VI
Lasciando questo incidente, e tornando al tema del
precedente dialogo:
Domani andrò a Milano, proseguì il conte. L'umore d'una
popolazione non si può conoscere davvero se non le si vive in mezzo. Vedrò e sentirò.
Tutto per altro dipende dall'esito delle nuove battaglie; l'esito momentaneo,
intendiamoci, perchè del finale mi tengo sicuro.
Se andate a Milano, fate di vedere il Milordino che fu con
me testimonio della sfacciataggine del principe. Sentendo lui prima di
parlargli di me, vedrete che alla pura verità non ho aggiunta nè levata una
sillaba. Ed ora vorrei pregarvi di una cosa.
Che cosa?
Che la buona e brava signora contessa non debba avere nessun
dispiacere per quello che vi ho riferito.
Siate tranquilla; io sono sicuro della sua innocenza. Io non
le parlerò giammai di questa avventura. E voi, madama, dovete promettermi di
non parlarne mai con nessuno. Il vostro silenzio vi sarà compensato... con
usura... quando si tratteranno cose di ben più grave momento.
Ho taciuto tre anni, posso ben tacere tutto il resto della
mia vita.
Mi annoja però che il Milordino siasi trovato con voi quella
notte.
Esso è vostro amico, ed è nemico del vicerè. Quando io lo
pregai di tacere, mi rispose che se si fosse risolto di parlare, non lo avrebbe
fatto che con voi solo.
Dopo queste parole, il conte Aquila, serio ma tranquillo in
apparenza, si licenziò da madama Falchi.
Abbiamo detto in apparenza; e in fatti quando fu solo
passeggiò agitatissimo lungo la Senna. Il suo orgoglio non gli aveva permesso
di dare alla Falchi lo spettacolo d'un marito geloso, furioso e tradito. Egli,
come Alboino, non voleva degnarsi di domandar conto ad altri della fedeltà
della moglie; egli lo diceva, e doveva bastare. Ma quell'orgoglio, in ragione
che gli avea comandato di atteggiarsi da uomo calmo, gli avea addensato tanto
livore e fiele nel fegato, che sentiva la tentazione di mordersi le mani per
dargli uno sfogo meccanico qualunque. Egli pensava che se sua moglie fosse
stata innocente, sarebbe stata e avrebbe dovuto essere la prima a manifestargli
l'atto sfacciato del vicerè; pensava che questi doveva avere troppo timore di
lui, per osare quell'atto, se non fosse stato certo che la contessa avrebbe
taciuto. E qui, richiamandosi in mente le parole del vicerè, e le lodi da lui
ricevute a nome dello stesso imperatore, si sentiva doppiamente umiliato,
perchè sospettava che quella grande stima di S.M. poteva essere invenzione del
vicerè stesso per abbonirlo e ingannarlo e tradirlo.
Sentiva, per conseguenza, che non solo il vicerè non lo
stimava, ma lo disprezzava come qualunque altro uomo volgare, credendolo degno
di prenderlo al laccio e di scornarlo poi. E qui, invece di provare compassione
per sè, che si era lasciato ingannare; di nutrire ira pel vicerè, che lo aveva
disprezzato, sentiva colmarsi il petto di un veleno e di un odio mortale contro
la propria moglie; argomentando che per sola sua colpa era nato tanto scandalo.
Povera donna! ed era innocentissima!...
Il giorno dopo si recò a far visita al marchese F..., nella
cui casa trovò anche l'avvocato Gambarana di Pavia:
Prima di tornare a Milano, sono venuto a trovarti, marchese.
Ti ringrazio, e ti prego di un piacere. So che qui
l'avvocato t'ha informato della lite che m'è stata intentata dal Baroggi.
Ebbene, avrei bisogno che tu parlassi al ministro di giustizia; so che lo
conosci... e che ti mettessi in comunicazione coi due presidenti del tribunale
e con quanti giudici tu puoi. Qui all'avvocato fu scritto che il vicerè, in
tono minaccioso, ha già fatto sapere a quei signori ch'egli voleva essere
informato dell'andamento di tutta la procedura, e che avrebbe vegliato perchè
si adempisse alla più scrupolosa giustizia. E anch'io voglio la giustizia; ma
dico nello stesso tempo che il vicerè comincia ad infrangerla col far pesare la
propria autorità sull'opinione dei giudici.
Il ministro di giustizia è più tremante del vicerè che
dell'imperatore. I due presidenti poi tremano del ministro. Dunque per quella
via non c'è da fare nulla, marchese: ma io me ne occuperò in ogni modo; è tempo
di farla finita anche con questo asino prepotente di vicerè. Eppoi, eppoi... le
liti giuridiche sono solite ad andare fino alle calende greche. Dio sa dove
sarà Beauharnais quando uscirà la sentenza finale dei tribunali!
Ma non vorrei che intanto mi si sospendesse
l'amministrazione della sostanza in quistione... Starei fresco, caro conte!
È qui il nodo, soggiunse l'avvocato.
E su questo tema quei signori continuarono a parlarne per un
pezzo, e ne parlarono ancora quando accompagnarono il conte fino all'Ufficio
delle Messaggerie del Moncenisio, il giorno della partenza di lui per Milano.
Come allorquando vediamo un piccolo nuvolo in
sull'orizzonte, che non sembra dover turbare
per nulla la tranquillità del cielo; ma poi quasi facendosi incontro ad altro
nuvolo che non si sa donde siasi spiccato, si congiunge e s'ingrossa con
quello, e a poco a poco altri si accumulano in modo che chi guarda può
benissimo aver timore di un temporale; così, per caso, vennero a congiungersi
in Parigi e il conte Aquila e la Falchi, poi l'avvocato Gambarana e il marchese
F... e il vicerè, e il colonnello Baroggi, che rimasto pochi giorni a Parigi,
era tosto partito per Milano.
La rivelazione di un fatto improvvisò di punto in bianco un
nemico implacabile a Beauharnais; una quistione giuridica di indole puramente
privata, per influenza onnipotente dell'interesse, avvicinò un altro patrizio
al conte Aquila, nel desiderio di vedere in rovina il figlio adottivo di
Napoleone; la Falchi, sollecitata dall'auri sacra fames, ci fece presentire un
altro temporale, che dovrà scaricarsi su altre teste. Vedremo, tornando a
Milano, di che qualità sarà la grandine.
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