VI
Il colonnello, al ricominciare dell'azione, si alzò, e detto
al capitano che lo consigliava a recarsi la sera a veglia negli appartamenti
del generale, dove per consueto si raccoglieva il fiore de' cittadini e dei
forestieri, si allontanò lentamente, e ritornato al suo posto presso al general
Massena, gli parlò in modo, che questi impose all'ufficiale d'ordinanza di
recarsi, prima che finisse lo spettacolo, a invitare formalmente il capitano
Baroggi e la sua donna.
Proseguiva intanto l'azione. Già, Cassio aveva declamato tra
gli applausi generali que' versi:
Enfin donc
l'heure approche où Rome va renaître:
La maîtresse du
monde est aujourd'hui sans maître.
Già Bruto, nel dialogo con Giulio Cesare, aveva destato
entusiasmo, e strappato le lagrime ai veraci repubblicani, segnatamente a quel
passo dove, gettandosi ai piedi di Cesare, esce in quelle parole per verità
sublimi:
César, au nom des
dieux, dans ton coeur oublies;
Au nom de tes
vertus, de Rome et de toi-même,
Dirai-je, au nom
d'un fils qui frémi et qui t'aime,
Qui te prefère au
monde, et Rome seule à toi,
Ne me rebute pas!...
Il terz'atto adunque, fino a questo punto, piacque assai più
degli altri due, e lo spirito repubblicano si era talmente impadronito di tutti
gli spettatori, che anche alcuni patrizj delle più illustri case di Roma, e che
non era usciti senza fede in nessun Dio, ma per non sapere a che appigliarsi;
anche qualche dotto memore ancora della protezione pontificia e cardinalizia;
anche qualche pagnottista, di quelli che hanno l'intelletto e il cuore nel
ventre, pur si sentirono scossi a quelle parole; e colti all'improvviso in quel
momento, e costretti a votare, certo avrebbero messa la palla bianca nell'urna
repubblicana. Se non che, tutto questo entusiasmo finì per produrre un uragano,
non molto piacevole al capocomico Rosier e all'appaltatore.
Come fu già detto, dal palazzo Spada era stata trasportata
sulla scena, che rappresentava il Campidoglio, la statua di Pompeo.
La parte men colta del popolo, la quale costituiva, com'è
naturale, i quattro quinti del pubblico, non avendo letto prima la tragedia di
Voltaire, credeva, e per verità ne aveva tutte le ragioni (chè per una semplice
esposizione poteva bastare il palazzo Spada), che la statua di Pompeo non a
caso fosse stata trasportata sul palco; e però, nell'estrema accensione della
sua ira repubblicana, aveva rivolta tutta l'aspettazione al momento in cui i
congiurati avrebbero trafitto il tiranno, ed esso, dignitosamente avvolto nella
toga, sarebbe caduto a' piedi del simulacro del rivale.
Ma Voltaire aveva troppo studiato Orazio, ed essi non
conoscevano quel passo:
.........Non tamen intus
Digna geri promes in scenam......
Nec pueros coram populo Medea trucidet.
Come dunque sanno tutti coloro che hanno letto la tragedia
di Voltaire, questi, colto il punto in cui Dolabella intrattiene i Romani colle
lodi di Cesare, fa scoppiare di dietro alle scene le grida dei congiurati:
Meurs, expire,
tyran; courage, Cassius;
e fa uscire, momenti dopo, questo Cassio appunto col pugnale
in mano a gridare come un invasato:
C'en est fait, il
n'est plus;
e impegnasi tra Cassio e Dolabella una gara a chi più riesce
a tirare a sè il popolo:
Peuples,
secondez-moi, frappons, perçons ce traître.
Peuples,
imitez-moi: vous n'avez plue de maître.
Ma il popolo vivo e presente, ch'era assai più repubblicano
del popolo romano della storia e dell'archeologia, dando ragione a Cassio e a
tutti i suoi amici, non voleva però che dell'uccisione di Giulio Cesare se ne
facesse un segreto di consorteria; onde da un punto all'altro dell'anfiteatro
cominciò una tempesta di grida:
E muoja dunque Giulio! muoja, muoja!
È morto! gridò allora stentoreamente uno del popolo.
- E risorga, per Cristo... vogliamo vederlo noi a morire...
vogliamo.
Gli attori si arrestarono a quel tumulto inaspettato, senza
conoscere di che si trattasse. Qualcuno s'interessò a far loro sapere la
cagione dell'ira pubblica. E qui si avviò un dialogo tra pubblico e attori. Gli
attori eran forti dell'autorità di Voltaire; il pubblico accennava la statua di
Pompeo, e voleva che Cesare fosse trascinato là, e là fosse trafitto...
E in quella un uomo di Trastevere, tarchiato e terribile e
con una testa da Caracalla:
E son qua io, gridò, per Cristaccio! dov'è sto Giulio?
dov'è? ch'io lo spaccerò io, lo spaccerò.
Quel popolano di Trastevere fu in breve seguito da gran moltitudine
di compagnoni, che tutti si misero a gridare ad una voce: morte a Cesare!
vogliam vedere Cesare morto!
Il tumulto andò tant'oltre, che l'appaltatore si recò dal
generale Massena, supplicandolo perchè provvedesse a metter fine colla forza a
tanto disordine.
E che ci ho a far io? Tocca a voi a tirarvi di impaccio,
rispose il generale. Dopo tutto, che difficoltà avete a improvvisare in vista
del pubblico e ai piedi della statua di Pompeo la scena che avete gridato di
dentro?
Nessuna difficoltà, ma Giulio Cesare è fuggito.
Come fuggito?
Per paura che il popolo lo pigliasse davvero per il Cesare
di diciotto secoli fa, lasciò andar giù in fretta e toga e manto, rivestì i
proprj panni e se ne andò.
Ma in che modo se ne andò, se il palco è nel mezzo dell'anfiteatro?
Tanto fa, non c'è più. Bisogna che il popolo non l'abbia
riconosciuto.
Il fatto strano fece ridere anche il generale, che rideva
poco e aveva tutt'altro per la testa; poi soggiunse:
Se l'antico e vero Cesare avesse fatto come costui, forse il
mondo avrebbe pigliata un'altra strada.
Ma or che si fa, generale? Sentite come il popolo urla
laggiù. Guardate che già piglia d'assalto il palco scenico.
Il generale non si moveva, e guardava, e non dava ordini.
Pareva che prendesse gusto a quella scena.
Difatto il popolo penetrò a furia nell'edificio capitolino,
innalzato con trabacche per far scena; ne snidò tutti i congiurati in toga:
Cassio, Casca, Cimbro, il medesimo Bruto, che è tutto dire; investendoli e lor
domandando fieramente che cosa avevano fatto di Giulio Cesare.
Se non che a un altro uomo del popolo scappò detto:
Ebbene, se è fuggito il tiranno, pigliamoci questo
Marc'Antonio che sta qui e ammazziamo lui.
Non l'avesse mai detto! Tutta la furia del popolo si rivolse
di colpo contro il povero comico incaricato di quella parte odiosa; il quale
cadde svenuto per la gran paura.
Fu allora che il general Massena mandò tosto colà un
picchetto di granatieri a far finire l'atroce burla.
Per chi dall'alto del Colosseo avesse guardato con intento
filosofico quella scena, quel miscuglio d'antico e di moderno; quella statua di
Pompeo che parea davvero far retrocedere tutti gli spettatori a diciotto secoli
addietro; quelle toghe e quei manti misti alle giacchette de' Trasteverini; in
ultimo i granatieri della repubblica nuova che vennero a spianar le bajonette
contro un popolo che mostrava d'amar tanto la repubblica vecchia, e che voleva
saziar la vista nello spettacolo della morte di Cesare, ben poteva trovare.
argomento di peregrine considerazioni.
Or chi avrebbe mai pensato, tra quanti erano congregati in
quel famoso ricinto, che, nonostante la memoria di Giulio Cesare fosse tanto
odiata da destare un commovimento per tutta Italia, e un rigurgito di tutti gli
Italiani repubblicani in Roma, per assistere ad uno spettacolo, che, dato nel
Colosseo, pareva dovesse riuscire solenne e pieno di grande significanza; chi
allora avrebbe pensato, ripetiamo, che fra poco stava per scaturire dal
repubblicano Bonaparte la seconda edizione del Cesare antico?
Ma lasciando le inutili considerazioni, e tornando ai nostri
personaggi, l'ufficiale d'ordinanza, nel momento che i granatieri del general
Massena comparvero sul palco scenico a respingere i popolani inferociti, si
recò di nuovo presso il capitano Baroggi, al quale richiamò in prima le parole
del colonnello; poi si rivolse a donna Paolina, per significarle che il
generale Massena invitava anche lei a volere onorare la consueta veglia,
ch'esso offriva ne' suoi appartamenti ai repubblicani di Roma, d'Italia e di
Francia.
Ora quando il Baroggi e donna Paola lasciarono il Colosseo e
si trovarono districati dalla folla, che a vortici li aveva circondati e
oppressi finchè si trovarono in quelle vicinanze, ricominciarono più seriamente
che mai la loro consulta.
Il mio partito, diceva il Baroggi, è che si debba partire, e
senza perder tempo, e meglio stasera che domattina.
Così si fugge il pericolo presente, questo è vero; ma
nemmeno si provvede all'avvenire.
Ma com'è che non dividi, mia cara, il mio pensiero, se pure
alla sola vista di tuo padre minacciavi di cadere in isvenimento?
E che vuoi? Questo mio padre, ho un presentimento che pure
debba esser lui quello che ci debba far uscire da questa condizione di pena e
di paure continue. Egli mi pare uomo più bizzarro che cattivo. È un soldato
valoroso, questo lo dicon tutti; di più è un repubblicano caldissimo, e fu dei
primi a far guerra alla nobiltà. Ora, qual fu la nostra più gran nemica?
codesta nobiltà appunto che alla contessa Clelia sembra
Vangelo.
Tu parli benissimo: ma io ne ho conosciuti assai di questi
repubblicani stati ricchi e stati nobili... Ho provato anche a stuzzicarli. Or
piglia la più superba e pinzochera damazza del biscottino, e credi, che in
confronto può parere un sanculotto. Non hai veduto come egli si scontorse,
quando gli dissi ch'io non era altrimenti nè il Baroggi figlio del banchiere,
nè un parente del Baroggi guardia d'onore? Anche a te è riuscito di veder
questo?
Il Baroggi in quel breve colloquio col conte aveva
perfettamente indovinato il vero; ma donna Paolina, per sua disgrazia, non fu
dello stesso parere, e tanto disse e ridisse, che la sera e l'uno e l'altra
furono nelle sale del general Massena.
Il lettore non si metta in isgomento, chè noi non
descriveremo quelle gioconde veglie. Già quasi tutte le grandi celebrità
artistiche, come letterarie, e patrizie, e muliebri, erano uscite di Roma. Il
Canova era andato a pigliar aria nel Veneto: Pompeo Battoni stava godendo il
fresco alla Riccia: il Piranesi erasi riparato a Ercolano: Vincenzo Monti,
mutati i panni, già assisteva a Milano al rogo cui venne condannata la sua
Basvilliana: Winkelmann moriva asfissiato per non poter più bere l'acqua di
Trevi. Solo era rimasto in Roma a far il triumviro l'archeologo Visconti. In
quanto ai cardinali (parliamo dei dotti e dei celebri, e di quelli che si ha la
curiosità a vederli e a sentirli a parlare), innanzi tutto non sarebbero mai
andati a far la loro corte quotidiana a un soldato; ma quel che meglio si dee
sapere, è che in Roma non ce n'era più nemmeno uno, anche a metter fuori la
mancia d'un milione di scudi romani. Delle donne, celeberrime per casato e per
beltà, le Braschi, le Borghesi, le Massimi, le Buoncompagni, le Santa Croce, le
Rezzonico, ecc., ecc., avevan tutte preso il volo ben lungi, in coda ai loro zii
e cognati e fratelli principi; non rimaneva dunque che la nobiltà dei gradi più
bassi; poi le bellezze borghesi nate in seno alla ricca mercatura, e che vedute
dall'occhio dell'artista e da un amante sincero delle belle donne, facevan lo
stesso effetto delle assenti. Diciam tutto questo perchè il lettore comprenda
il motivo della descrizione mancata. Se presentassimo l'elenco di tutti gli
intervenuti, egli non conoscendo nessuno di costoro, non potrebbe prendervi
interesse di sorta.
In ogni modo, colle belle donne patrizie e mezze patrizie, e
colle altre, gli ufficiali dell'esercito repubblicano passavano le loro notti
lietissimamente, prolungando i giuochi e le danze ad ora tardissima. Nè il
colonnello S..., sebbene avesse toccato i suoi quarant'otto anni, si era ancora
ritirato dal campo sdrucciolevole della danza e della tresca amorosa. La cosa è
precisamente così; nè serve, o lettori, crollar la testa in aria d'increduli.
Ma egli era ancor bello ed elegante della persona; ma egli era snello e
nerboruto; ma, a lume di sera, due lustri buonamente scomparivano dalla sua
faccia; ma innanzi tutto, si credeva giovane; e a questo mondo ognuno è quello
che crede di essere. Intanto già qualche beltà di prima fila, sebbene non più
celibe, guardate che errore! gli si era sfregata presso lusinghiera e
carezzosa; intanto già qualche ufficialetto, che contava venti o venticinque
anni meno, aveva ricevuto da lui qualche colpo invincibile, ed era stato messo
fuori di partita. Intanto... ma intanto fece senso a tutti, che donna Paolina,
l'angelico dragone che aveva fermato l'attenzione di tutti gli spettatori del
Colosseo, la prima sera stessa che venne a quella veglia, bella di quella
bellezza fatale che fa classe da sè e non appartiene a nessuna scuola, come il
genio, avesse mostrato già tanta propensione per quel colonnello, che poteva
essere chiamato la Ninon del suo sesso e della sua classe; tanta inclinazione
da ballare con esso lui quattro contraddanze in due ore; e da lasciare in un
canto il bellissimo capitano Baroggi.
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