IV
Quand'ella lo ebbe vuotato e deposto sulla tavola, e,
tornando a guardare il conte con occhi lucentissimi, accennava di voler
continuare a parlare:
L'ora è assai tarda, disse il conte, con una calma profonda,
e come se avesse assistito ad un discorso indifferente. È tardi, e ho bisogno
di riposo.
Ma aspettate, caro conte, chè a me pare d'incominciare
adesso la mia giornata, tanto sono in lena...
Voi potete aver ragione, ma io devo andare a dormire e tirò
furiosamente il campanello per chiamare il cameriere.
A sentire la voce bassa e lenta e quasi dolce del conte, e a
vedere il furore convulso con cui non tirò ma strappò il campanello, non parea
vero che quei due diversi atti venissero da lui solo.
Il cameriere entrò.
Fatemi lume, che voglio salire in camera, gli disse; e anche
voi vogliate fare altrettanto, soggiunse poi piegandosi tranquillamente verso
la Falchi. E si alzò e partì. Buona notte, madama, esclamò quando fu sulla
soglia del salotto.
La Falchi, uscito che fu il conte: "Che originale è
costui! pensò tra sè. Un altro mi avrebbe tempestato di domande... Egli invece
se ne va a letto... Non avrei mai creduto che un uomo così duro e severo, come
mi dicono, fosse anch'esso una così buona stoffa di marito!"; e fermandosi
su quest'idea, e pensando ad altre cose, a poco a poco il vapore dello
chambertin le lavorò sugli occhi in modo, che chinò il capo e s'addormentò e
così profondamente, che la donna di servizio, avvisata dal cameriere, che era
stanco di far la guardia fuori dell'uscio, dovette entrare per svegliarla e
condurla poscia in camera.
Ma seguiamo il conte Aquila nella sua camera.
L'orgoglio gli aveva comandato di far tutto perchè non
uscissero altre parole dalla bocca oscena della Falchi, ed in sul primo, era
come fuggito da colei. Non pertanto, quando fu solo, ripensando a quelle risa
infernali, si sentì assalito da un desiderio furibondo di appurarne le vere
cagioni; e fu per uscire ed entrare dalla Falchi per chiederle conto de' suoi
modi oltraggiosi... ma si trattenne e un raggio lieve e fuggitivo di
consolazione gli rischiarò l'anima affannata. Si consolò pensando che la Falchi
era manifestamente ubbriaca; che, per conseguenza, non era a far caso nessuno
delle di lei parole; ch'egli era stato un pazzo a darci peso; che non meritava
la pena di più oltre pensarvi. Ma quel lampo, lo ripetiamo, dileguò nel punto
che aveva guizzato, e:
Se non fosse stata ubbriaca, avrebbe taciuto, pensò... e una
tale idea lo percosse in modo, e il dolore che ne provò fu di quel genere che
mette gli uomini nella tentazione di ammazzarsi.
Si mise a sedere, e fece ogni guisa di congetture. Riandava colla
memoria tutta la vita della contessa sua moglie e non giunse a trovare un
momento solo in cui gli sembrasse avere colei
meritato un rimprovero; considerava che il metodo rigoroso ch'egli avea imposto
alla vita di lei, che il non averla mai perduta di vista un momento, e il non
averle mai lasciata libertà di sorta, rendeva assolutamente impossibile che
quella donna desse esca alla calunnia e alla maldicenza. E si confortava un
istante, ma per immergersi poi subito nei più disperati e strani pensieri. L'indole
dura e fortissima del conte Aquila piegò in quella notte allo spasimo del
sospetto del sospetto che è sovente ancora più tormentoso della più crudele
verità appurata. Eppure non amava sua moglie; non l'aveva mai amata. Non era
mai stata per lui che la donna incaricata di portargli dei figli; il solo
sentimento ch'essa ingenerava in lui non era che l'orgoglio di chi possiede una
rarità universalmente apprezzata e desiderata. Ma è appunto l'orgoglio, ma è
l'amor proprio offeso che alimenta la più tremenda gelosia... perchè la gelosia
che non deriva dall'amore, non potrà mai essere placata dalla pietà.
Il giorno dopo, nell'ora della colazione, in cui il conte
soleva vedere la Falchi alla table d'hôte, aveva pensato di non vederla
altrimenti, e giacchè non c'era più nessun motivo di trattenersi a Parigi,
aveva presa la risoluzione di partire senza nemmeno salutarla, per rompere di
colpo ogni relazione con quella donna perversa. Ma la puntura tormentosa del
dubbio non gli permise di fermarsi in quella risoluzione; e si venne anzi
cambiando al punto da sentire irrequietudine ed impazienza nell'aspettazione
dell'ora consueta. Giacchè la Falchi aveva lanciato un primo motto, egli voleva
saper tutto il resto, e si affannava nel desiderio di conoscere ogni cosa con
certezza. E venne l'ora, vide la Falchi, sedette a tavola con lei; ostentò
umore lieto e cortesia; e l'impazienza lavorò tanto sull'animo di lui, che fu
il primo a riappiccare i fili del discorso lasciato sospeso la notte prima.
Sono contento, madama, che le vostre belle guance abbiano
ripreso il loro incarnato naturale, e che beviate acqua fresca. Jeri notte,
bisogna confessarlo, eravate un po' sostentata, e ho troncato la continuazione
di un certo discorso che... voi mi capite... jeri notte c'era pericolo di
sentir le cose alterate... mentre è la verità rigorosa e intera ch'io voglio
conoscere. Voi siete una dama piena d'esperienza. Io sono un uomo di mondo e
filosofo, e, in quanto alle donne, so compatirle ed amo l'indulgenza. Abborro i
mariti che vanno in furore e sono capaci di commettere delle violenze, se, per
combinazione, le loro mogli hanno guardato piuttosto a dritta che a sinistra.
Catone il Censore, uomo duro e inesorabile in tutto, e un modello di virtù
romana perfino coi Romani, nelle cose che interessavano sua moglie, non
guardava tanto per il sottile; bensì amava di sapere, per poter perdonare e
sapersi regolare. Era un vero filosofo. Dunque vogliate spiegarmi. madama, la
ragione del vostro strano ridere di jeri sera.
La Falchi tacque un momento, poi disse:
Mi rincresce, caro signor conte, di non aver saputo
trattenermi. Ma anche voi un momento fa avete detto ch'io era un po'
sostentata. Quando si è un po' allegri, non si misurano le parole, e fanno male
a chi le sente. Ma ora non vogliate dare alcuna importanza a quanto io dissi
jeri sera. In una certa sfera di cose, non avendo nessuna opinione delle donne,
cominciando da me, ho osato di tirar dentro nel coro anche la vostra signora.
Ecco tutto. Sia dunque per non detto quello che fu detto, e cambiamo discorso.
Il conte, stato un momento perplesso, soggiunse poi:
Jeri notte avete fatto male a ridere in quel modo; ma oggi
fate peggio a tacere. Se non parlate, io andrò fantasticando cose che forse non
son vere, e che possono aggravare la condizione di chi può essere l'oggetto de'
miei dubbj.
Un momento fa mi avete detto che siete filosofo, ma ora
parlando così, mi fate vedere che siete un uomo come gli altri.
Il filosofo non ama l'ignoranza; bensì, quando intravvede un
fatto qualunque, vuol conoscerlo appieno, per sapersi regolare con calma e con
sapienza. Parlate dunque e dite tutto.
La Falchi stava per rispondere, quando entrarono nella sala
comune altri forestieri, coi quali così il conte come la Falchi avevano in quei
giorni fatto conoscenza. Il colloquio adunque fu sospeso, e per più di un'ora
il conte dovette adattarsi a parlar di cose, che deviandolo dal suo pensiero
fisso, lo annojavano terribilmente. Tra quei forestieri v'era l'avvocato
Gambarana, venuto da Milano e chiamato a Parigi dal marchese F... che ci
stanziava da qualche tempo.
E così, avvocato, gli chiese la Falchi, che effetto ha fatto
al marchese F... la notizia del testamento trovato?
Quando un ricco signore è in pericolo di perdere la metà di
quello che possiede, vedete bene che non può essere molto tranquillo.
Ma, e credete voi?...
Io non posso parlare, madama, e molto meno con voi; già vi
sarà noto che il colonnello Baroggi scelse per avvocato patrocinatore il vostro
signor marito?...
Avete ragione, e non vado innanzi.
Ma questo testamento da che parte è saltato fuori? chiese il
conte Aquila che conosceva il marchese F...
È quello che non si sa. Il giorno 14 del passato gennajo, il
presidente del tribunale civile di Milano riceve un grosso piego, lo apre, e
nell'interno dell'involto trova scritto: Testamento olografo del marchese F...
morto il 21 febbraio dell'anno 1750. È una bagatella di sessantatrè anni fa. Da
questo testamento appare che l'erede universale del marchese defunto è un tal Baroggi,
che morì nel 92 caposquadra delle guardie di finanza, e che fu il padre del
colonnello Baroggi che noi tutti conosciamo.
Tra i forastieri che alla tavola comune mangiavano,
sentivano e non parlavano, v'era il noto giojelliere e minutiere Giovanni Manini
di Milano, il quale aveva bottega sotto il coperchio de' Figini e serviva la
Corte. Era venuto a Parigi per liquidare de' conti arretrati, e il giorno prima
avea parlato al vicerè Beauharnais, tornato allora allora dalla Russia a
Parigi.
Egli dunque ascoltò per un pezzo; poi disse con
quell'accento di compiacenza orgogliosa d'un negoziante alla moda che per la
sua condizione è ammesso alla confidenza dei grandi che serve:
Di quest'affare me ne parlò jeri il vicerè stesso. Loro
signori già mi conoscono. Io sono il giojelliere di corte.
Ah sì!... disse il conte Aquila.
Io ebbi l'onore di fornire le gioje all'illustrissima
contessa sua moglie.
E come ha fatto il vicerè a sapere e a interessarsi già di
questa notizia?
Pochi giorni fa ritornò di Russia lo stesso colonnello
Baroggi colla bella sua moglie. Il vicerè ha della predilezione per questo
colonnello; le male lingue dicono che sia per la moglie; ma io non so niente.
Quello che so è che il vicerè mi disse jeri queste precise parole: "Voi,
che non siete più giovane, dovreste sapere qualche cosa di un testamento stato
rubato dallo scrigno del marchese F... nel 1750, la notte stessa della sua
morte." Nel 50, io non ero nato, gli risposi, ma di questo fatto mi parlò
cento volte mio padre, nominandomi il preteso autore del furto.
E chi sarebbe questo autore preteso? domandò il vicerè.
La cosa è delicata, altezza, allora io dissi. Le dicerie
fanno presto a compromettere un galantuomo, e non vorrei che un vecchio, il
quale deve aver passato di un pezzo gli ottant'anni, dovesse, per cagion mia,
avere dei dispiaceri in sull'orlo del sepolcro.
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