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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO UNDECIMO
    • VIII
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VIII

Di molte guerre e catastrofi di popoli la storia più volte registra che la prima causa impellente è stato un bacio fatto scoccare in un cattivo momento, un'infedeltà, una gelosia, ecc. Se l'incendio di Troja e l'Elena divina e il dandy Alessandro non fossero stati citati in tanti e tanti libri fino alla noja, noi saremmo capaci di citarli ancora. Però, tanto per contrapporre qualche cosa di più nuovo alla guerra di Troja, sappiano gli investigatori delle cause prime, che l'eccidio del ministro Prina, che fu uno de' fatti più dolorosi e più terribili della città nostra, è avvenuto non per altro che perchè una moglie non plebea ebbe un bacio fuggitivo da un amante regio. Per oggi non possiamo dire di più. Il tempo di svelare i misteri, finora rispettati, di quell'orribile tragedia non è ancor giunto; ma verrà, e il lettore saprà da noi cose che nemmeno sospetta. Intanto torniamo a donna Paolina ed al Baroggi, dalla simpatia de' quali divenuta per gradi un amore incandescente, scaturiranno tali conseguenze, che non saranno certo una bagatella nemmeno per coloro che hanno passata la loro vita a contar le epoche delle rocce granitiche, o ad accrescere l'elenco delle stelle, o a indagar gli effetti dell'acido prussico, o a cercar un rimedio all'idrofobia.

Cara donna Paolina!!! più bella e più formidabile, nel nostro concetto almeno, delle stesse eroine guerriere dei nostri due epici sovrani, anche noi cominciamo a sentire per te una certa affezione; ed è invero una fortuna l'innamorarsi delle persone morte, che risorgono come creazioni della nostra fantasia, perchè ciò almeno non danneggia la nostra salute, la nostra borsa.

Alquante pagine addietro abbiamo di gran fretta abbozzato il ritratto fisico e morale del conte Achille S..., il padre di donna Paolina, colla promessa che a tempo debito ne avremmo fatto il ritrattone ad olio. Fu quella un'informazione un po' allarmante, e che in coloro i quali credono al sistema dei trapassi morali deve aver generato qualche apprensione anche a riguardo della figliuola: Talis pater, con quel che segue. Ora non possono immaginarsi quei signori con che piacere noi vorremmo dir loro che si sono ingannati; ma, pur troppo, ciò che è non si può negare. Quell'avventatezza onde il padre aveva fatto saltare in aria due o tre patrimoni, quell'impeto di sangue onde, senza badare alle conseguenze, avea fatto tutto ciò che il capriccio istantaneo gli aveva suggerito; quella spensieratezza imperterrita onde aveva abbandonato patria, casa, moglie, figliuoli, tutti, pur troppo, si trasfusero, sebbene, con modificazioni benigne, nella fanciulla Paolina. La contessa Ada, con quel suo cuore nato fatto per le profonde e ardenti affezioni, innamoratasi al delirio di quello scavezzacollo pieno di fascino, ne avea riprodotte le stigmati, come si riproduce una voglia, nel corpo, nell'intelletto, nel cuore della figliuola. Solo in cuore, per lasciarle un impronto anche di se stessa, le depose una forte sentimentalità affettiva. Della bontà non parliamo, perchè (e come potrà ora crederlo il lettore? ma lo vedrà a suo tempo) essa esisteva, sebbene in fondo in fondo e sotto mille pieghe, anche nell'inestricabile guazzabuglio del cuore di suo padre. Ora fu con queste disposizioni elementari che la fanciulla, rinnovando le danze fatali col capitano Baroggi alla festa in casa Serbelloni, sentì per la prima volta da colui il linguaggio esplicito, ardente, entusiastico dell'amore, con dichiarazioni da far girar la testa anche a una marmotta; con promesse, con proposte, con insinuazioni che potevano parer armi ed artificj e insidie perfino di un'anima corrotta e ribalda, se il giovane Baroggi non fosse stato in piena buona fede, e se, riscaldando la fanciulla, non se ne sentisse riscaldato a gara, al punto da smarrire la prudenza e il senno.

Noi vorremmo riprodurre per intero il dialogo di fuoco che avvenne tra loro; quel dialogo vertiginoso che li trasportò in un mondo fuori del mondo, se non avessimo fiducia nella sagace interpretazione de' nostri più giovani lettori. In conclusione, per non perdere il tempo in eccessive chiacchiere preparatorie, il Baroggi, a quella festa in casa Busca, disse alla fanciulla ch'egli tra pochi giorni, ed era vero, avrebbe probabilmente dovuto partire per seguire le truppe; che non poteva o non voleva lasciarla a Milano; che s'ella si rifiutava, egli, al primo scontro in campo aperto, non avrebbe fatto altro che gettarsi sulle baionette nemiche, per esalar l'anima a un tratto; che un'altra giovine milanese, e alludeva forse alla ben nota signora Scanagatta, erasi fatta soldato; ed altre avean seguiti gli sposi, senza mettere in pericolo il decoro; che il destino e la Provvidenza (che spalle grosse ha costei!) avevano mostrato a più segni di volere ciò ch'ei proponeva; che il fatto stesso dell'avere essa un completo abito militare e della medesima arma in cui egli serviva, era un indizio manifesto, che la fortuna voleva in tutti i modi agevolar la via della fuga. La fanciulla non avea risposto a tali parole; ma nel cuor suo prese fermissima risoluzione di seguirlo in ogni modo, per quanto serie ne potessero essere le conseguenze. Anzi, nei giorni consecutivi, se il capitano Baroggi fu assalito più e più volte da mille dubbj e paure, ella non ebbe mai in mente altro pensiero che quello di mettere quandochesia in esecuzione quel partito disperato.

Verso la metà di marzo eran venuti di Francia nuovi battaglioni e molta cavalleria, la quale, dovendo partire da un giorno all'altro, fu messa a serenare nei giardini pubblici, come praticarono e prima e dopo e sempre quasi tutte le truppe venute qui in momenti burrascosi, per passare altrove. Il capitano Baroggi, per le incombenze portate dalla sua condizione d'ajutante del colonnello Landrieux dello stato maggiore di cavalleria, due o tre volte al giorno recavasi ai giardini, nel breve periodo che il nuovo reggimento dragoni stanziò a Milano. Passando lungo il naviglio, vedeva due o tre volte al giorno la fanciulla che stando continuamente alla vedetta e quasi indovinando l'ora e il punto, usciva in giardino quando occorreva, spingendosi sino ad una ringhieretta mascherata di carpini, la quale si protendeva molto sul naviglio, e però non era a molta distanza dalla sponda opposta. Il Baroggi guardando il naviglio che era asciutto, per gli spurghi che, siccome è d'antica pratica, vi si cominciano nel mese di marzo; e osservando che, in molti punti, gettandovi mattoni o ceppi grossi, potevasi attraversare, senza la necessità d'immergere nell'acqua quasi nemmen la punta dei piedi; pensò che la fuga della fanciulla tentata per quella via non presentava difficoltà pericolo di sorta. L'irresoluzione in cui da più giorni ei versava dipendeva in gran parte dall'idea delle difficoltà che naturalmente si opponevano al suo disegno. Ora quella specie di scoperta lo sollevò al punto, che stabilì risolutissimamente di mandarlo ad effetto. Scrisse dunque alla fanciulla una lettera, la quale come sia stata ricapitata non lo sappiamo, perchè non si può saper tutto. Ella rispose, e la risposta avea qualcosa di determinato, di fiero, di romano, per così dire, che egli stesso ne dovette maravigliare, ma d'una maraviglia che gli accese più che mai il cuore e la testa.

A questo punto eran le cose quando noi vedemmo per la prima volta donna Paolina appoggiata alla spalla del finestrone della sala terrena verso il giardino, in una posa affatto maschile. Allora ci pare d'aver notato come ella fosse concentrata in gravissimi pensieri; ci pare d'aver notato come si scuotesse tutta a sentir la Marsigliese, eseguita sul cembalo e cantata da sua madre. Ora dobbiamo aggiungere che, dopo avere scritta quella lettera di risposta al capitano Baroggi, avea pensato di proporgli che, prima di partire, provvedesse a sposarla. Codesta idea sorse in lei, e per quel senso profondo di decoro e di pudore che è in tutte le fanciulle, anche allorquando sono esaltate e traviate dalla passione; e per esperimentare se le proteste ardentissime del Baroggi non fossero proteste oblique e malfide. Il dubbio o il sospetto è inseparabile da qualunque passione, nel soddisfacimento della quale si ripone ogni maggior bene. Ella, del rimanente, aveva sentito a dire che i matrimonj, senza il consenso dei genitori, erano nulli per legge; ma avendo pur letto, non sappiamo in qual libro, che in alcuni casi non è necessario il loro consenso, intelligente e acutissima qual'era, andò a squadernar il catalogo dei libri della biblioteca ricca e scelta, raccolta dalla dottissima contessa Clelia, l'ex lettrice di matematica nell'archiginnasio bolognese, per vedere se mai vi fossero delle opere che trattassero del matrimonio. Squadernò dunque, e ne trovò più d'una, e di recenti: tra l'altre, le Considerazioni attribuite a don Giovanni Bovara sopra l'imperial regia costituzione del giorno 16 di gennaio 1783, risguardante i matrimonj, stampate a Milano dal Motta nel 1794; i due opuscoli dell'abate segretario Giudici, Sulla civile potestà del matrimonio, stampati pure a Milano in quel medesimo anno 1797; e un altro sul medesimo soggetto, d'ignoto autore, stampato a Brescia nell'anno stesso.

Lesse avidamente quei libri, ma per quanto ella fosse colta e intelligente, quella materia mista di giurisprudenza e di teologia era alquanto superiore alle sue forze: e tanto più che così il Bovara, come l'abate Giudici e l'anonimo di Brescia non ebbero certo in mente di scriver per le ragazze. Lesse dunque molto e capì assai poco, ma per quel poco comprese che l'affare era disperato e si sentì venir freddo.

Ma tutt'a un tratto balzò in piedi, come se avesse fatto una scoperta, mandando un lungo respiro di soddisfazione. Aprendo l'opuscolo di Brescia, s'imbattè nella pagina 23, dove lesse quel passo che per lei era davvero un passo d'oro: Ognuno sa che il concilio di Trento volle stabilire che valido sia il matrimonio dei figli anche senza il consenso de' genitori. Ciò le bastò; chiuse il libro; ripose tutti gli altri nella libreria, e non ne volle saper altro; e su quel passo solitario e sgranato, come praticano molti dotti che vogliono fondare un sistema nuovo a qualunque costo, e storpiano i fatti per farli stare sul loro letto di Procuste, fondò la sicurezza del suo matrimonio col bel capitano.

Scrisse allora al Baroggi una seconda lettera, nella quale metteva il matrimonio come indispensabile condizione, anzi come condizione preventiva alla partenza e alla fuga. Il capitano, che ignorava il decreto del concilio di Trento, ma senza saperlo, sapeva benissimo che la sostanza di quel decreto non era mai stata ricevuta da nessun governo; e recentissimamente il general Bonaparte avea promulgato la legge del matrimonio civile, per il quale, essendosi fissato il principio del contratto, le difficoltà erano accresciute pei contraenti; volle darsi per disperato, e tanto più che le parole della fanciulla, mentre pure esprimevano il turbine della passione, erano parole di ferro in quanto al matrimonio.

Codesto ostacolo improvviso gli accrebbe la smania di riuscir nell'intento; e la tempesta fu tale in lui, che, sapendo come il vecchio Suardi poteva dar punti al diavolo, risolse di aprirsi a lui per ajuto.

Si recò pertanto a trovarlo sull'istante; ma volle la combinazione che entrasse nelle sue camere in malissimo punto. Contro il consueto e con suo gran stupore, trovò il signor Andrea Suardi in un terribile abbattimento. Che cosa era successo? Dal signor Andrea, com'è naturale, non potè saper nulla; si ritirò dunque, e, ne chiese qualcosa ai servitori, ma anche questi non sapevan nulla. Discese nello studio, parlò a uno scrivano. Il Baroggi, da quanto colui gli disse, potè argomentare che una cattiva notizia aveva cagionata la costernazione del Suardi; ma non potè sapere, indovinare qual fosse codesta notizia. Noi però non abbiamo bisogno di andare a tentone; ed ecco che cosa c'era di nuovo. Da un messo velocissimo e clandestino gli venne riferito alla mattina di quel giorno, esser caduto prigione, nelle mani dei francesi, il generale austriaco Scultz, morto poi per le ferite; il quale era il suo manutengolo nelle manovre degli appalti; che, nel tempo stesso, dopo un'amputazione, era morto anche un ufficiale del treno francese, il quale, prima di morire, avea scritto una lettera all'intendente di guerra francese, residente ancora in Milano, nella quale pareva si facessero importanti rivelazioni sul fatto degli appalti e dei foraggi. Or vedrà il lettore che tempestoso viluppo sta per ammassarsi da tutto ciò; e come il Baroggi finisse a giovare al Suardi, e questi al Baroggi.

 




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