenimenti serali. Ora, quando le fanciulle quindicenni si trovano lontane dall'occhio della mamma e subiscono l'influsso diabolico di altri occhi, sono, parliamoci schietti, molto vicine all'orlo del precipizio. Quelle ragazze, negli intermezzi, escivano come puledre sbrigliate, a precipitarsi qualche volta perfino nel giardino, perchè v'era anche il giardino.

Certo che venivano seguite e vegliate dalle governanti. Ma le governanti erano o troppo vecchie o troppo giovani. Nel primo caso riuscivano lente alla corsa e un po' balorde; nel secondo caso pensavano tanto a , che dimenticavan le alunne. Queste poi, per legge di galateo, dovevano spesso fermarsi ad ascoltar gli elogi di quelli fra i più gentili intervenuti che si godevano a intrattenerle. Non a caso ci arrestiamo a lungo su queste cose, e le assennate madri ci comprenderanno. Ad ogni modo, anche disprezzando ciò che in queste righe si adombra a combattere certe consuetudini, dovevamo dir tutto per far vedere in che collegio donna Paolina aveva passato gli ultimi diciotto mesi della sua educazione, e su che palco scenico, nella sua qualità d'allieva emerita, era venuta a rappresentar la parte di protagonista nel Dragone benefico del prof. Ghedini.

Richiameremo ora al lettore come la prima sera che essa andò in iscena, in quel costume, suscitò, plasticamente considerata, un tale capogiro, che, nelle successive rappresentazioni, il teatro della Scala e della Canobbiana e di Sant'Anna e di San Martino rimasero abbandonati dalla parte più scelta della cittadinanza, e dalla parte più giovane e più brillante dell'ufficialità, di modo che le mammine leggiadre si trovarono spostate e punte, e si lamentarono di avere edificato a vantaggio altrui.

Donna Clelia, allorchè nel segreto delle pareti domestiche vide, a titolo di prova, quel diabolico angelo di diciasette anni in quel costume provocatore, il quale faceva risaltare voluttuosamente delle forme, il cui obbligo era quello di rimaner celate; protestò altamente, e disse che non ne voleva altro, e che la signora direttrice provvedesse a cambiare il protagonista. Ma la fanciulla, che era già stata lodata alle prove, perchè possedeva un talento drammatico assai distinto; e guardandosi nello specchio, quando le fu recato l'abito, scoperse di esser molto più avvenente di quello ch'ella stessa credeva, diede in tali escandescenze a sentire quel veto inatteso della nonna, che la mamma, la nostra cara Ada, la quale era meno rigida di donna Clelia, e aveva il suo amor proprio, e sentiva la compiacenza d'aver ella stessa messo insieme quella leggiadra figura, compiacenza che era un misto d'amor di madre e d'amor d'artista; si sentì commossa alle lagrime iraconde e agli strepiti della sua Paolina; e tanto disse e fece, che la contessa Clelia, crollando la testa, lasciò che la cosa andasse.

E così non fosse andata! I consigli dei vecchi, più che non si crede, vogliono essere ascoltati. Come dicemmo adunque, e per il suo talento drammatico, e per le sue qualità plastiche, donna Paolina fece un tal furore (non possiamo sostituire altre parole a questo motto convenzionale), che diventò l'idolo della platea. Allorchè poi, negli intermezzi, ella discendeva nell'anticamera del palco scenico a ricevere i complimenti delle mammine, i cavalieri serventi, tanto militari che borghesi, si affollavano intorno ad essa per poter vederla da vicino.

Non occorre che qui ci diffondiamo in minuti particolari per mostrare come donna Paolina, allieva emerita, e le altre fanciulle adolescenti, ancora convitte e prigioniere, potessero discendere nelle anticamere della sala che serviva di platea e ne' corridoj dove la folla si stipava, e scivolassero così di contrabbando anche nel giardino. Chi ha avuto pratica di collegi e conservatorj dove il pubblico può penetrare, e dove l'adolescenza, tenuta in soggezione con ferule più o meno indulgenti, aspira impaziente, e talvolta rivoluzionaria, alla libertà, sa benissimo in che modo avviene quel che non dee avvenire, e come spesso anche l'oculatezza la più insistente è sopraffatta dalla malizia giovanile che, come un fluido imponderabile, sguiscia e fugge e va dappertutto. Nei principj del marzo di quell'anno 1797, soffiando i venti che una volta annunziavano la primavera, e che oggi, non sappiamo perchè, si son come involati dalle nostre spiagge, quelle fanciulle che sentivano la primavera anche di gennajo, per mille ragioni, si godevano a recarsi di soppiatto nel giardino. , perchè fosse la maggiore delle altre, donna Paolina si stava nascosta. La contessa Clelia, quando interveniva a que' trattenimenti, fermavasi in platea; e la nostra soave Ada si teneva dietro le scene, intenta a sorvegliare la toilette delle giovinette artiste. Colla lestezza adunque del contrabbandiere, che misura il tempo e fiuta l'aria, donna Paolina, quando le pareva il momento acconcio, recavasi lontana dagli occhi della mamma e della direttrice.

Non è a dire quanto, sebbene innocentissimamente, si ringalluzzasse, allorchè una schiera di giovani le si aggirava intorno in corona a colmarla di elogi e di motti leggiadri e di ambidestre espressioni, che ella non comprendeva interamente, ma comprendeva abbastanza! Di quello sciampagna che, nella sala, correva in giro per gli spettatori mascolini, le sue compagne, trionfanti di qualche furto tentato in cucina, facevano parte a lei come a maggiore, come a protagonista, e sopratutto come a dragone. Ora quella spuma gasosa le metteva nel sangue una vivacità così balda, così imperterrita, che le concedeva di lasciarsi andare ad atti briosi e alquanto scomposti, e di movere in giro, su quelle faccie marziali, delle occhiate affascinanti, e che parevano significar quello di cui ella, possiamo giurarlo, non aveva nemmeno la coscienza.

Quando abbiamo detto che nel collegio si recavano alquanti ufficiali, non abbiamo detto che vi andasse tutta la guarnigione. La fortuna dunque e il destino che spesso si mettono d'accordo per tender le reti ai mortali, concertarono fra loro di far che il Baroggi fosse, tra gl'intervenuti, il solo che appartenesse all'arma dei dragoni. Spesso un'inezia basta per avvincere due persone dell'uno e dell'altro sesso. Una sera, che il giovane capitano potè uscire un momento di fazione, a cui era obbligato, colla bella signora R... si recò dove si recaron gli altri; e naturalmente si trovò anch'esso in giardino a far corona intorno al suo commilitone femminile. Lo sguardo della fanciulla corse di preferenza all'elmo del giovine capitano, e spiritosa com'era e un po' eccitata, le venne detto:

Ecco finalmente un camerata.

Così fosse, rispose il Baroggi. Sul campo di battaglia, con un tal camerata, sarei invulnerabile, chè mi proteggerebbe un angelo custode cogli stivali e cogli speroni.

La fanciulla non rispose, ma guardò il bel capitano con una occhiata lenta e piena d'espressione.

Gli astanti, uomini e donne, a quelle parole, a quell'occhiata, provarono unanimi un senso di simpatia, e, cosa strana, le donne a favore della fanciulla, gli uomini a favore del giovane soldato. Ogni sentimento d'invidia era scomparso e negli uni e nelle altre, chè l'invidia non sorge se non quando spunta l'idea della gara. Bensì corse in tutti simultaneo e concorde il giudizio: non potersi dar coppia più adatta e più attraente di quella.

E tutto finì per quella sera; donna Paolina venne chiamata dalla voce stridula della governante. Rapida s'involò da quel crocchio, guadagnando la gradinata che metteva nelle scale, con un salto a piedi giunti, che fece risuonar gli speroni sulla pietra percossa.

È singolare che, nel tempo in cui il Baroggi si staccava dalle sue quattro Aspasie, delle quali era pur tenerissimo, per tornare alle sue occupazioni militari, o alla manovra in piazza Castello, o alla cancelleria del colonnello Landrieux, o alla scuola di maneggio, egli dimenticavasi compiutamente e della prima, e della seconda, e delle altre donne che usufruttavano in quote proporzionali il suo cuore di convenzione; e questo avveniva anche perchè, oltre alla simpatia esplicita e dichiarata e documentata di quelle quattro signore, strada facendo, e al passeggio, e ne' pubblici ritrovi, e nei teatri quotidianamente, avea occasione di compiacersi di cento altre dichiarazioni, fatte cogli occhi se non col labbro. Di quelle care e bellissime signore si occupava dunque con fervidissima espansione finchè trovavasi con loro; ma, dopo, il suo pensiero rimaneva sgombro e netto come una tavola rasa. Questo salutare fenomeno era quello che, ad onta delle molte fatiche di campo e di camera, gli conservava quella vivacità e freschezza di colorito, il quale, forse un quarto di secolo dopo, gli sarebbe stato ascritto a difetto e quasi a colpa dalle donne sentimentali, che nell'Ildegonda di Grossi e nel Tu vedrai la sventurata di Bellini, appresero a mettere in voga i colori sepolcrali e la tisi tubercolare. Ma, pur troppo, il sereno non può essere perpetuo. Nella sera stessa dello spettacolo, quando accompagnò a casa la signora R... nella stessa carrozza di lei, non ebbe tempo di ricordarsi dell'allieva emerita. Dormì anche, com'è naturale, tranquillissimo tutta la notte; si alzò dal suo letto di caserma, lieto, florido, raggiante e con quell'appetito modello che può avere un giovane di ventitrè anni, il quale nel trotto e nel galoppo trova il tocca e sana, indarno promesso dalle acque ferruginose. Ma, che volete, lettori carissimi? allorchè egli discese nel Maneggio ad assistere il sergente istruttore di cavallerizza, e prese egli stesso il frustone per comandare una ballottata, nel guardare a' giovani coscritti che duri e inerti stavano sul cavallo come fantocci inchiodati; al pari di un'apparizione diafana e vaporosa gli si presentò alla memoria la figurina leggiadra del dragone del collegio di madama Blanchard, gli si presentò alla memoria insieme col desiderio di vederla seduta in sella caracollare sotto alla di lui istruzione. Quella comparsa improvvisa assimigliò molto (volendo trattar l'amore come una malattia, convien ricorrere a similitudini ippocratiche), assimigliò molto a quegli esantemi fatali che compajono inaspettati per significare a un povero infelice che non ha potuto involarsi all'invasione di una epidemia o di un contagio.

Per colpa adunque della sua memoria e della sua fantasia, sentì il desiderio di tornare un'altra sera al collegio di madama Blanchard, e con certi sotterfugi riuscì d'andarci solo. Ma si preparò troppo bene a quella comparsa, perchè la fortuna gli arridesse. Si postò ne' corridoj, si recò nelle anticamere, s'introdusse fino alla soglia del palco scenico sotto alla protezione di due mammine alle quali ei non dispiaceva nient'affatto; andò in giardino: ma tutto fu invano; per quella sera donna Paolina non gli si mostrò che sul palco scenico; ond'egli si partì di rovesciato e lento, traendosi dietro il lungo squadrone, come Fingallo, l'eroe di Ossian. Uno dei segreti perchè una ragazza si fissi in pianta stabile nella testa di un giovinotto, è il non averla veduta dopo aver desiderato ed essersi tenuta in tasca la certezza di poterla rivedere. Il capitano stette dunque di malumore tutta notte, stette di perfido umore il giorno dopo... e non mancò di chiedere informazioni e di colei e della famiglia, e che so io. Ma ciò che seppe non valse a rasserenarlo; perchè la quasi clausura onde la contessa Clelia aveva circondato e e la figlia e la fanciulla non era molto opportuna a mettere di buon umore un giovinotto intraprendente. Ma, tanto era destinato l'intreccio e la catastrofe di un dramma serio, che si apprestò in que' giorni appunto la prima delle due sontuose feste da ballo che si dovevano dare nel palazzo Busca-Serbelloni.

Il nostro capitano vi andò in calzoni di spinone e in calzettine di seta; perchè il giovane Bonaparte, in fondo in fondo alla sua ambizione fiutando già l'impero, in quel breve anno di vittorie favolose, dall'irta Sparta erasi già converso alla geniale Atene, e gli scapigliati e squallidi sanculotti aveva cangiati in damerini ad allettamento delle moltitudini. Ora noi non sappiamo come sien corse le cose tra donna Clelia rigidissima e donna Ada; ma il fatto sta che, in mezzo alle belle dame e alle fanciulle che sedevano intorno intorno alla sala da ballo sui bianchi sedili, trovavansi donna Ada appunto e donna Paolina. Questa anzi, nell'istante che il capitano Baroggi mise piede nella sala, stava sorgendo perchè un gentile ufficiale le porgeva la mano invitandola ad un perigordino. Il Baroggi non la conobbe al primo, perchè le vesti femminili la facevano parer diversa da quella che a lui era comparsa nella verde giubba e nei calzoni di pelle di daino; ma la ravvisò poi, e si ravvisarono e danzarono insieme e contradanze e perigordini e monferrine, e si parlarono a lungo e concertarono...

Madri amorose e sollecite, le quali vivete in timore d'ogni nonnulla che mai possa avvenire alle vostre figliuole, ascoltate un nostro parere: tenetele ben lungi dalle feste da ballo. Nell'ebbrezza della danza vorticosa, in quel tepore che, al pari di una corrente elettrica, è mandato e rimandato da corpo a corpo stretti in artistico abbraccio, v'è un veleno assassino che basta per intorbidare le pure sorgenti dell'innocenza inconsapevole!...

 




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