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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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XIV Come chi, dovendo governare una operazione di guerra, spedisce una divisione in un dato punto, un'altra in un altro; dispone una brigata a dominare una via; un distaccamento a proteggere un passo; ciascuno dei quali corpi, in sul primo, sembrano non aver relazioni tra di loro, nè mirare ad un intento comune; ma, a suo tempo, dovranno congiungersi per spiegare le loro forze riunite in una battaglia decisiva, così dobbiamo fare anche noi coi diversi drappelli dei nostri personaggi. Nell'ultimo capitolo abbiamo spediti il conte Aquila co' suoi aderenti a vegliare i passi di un emissario austriaco. Poi abbiamo messo il lettore nell'aspettazione di due colloquj: l'uno tra il giudice F... e il decrepito Galantino; l'altro tra il ministro Prina e l'avvocato Falchi. Abbiamo inoltre accennato a nuove cose e nuove persone. Queste disposizioni sembrano estranee affatto l'una all'altra; ma se il lettore avrà pazienza e starà attento, vedrà esservi un punto in cui tutte verranno a convergere e ad unirsi. Cominciamo intanto dal promesso colloquio tra il ministro Prina e l'avvocato Falchi. Il fatto che ne costituisce il tema non risulta legalmente provato da documenti scritti e d'irrefragabile autorità, ma soltanto dalle relazioni di testimonj auricolari e d'uomini degni di fede. Noi sentiamo l'obbligo di avvisare di ciò il lettore dichiarando che lasciamo a lui la piena libertà di dare al fatto stesso quella valutazione che gli parrà meglio; solo bastando a noi di consegnare alla storia nuovi dati, che possano condurre a trovare il valore di alcune incognite da essa contrapposte, per tutta risposta, alle domande dei contemporanei e dei posteri. Secondo l'intelligenza, la sera dopo il dialogo nel ridotto della Scala, il ministro Prina, poco oltre le undici di notte, s'incamminò pedestre alla casa dell'avvocato Falchi, che non era lontana nè dal teatro della Scala, nè dalla piazzetta di S. Fedele. L'avvocato lo attendeva nel proprio studio. Madama Falchi era ancora in teatro. Nell'anticamera sedeva un servitore, che si chiamava Camillo Guerrini, uomo obbediente, paziente, fedele, imperturbabile agli strapazzi di madama; ma curioso fino all'indiscrezione, e che senza volerlo, ma solo per un bisogno dell'indole sua, aveva l'abitudine di raccontare a' suoi amici, tutta gente inscritta nella camera dei cocchieri e dei cuochi, ogni minimo interesse de' suoi padroni; e, perchè non mancasse mai materia alle sue chiacchiere, non perdeva mai nè d'occhio nè d'orecchio tutto quanto si faceva e si diceva in casa Falchi. Quel servo aprì la porta al ministro, dopo averlo annunciato. Indi ritornò in anticamera e si mise a sedere con quell'atteggiamento floscio e cascante di chi, non potendo mai dormire abbastanza, ha sempre sonno e sempre dorme. Il lettore però voglia ricordarsi del proverbio: Uomo che dorme, gatto che sbircia. E per ora basti di lui. Bravo, avvocato, siete stato di parola. E quando ho mancato? Sono venuto a piedi, e non mi son fatto accompagnare da nessuno, nemmen dal servitore. Di più ho lasciato il teatro prima dell'arione di Velluti, perchè so che vostra moglie da quel momento non si potrebbe staccarla dal parapetto del palco nemmen cogli argani. È necessario che siam soli, affatto soli. Qui non c'è nessuno. Voglio che mi promettiate inoltre che vostra moglie non debba saper nulla degli affari nostri. Ecco perchè ho lasciato il teatro un'ora prima. Io non dirò nulla; ma sapete com'è quella donna; eppoi bisognerebbe che non avesse saputo mai nulla... Allorquando abbiam comperato per un milione e mezzo in tanti boni del tesoro... Non dovete ignorare, eccellenza, ch'ella stessa andò per quest'oggetto a Parigi... Lo so... ma vi avevo raccomandato di farle credere, che erano o proprietà vostra, o di qualche altro vostro cliente. Ho fatto quello che ho potuto... ma non posso assicurarvi, eccellenza, ch'ella non abbia sospettato sieno roba vostra. Ebbene, fin qui non c'è gran male; soltanto è necessario che non sappia il resto. Ed ora veniamo a noi: per quell'affare si è quasi raddoppiato il capitale, non è vero? Ve l'ho già detto: io tengo in deposito due milioni e centocinquantamila lire, che ho collocate sul banco di Genova. Ecco qui la regolare ricevuta e i documenti relativi ch'io depongo nelle vostre mani, per tutto quello che può succedere. Se li avessi voluti, ve li avrei già cercati; ma per ora non voglio tener nulla presso di me. Vi conosco per uomo onesto e rettissimo, e mi fido, starei a dire, più di voi che di me. Eccellenza, vi ringrazio... ma dalla vita alla morte... è sempre bene... Come avvocato dovete avere il vostro repertorio; per conseguenza non potrà esser mai che il mio possa parer vostro... Questo è vero... ma... per tutto quello che può succedere... torno a ripetere... amerei di essere in regola. Questi sono altri ricapiti. Che cosa avete qui, eccellenza? Un vaglia del banchiere Bignami per lire quattrocentosessantamila. Un mese fa, eccellenza, potevate accendere la candela con questo vaglia. Ma oggi invece lo dò a voi, perchè domani mandiate al suo banco a riscuotere il denaro. Se la casa Bignami s'è rifatta da morte a vita, lo deve a me. Sono io che ho scritto al vicerè. Sono io che ho consigliato ad ajutar quella casa. Se il fratello del Bignami avesse domandato prima il mio parere, non avrebbe fatto la corbelleria di bruciarsi il cervello. Voi dunque domani vi farete sborsare il denaro: il signor Bignami è già avvisato. Sarete obbedito, eccellenza! Or veniamo alla conclusione. Io ho potuto salvare la casa del Bignami ed altre case bancarie e commerciali, perchè il vicerè ha eseguito il mio consiglio. Ma non ho potuto salvarle tutte. Il tempo dei miracoli è passato. La casa Bonel ha dovuto fare un capitombolo. Gorio, per le sue prodigalità, è stato messo sotto amministrazione. Raschisi ha rassegnato tutti i suoi beni. Guglietti vuol vendere la sua villa e i suoi fondi sul lago Maggiore. La somma che tenete in mano e i danari che riscuoterete domani, dovrebbero bastare per far l'acquisto delle case e delle campagne di costoro, prima che vadano all'asta pubblica. I danari pronti e sonanti potrebbero essere un'esca alle amministrazioni, e noi potremmo fare un buonissimo affare. Pensate voi a questo, e comperate tutto a nome vostro, o per persona da dichiararsi. Di me non voglio che si sappia e si dica nulla. Non è il momento. Eccellenza, con queste vostre disposizioni, che quasi mi sembrano testamentarie, voi mi mettete in grande timore. Ma, in conclusione, che cosa pensate sarà per nascere da questo orrendo temporale che ci minaccia e continua da tre mesi? Quello che suol sempre succedere dopo i temporali. L'aria più fresca, il sereno più netto, il sole più ridente. Uhm!!! Vorrei crederlo anch'io. Ma intanto, perchè mi avete dato gli ordini che mi avete dato? Ma per potere appunto godere a suo tempo dell'aria, del sereno e del sole che verrà. Ora non posso dissimularmi ch'io sono detestato dai Milanesi. È fuoco di paglia, lo so; com'è un fuoco di paglia l'odio che si porta all'imperatore e al vicerè. Ma intanto convien mettere al sicuro quella ricchezza colla quale si è tutto quello che si vuole, e senza della quale si è nulla. Ma che cosa dunque, eccellenza, sarà per succedere? Io voglio pensare al peggio possibile... Ebbene... L'imperatore sarà battuto e costretto a ritirarsi in Francia. E poi.... Non vi basta? Ma credete voi che l'imperatore d'Austria voglia lasciar senza regno il marito di sua figlia? Tutto ciò adunque che può accadere di peggio è che Napoleone debba accontentarsi della Francia, e restituire quanto ha tolto agli altri. In questo caso le sconfitte frutteranno a lui e ai sudditi un benessere che non si sarebbe mai potuto ottenere colle vittorie. Le vittorie e le conquiste sono acque di fiume che straripa; tutto è minacciato, tutto va sossopra. Solo la calma ritorna quando le acque si acquietano nel loro letto naturale. Ciò potrà andar bene per la Francia. Ma il regno d'Italia? Questa è roba rubata. Rubata? a chi? All'Austria, che la reclamerebbe per diritto. Essa non può vantar diritti nè maggiori nè minori di quelli di Napoleone; ma non parliamo di diritti. Non ci sono diritti a questo mondo. Soltanto s'insegnano nelle Università e si parla d'essi nei codici; e anche alle Università ed anche nei codici, vediamo che non sono altro che un complesso dei fatti stati imposti primitivamente dalle autorità arbitrarie e della forza e della scienza. Ma, tornando al regno d'Italia, se Francesco II non vorrà che sua figlia rimanga senza corona, la viceregina Amalia starà garante perchè suo marito non resti nè a piedi nè a cavallo. Soltanto è necessario che gl'Italiani, e segnatamente i Milanesi, non facciano l'asino e che, per giuocar di puntiglio, non si rovinino per sempre. Ma ciò non accadrà, lo spero; essi saranno fortunati a loro dispetto. Napoleone sarà l'imperator della Francia, Beauharnais sarà il re d'Italia. Fate che vada questa combinazione di cose, ed avremo una pace lunga e beata. Allora si accorgeranno i Milanesi che ho adoperato i loro danari per fare la loro fortuna. Oggi Napoleone dee essere sostenuto. Il pubblico danaro è indispensabile a ciò. Solo allora che l'imperatore starà chiuso nella sua Francia, e Beauharnais sarà il re d'Italia, tutte le tasse saran diminuite della metà e più, se sarà bene. Tutte le classi dei cittadini ad un tratto si troveranno allora più ricche, e proveranno la consolazione di quei pupilli sempre torbidi e malcontenti, i quali, giunti all'età maggiorenne, si accorgono finalmente che il tutore aveva ragione di non aver lasciato loro troppo denaro in tasca, e d'averlo invece impiegato a lauto frutto. I Milanesi mi benediranno, ne son sicuro. Ma intanto bisogna aver pazienza e stare in guardia, perchè se l'amore è futuro, l'odio è presente. Dette queste parole, il ministro si alzò, salutò l'avvocato Falchi e partì. L'avvocato uscì con lui dallo studio, ordinò al domestico che sonnecchiava in anticamera di far lume a sua eccellenza; l'accompagnò egli stesso fin sul pianerottolo della scala, poi si ritirò nella stanza da letto. Guardò le ore: erano le dodici e mezzo.
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