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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOSESTO
    • V
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V

I nuovi interlocutori che nella sala dell'hôtel Marengo interruppero il dialogo tra madama Falchi e il conte Aquila, secondo le consuetudini dell'arte, avrebbero dovuto essere introdotti in altra occasione, quando, almeno, il dialogo avesse toccato la sua conclusione. Ma noi non amiamo le consuetudini, e spesso ci piace d'andare a ritroso delle stesse leggi. In questo caso poi, siccome nella realtà storica le cose camminarono precisamente come le abbiamo esposte, e l'innesto inaspettato della nuova notizia relativa a quel testamento, fu ed è il perno maestro di questo lavoro, ebbe una grande influenza su altri fatti importantissimi; così siamo perfettamente in regola se abbiamo obbedito alla legge razionale del vero piuttosto che all'arbitraria dell'arte. Intanto, prima di trovarci soli col conte e colla Falchi, e prima di assistere ai loro intimi discorsi, giova sapere che il conte Aquila, che s'era spesso congratulato col marchese F..., perchè una grande ricchezza, forse destinata a una famiglia oscura e plebea, fosse rimasta in quella casa patrizia, sentì con dispetto, che il vicerè, contro il suo istituto, volesse far pesare la sua autorità nelle decisioni giuridiche che i tribunali avrebbero proferite per la inattesa ricomparsa d'un documento stato smarrito.

Il discorso intorno al testamento del marchese F... si prolungò più tempo che al conte Aquila sarebbe piaciuto, tanto egli era impaziente di trovarsi da solo a solo colla Falchi; tuttavia vi prese abbastanza interesse per dire all'avvocato Gambarana, quando la compagnia si sciolse, che avrebbe desiderato di trovarlo il giorno dopo nell'alloggio del marchese F..., nel desiderio di conoscere con precisione quel fatto, e di far sentire in proposito il proprio parere. Dopo di ciò, quando tutti furono usciti, e la Falchi stava per salire nella propria camera:

Permettetemi, disse il conte a madama, che io vi segua. Ho bisogno di parlarvi a lungo.

Signor conte, sono ai vostri ordini.

In silenzio salirono le scale; in silenzio entrarono nell'appartamento di madama Falchi, si misero a sedere in silenzio. Finalmente così prese a dire il conte:

Vi ripeto, madama, che so di parlare con una signora di grande esperienza, e che sa dare il giusto valore e alle cose...

Vi ringrazio, signor conte.

Fate in modo che piuttosto io debba ringraziar voi; intanto comprenderete che io ho ragione di non lasciar cadere in terra il tema che ieri notte, forse contro la volontà vostra, avete messo sul tappeto.

Voi ne avete tutte le ragioni; ma devo anche dirvi che voi avete data soverchia importanza alle mie parole, e che io sono sicura di vedervi tranquillo, quando conoscerete i fatti precisamente come stanno.

Dunque?

Dunque comincio a dirvi che ho avuto torto di ridere quando mi parlaste della virtù di vostra moglie; io non so nulla e non posso dire nulla contro di lei.

Il conte, a queste parole, che per verità dovevano essere tranquillanti, si turbò e si sconvolse invece come se avesse udita una verità crudele. La dissimulazione della Falchi gli fece pensare che trattavasi di una cosa assai più grave de' medesimi suoi sospetti. Egli si alzò agitatissimo:

Per carità, madama, parlate. Col tacere, sapete che cosa fate voi?... Mi costringete a partir subito per Milano... e ... Non credo che, per quanto abbiate poca stima di mia moglie, voi desideriate ch'io l'ammazzi.

La Falchi, ad onta del suo animo perverso, rimase percossa a queste parole del conte, e:

Ma io non vi ho detto che avrei taciuto; vi ho detto soltanto che non trattavasi di una cosa seria... e aggiungo adesso, per mettervi tosto in sulla via giusta, che tutta la colpa è del vicerè.

Del vicerè?... ma come c'entra il vicerè?...

Se credete alle mie parole, non cominciate a contraddirmi. Vi ripeto adunque che se la fama di vostra moglie fu in pericolo di essere appannata, la colpa non è di lei, povera donna, ma di quell'imbecille impudente e invanito.

Ma che diavolo può essere avvenuto, che nulla me ne sia trapelato? Ciò è inverosimile.

Vi ricordate, signor conte, dell'ultima festa di corte?

Sono già trascorsi tre anni.

Ciò non importa...

Ebbene...

Ascoltatemi tranquillo... Il vicerè in quella notte diede un bacio a vostra moglie; ecco tutto.

Il vicerè baciò mia moglie?...

Un vostro amico era con me, e vide con me tutto... egli è il conte X che potete interrogare.

Dunque fu uno spettacolo pubblico?...

No, il fatto avvenne nelle sale più interne del palazzo. Noi due soli abbiamo veduto, e si voleva in quella notte stessa farvene avvisato... appunto perchè vostra moglie era innocente dell'avvenuto... e forse occorreva che voi, per vostra norma, aveste a saper tutto.

E perchè non avete parlato?

Perchè si è poi creduto di far meglio a tacere. E si tacque... scrupolosamente... tanto io che il conte... E ciò è così vero, che il fatto rimase sepolto in modo che non ne trapelò mai nulla a nessuno...

Il conte Aquila si alzò, e passeggiò qualche tempo senza parlare; poi:

Oh fossi precipitato dal Cenisio col corriere, piuttosto che metter piede qui e veder voi e aver sentito quel che ho sentito!...

E indi dopo qualche pausa:

E ora che si fa? soggiunse.

Vendicarsi di quel furfante vicereale, e mandarlo colle gambe in aria...

Vendicarsi di un uomo perchè ha baciato una donna? la avrebb'egli baciata se lei...

E sedette innanzi ad una tavola, appoggiando su quella i due pugni stretti, e tenendo fissi gli occhi sulla parete opposta come se guardasse un oggetto.

Quando il vicerè osò baciarla, continuava la Falchi, ella si sciolse da lui con violenza, e lo lasciò senz'altro, e retrocesse sola. Questa è la pura verità.

Sì?...

E il conte guardava macchinalmente la Falchi, come chi sembra inteso ad una cosa e ne pensa un'altra.

Davvero, essa continuava, che non avrei mai creduto che un fatto simile fosse per darvi tanto fastidio... Già si sa che quando uno sfacciato s'è messo in testa di baciare una donna, non ha bisogno d'interpellare il suo consenso... È come se un borsaiuolo vi rubasse l'orologio... Sarebbe strano se si pensasse che il derubato è complice.

Stato assai tempo sopra pensiero, il conte a poco a poco si ricompose, si fece dignitoso e quasi solenne:

Voi avete ragione. So chi è mia moglie e di lei non faccio alcun sospetto... Ora soltanto vorrei che il vicerè fosse un uomo che a ricevere uno schiaffo, mandasse il dopo i padrini a casa mia.

Sarebbe uno schiaffo gettato. Egli è il vicerè... voi siete un privato... quindi, perdonatemi, sareste trattato come un pazzo... E non avreste nemmeno la compiacenza d'andare in prigione... perchè per qualche tempo dovreste assoggettarvi all'aria malsana della Senavra, e a sentire gli urli dei furiosi... Il povero Celestino Marelli, mercante di pannine (credo bene che vi sia nota quella storia), il quale bastonò il vicerè in borghese, fingendo di prenderlo per un altro quando usciva dalle stanze di sua moglie... ha dovuto adattarsi a vivere coi matti sei mesi. Capisco che voi appartenete ad uno dei primi casati di Milano... Capisco che siete riverito in paese pel vostro nobile carattere e per la vostra sapienza... ma, in faccia a chi è padrone d'uno Stato, ed ha la forza ed è prepotente, così i grandi come i piccoli, quando stanno al disotto ed hanno ragione, son tutti eguali.

Di che paese è padrone il vicerè?... Vorrei saperlo. Noi siamo i padroni, perdio, e con un calcio io sbalzerò colui lontano mille miglia.

Ah, adesso parlate bene, e cominciamo ad intenderci.

Fra un anno Napoleone sarà all'inferno; e fra un anno il vicerè non sarà più padrone servo.

A questo solo si deve provvedere.

Ma i servi del servo devono tutti andar a spasso con lui.

Purchè si sappia fare.

E cominciando da uno dei più cari e più assidui amici di casa vostra...

Io non ho amici.

Se non voi, che non amate i vecchi, si sa però che vostro marito accende tutti i giorni la sua candela all'altare del Prina.

Se la accende, non è per devozione, fidatevi di me. Eppoi ci sono delle novità. Ecco quel che mi scrive mio marito... guardate qui, leggete: da qui a qui.

Il conte, dopo aver letto un brano di lettera, levò gli occhi in faccia alla Falchi e disse:

Io me l'aspettavo. Tuttavia, conosco i Milanesi, e i loro malumori sono fuochi di paglia.

Ma voltate la carta e vedrete di peggio...

Sì... vedo che due volte hanno affisso sulla porta della sua casa in S. Fedele...

Avete visto?... un cartello colle parole. Prina, Prina, il giorno si avvicina.

Oh... ci poco valore. Son le solite pasquinate... i Milanesi in ciò son famosi, ma cane che abbaia non morde.

Sarà come voi dite. Ma io ho scritto a mio marito di pregare il Prina a star lontano da casa nostra.

Intanto che la Falchi parlava, il conte, a caso scorrendo il resto della lettera, s'imbatté in queste parole che gli fecero senso: Oh se andasse al diavolo prima della scrittura.

La Falchi, vedendo che il conte fermava l'occhio oltre il passo della lettera da lei segnatogli, fu presta a cogliere un pretesto per levargliela di mano; ciò che accrebbe la prima sorpresa di lui. Per verità egli non aveva traguardate che quelle sole parole; ed esse potevano riferirsi a tutt'altra persona che al ministro Prina, ma uno strano sospetto gli era penetrato in mente; sospetto che noi ora non possiamo distruggere accertare, e intorno al quale lasceremo che il lettore pronunzii spontaneo il proprio giudizio, quando si troverà in cospetto di altri fatti.




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