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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOSESTO
    • II
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II

Come dunque abbiam sentito dal corriere Barbisino, il conte Aquila e l'avvocatessa Falchi erano andati a Parigi sulla fine dell'anno 1812, quando appunto sapevasi che Napoleone a grandi giornate vi ritornava dalla Russia. Essi eransi recati nella capitale dell'impero per diversi intenti, e senza che l'uno sapesse dell'altra. Il conte Aquila, che non erasi mai più trovato col vicerè ed era stracco di fiutare l'avvenire, ed era più stracco di vivere in un non glorioso riposo, alla notizia dei disastri inauditi del grande esercito che in pochi mesi aveva rovesciato l'edifizio miracoloso di tanti anni, si affrettò a Parigi per vedere più dappresso le cose, per affiatarsi coi personaggi più vicini al trono e più addentrati nella cosa pubblica. L'uomo ambizioso che non aveva potuto trovare un seggio abbastanza alto per finchè durò la gloriosa fortuna di Napoleone, sperò che quel repentissimo cambiamento di cose, quella procella furiosa che aveva soffiato nelle viscere del mare, avrebbe slanciato alla superficie tutto ciò che per le circostanze era rimasto al fondo. Le sue idee e le sue aspirazioni però erano tutt'altro che determinate.

Più anguste, più mercantili, ma più precise, erano le cagioni per cui l'avvocatessa Falchi erasi anch'essa recata a Parigi. L'avvocato, speculando sul cattivo andamento delle cose di Spagna, aveva comperato per bassissimo prezzo una grande quantità di boni del tesoro. Secondo il suo modo di vedere, avvalorato assai dai consigli del ministro Prina, erasi tenuto certissimo che le continue disfatte della guerra di Spagna sarebbero presto state riparate dai trionfi del Nord; si gettò dunque audacemente in quella speculazione, la quale, se avessero côlto nel vero le sue previsioni, avrebbegli portato in cassa un pajo di milioni. Ma per le inattese rotte di Russia, che nell'opinione degli uomini non avrebbero dovuto succedere colla presenza di Napoleone, che era mancato in Ispagna, la carta-moneta correva pericolo di rimaner carta semplice. L'avvocatessa che, siccome suol dirsi, era una donna coi calzoni, e voleva far l'uomo, e l'uomo d'affari, e ajutava il marito in tutti i modi, si profferse a fare il viaggio di Parigi, e perchè l'avvocato era più necessario a Milano, e perchè a lei, donna ancora avvenente, e, secondo la sua particolare opinione, ancora tale da trovar aperte le porte che comunemente si chiudono in faccia agli uomini, il còmpito sarebbe riuscito assai più facile che al marito. A Milano, se il conte Aquila conosceva la Falchi e s'era trovato secolei in qualche pubblico convegno, non era però null'affatto suo amico intrinseco; di più, il suo orgoglio e il suo rigore aristocratico gli rendeva spregevole quella donna di plebeo casato e di modi più ancora plebei, al punto che vietò alla propria moglie, ch'era d'indole gentile e affabile oltre l'ordine consueto, di non far troppe parole con quella donna, quando per combinazione si fosse trovata seco in qualche ritrovo.

Quest'avversione superficiale sembrò scomparire quando il conte, per caso, ebbe ad incontrarsi colla Falchi a Parigi. Un uomo che in patria appena si conosca di vista, quando s'imbatte a vederlo in terra lontana tra faccie straniere, improvvisamente si trasmuta in vecchio conoscente. Se una persona di consueto la si scansava per antipatia invincibile, diventa per lo meno tollerabile alla distanza di cinquecento o seicento miglia. Se con un amico ci siam guastati il sangue e s'è venuti alla risoluzione di levarci il saluto, appena lo si vede spuntare da una via d'un paese lontano, ogni rancore scompare, senza bisogno d'intermediarj, e tutto finisce con una risata sonora, che vale per cento scuse e cento dilucidazioni. In virtù di questo fenomeno umano, che si ripete e si verifica costantemente, allorquando il conte vide la Falchi al teatro imperiale, malgrado il proprio orgoglio e la nessuna stima che aveva di quella donna, si recò a farle una visita.

L'avvocatessa, naturalmente, politicava e spoliticava, trinciava sulle questioni le più ardue con una sfacciataggine beata, che qualche volta le permetteva persino di dir qualche cosa di buono. Il conte si sarebbe turate le orecchie per non sentirla; ma quella rosea facciotta, e quel dialetto, e quel pezzo di patria vivo e vero, che valeva almeno come una veduta del Duomo di Milano, gli faceva sopportabile e persino amabile quella compagnia. Siccome poi, sempre in virtù di quella sfacciataggine beata, ella si mescolava a tutti i crocchj e recavasi dappertutto e un po' per commendatizie del ministro Prina, un po' per l'amicizia del cavaliere Aldini, aveva potuto parlare e avrebbe parlato ancora con qualche alto personaggio, e anche con taluno di quelli che stavano vicinissimi all'imperatore, così amava di sentire da lei che cosa aveva pescato nel mare della politica ancor burrascosa; e con tanto più di interesse faceva questo, in quanto considerava che quei personaggi si sarebbero abbottonati con lui che era patrizio ed elettore e tenuto in conto d'uomo di gran levatura, mentre si sarebbero lasciati cogliere spensierati dalle interrogazioni di una donna che a tutta prima pareva una chiacchierona insulsa, ma che all'ultimo era scaltra e svegliata fino a non lasciarsi sopraffare dai monosillabi di Talleyrand.

Per queste ragioni quotidianamente egli andava a visitarla, e più spesso quando l'imperatore tornò a Parigi.

È inutile il dire che il conte si accontentava delle sole notizie, nel tempo stesso che, se il galateo lo avesse permesso, si sarebbe licenziato tutte le volte che cominciavano le di lei considerazioni e congetture e ipotesi e profezie. Era ben contento d'imparar la storia da lei, ma la filosofia della storia assolutamente non poteva mandarla giù, tanto più ch'egli era di opinioni affatto opposte. Ad ogni modo, e l'uno e l'altra, nonostante una così diverga tempra d'ingegno, si sarebbero anche avvicinati nelle vedute se l'uno e l'altra si fossero posti a giudicare a sangue freddo; ma l'avvocatessa dovendo smerciare quel milione di boni del tesoro, avendo urgente bisogno che tutto piegasse in bene, si sforzava così a non vedere che rose nell'avvenire: mentre il conte, a cui premeva che il disastro napoleonico continuasse, nemmeno un momento seppe credere che l'edifizio in isfacelo potesse ricostruirsi. In due altre cose inoltre differivano affatto. Ella voleva che Napoleone si rimettesse sul piedestallo, e cadesse Beauharnais, senza che a ciò vi fosse ragione di sorta, ma soltanto perchè lo desiderava; laddove il conte, vedendo inevitabile l'ultima rovina dell'imperatore, faceva dei conti su Beauharnais, dopo le parole avute con esso lui, e su Milano e sul regno italico.

Or fermiamoci qui, in quanto a pubblici affari, e vediamo come una lieve notizia, di indole affatto privata, cambiando le passioni, abbia influito con tanta efficacia a cangiare anche le opinioni e le simpatie politiche del conte.

Una sera il conte Aquila discese, insieme con madama Falchi, alla tavola rotonda dell'albergo di Marengo, dov'era alloggiato e dove erasi trasferita anche madama, per essere stato chiuso, per ordine del ministro di polizia, l'albergo di Montmorency, dove alloggiava prima, perchè l'albergatore fu indiziato di aver avuto parte nella congiura Malet. Fattasi ora tarda, l'avvocatessa, che beveva forte come un'ostessa del lago Maggiore, alzò la mano più del consueto, eccitata da un eccellente chambertin vecchione, soprannominato il vino Napoleone, dall'uso che ei ne faceva di preferenza ne' suoi pasti campali. Il discorso naturalmente era la politica del giorno. Il conte, per le ragioni addotte, ne sopportava la chiacchiera intemperante, perchè tra tante cose nojose e strambe, ne raccoglieva qualcuna che faceva per lui.

Mi fa senso, ella venne a dire a un certo punto del suo articolo di fondo improvvisato, come il signor conte non abbia nessuna fiducia in un completo risorgimento della potenza napoleonica. Mi fa più senso ancora, come un uomo del suo talento possa mettere gli occhi addosso a quel gallo insuperbito di Beauharnais, nel caso che dovendo andar per aria il trono di Francia, debbano gl'Italiani pensare seriamente ai casi proprj, e piantare il regno d'Italia su delle fondamenta ben solide.

Il conte non rispondeva quasi mai alle continue domande di madama Falchi, e la propria politica se la teneva per . Ma in quella sera non avendo saputo schermirsi abbastanza ogni qualvolta l'avvocatessa gli aveva colmato il bicchiere di vin Napoleone, fu espansivo e men chiuso del solito: però a quelle parole della Falchi, ridendo e celiando ed esprimendosi con modi affatto nuovi in lui:

Già io so il perchè, disse, a lei sta tanto a cuore la fortuna dell'imperatore.

Perchè?

Quando glielo avrò detto, ella avrà la bontà di confessare che ho côlto nel segno. Ma non vada in collera. Se ella non avesse nello scrigno tanta carta, il cui valore non aspetta l'esito delle cannonate, non spasimerebbe tanto per S. M. Vorrei vedere, cara signora napoleonista, se suo marito, invece di acquistare dei boni del tesoro, avesse, prima del sistema continentale, investito un grosso capitale in qualche fabbrica di Londra; vorrei vedere se adesso si tormenterebbe tanto a veder tutto bello e lucido e sereno.

Cosa c'entra il tormentarsi?

Ma la mi lasci finire... Io già so come sono i capitalisti che fanno speculazione di borsa. Le loro opinioni politiche durano dalla mattina alla sera, e al dopo se soffia una inattesa notizia, volano via tutte le simpatie del prima.

Questo va bene, ma....

Altro che andar bene! ma se mi ascolta andrà meglio. Io dunque credo fermamente che Napoleone non può più star in piedi: prima però ch'ei cada affatto ella ha tempo di vendere benissimo tutti i suoi boni. È probabilissimo che Napoleone, rientrando in campagna, abbagli ancora il mondo con qualche brillante vittoria. Quello è il momento, cara signora, di vender bene la sua carta. Tutto il mondo crederà che a una vittoria terrà dietro un'altra, come una volta; ma le vittorie non saranno molte, si fidi di me. Ho parlato a due o tre generali dei più intimi di Napoleone: ebbene? crollano la testa, cara signora, e criticano il padrone, perchè son sazj. Non c'è più entusiasmo, perchè non c'è più fede, e, peggio ancora, perchè non c'è più speranza, ossia perchè la speranza non ha più niente da fare. L'uomo mette in pericolo la vita, finchè la vita non val nulla, e colla lusinga, che, se la fortuna è propizia, possa col tempo valer molto. Ma quand'uno ha raggiunto quello che è al di d'ogni desiderio, che volontà si ha ad avere di farsi ammazzare per un uomo il quale è persuaso che le donne debbano sciuparsi a fabbricar soldati, per dare a lui solo lo spettacolo di una strage perpetua?... Vedrete quel che vi dico io. Vi do tempo sei mesi, un anno; e poi giù, e per sempre.

In ciò ch'ella dice, c'è del vero. Ma io mi son limitata a credere e a dire che Napoleone farà ancora tremare l'Europa. Non ho parlato della durata io...

Ah, dunque siamo d'accordo! Lei s'accontenta del tempo che è necessario per liberarsi di tutta la sua carta. Voglia dunque esser sincera; già io non vado a dirlo all'imperatore, e nemmeno al ministro Prina.

La Falchi era esaltata, e un pochino ebbra, e però aggiunse quello che coll'acqua fresca non avrebbe mai detto.

Al ministro Prina ella può dire benissimo quello che ha detto a me. In fin dei conti, più della metà di questi boni è proprietà del ministro.

Passa il milione?

Son più di due milioni...

Me ne congratulo tanto.

Era un avvocato... fu messo a fare il custode della pubblica ricchezza... Doveva starsene forse colle mani in mano?

Va benissimo, e buon pro gli faccia. Pur farebbe meglio a non rovinare il proprio paese... Dato un rovescio napoleonico... quando noi fossimo per riuscir ad aggiustar le cose a casa nostra... quest'uomo potrebb'esser utilissimo. Ma è necessario che si stacchi da Napoleone e appoggi il vicerè.

Ella, signor conte, l'ha sempre col vicerè. Per me dico, e ora non parlo per l'interesse, che vorrei che andasse tutto a soqquadro anche per noi, piuttosto che veder quell'uomo a diventare il nostro padrone.

Non è necessario che sia il padrone.

Voi non lo conoscete.

Lo conosco benissimo.

Scusi, signor conte, ma certe cose noi donne le sappiamo meglio di loro signori. E se le dicessi quello che io so, certo che il signor conte cangerebbe d'opinione, qui sull'istante.

Il Conte Aquila, essendo in quella sera di un umore eccellente fuor dell'usato, erasi divertito a discorrere colla Falchi, e rideva nel vederla così un poco ebbra ed espansiva. Pure all'ultima sua parola cessò di pigliarla leggermente:

E che cosa sapete ch'io non sappia? domandò con una certa apprensione.

Senza saper nulla, ei sentì corrersi qualche brivido per le ossa, come allorquando, anche sotto il limpido sole e il ciel sereno, il corpo fa le veci del barometro e presente che il tempo vuol guastarsi.




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