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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOTTAVO
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LIBRO DECIMOTTAVO

 

La notte del 9 marzo 1820. Una serenata. Stefania Gentili e la Giulietta e Romeo di Zingarelli. Giunio Baroggi. Il figlio del Galantino. Una notte nella casa di Giocondo Bruni. Il marchese F. Monsignore Opizzoni. Waterloo. Prometeo e lo scoglio. Francesco I e la città di Milano. La gioventù lombarda. Origine della Compagnia della Teppa. Sue gesta.

 

Dei Cento anni, quasi sessanta hanno ormai compiuta la loro evoluzione innanzi a noi. Tre generazioni sono scomparse; tre periodi storici esaurirono il loro processo; a chiudere il centenario ci rimangono poco più di trent'anni, una generazione e un periodo. Chi scrive potrà dunque aver la consolazione di declamare tra poco quei versi con cui il maledetto Oreste inaugurò il suo ritorno in patria; e l'altra non men dolce compiacenza di ripetere il distico famoso che l'autore della Secchia rapita fece incidere sotto al proprio ritratto:

Dextera cur ficum quæris mea gestet inanem?

Longi operis merces hæc fuit, etc.

Ma passiamo al nuovo periodo, che, in mancanza di un altro battesimo più complesso, abbiamo intitolato dalla Compagnia della Teppa.

Di questa compagnia, che fece gran rumore in Milano dal 1818 al 1821, non rimane altra memoria che nella tradizione orale o nella testimonianza di alquanti galantuomini ancor vivi, sebbene non più giovani, che nella loro diversa qualità di bastonatori o di bastonati, furono o parte attiva di essa o vittime tragicomiche. Non v'è libro stampato, nemmeno tra i più fuggitivi di quel tempo, dove se ne tenga parola; soltanto ne esiste il processo firmato dall'attuaro Lomazzi; vi è una relazione scritta da un tal Milesi, che abbiamo tra mano; e se ne parla nel diario manoscritto del canonico Mantovani. Sul Giornale di Napoli, appena quel periodico venne a sapere (com'egli disse con parole per noi lusinghiere) che noi attendevamo a trattarne distesamente, uscì un articolo sulla Compagnia della Teppa. Quasi contemporaneamente ne uscì un altro sul Pungolo, milanese.

Ma noi, ringraziando que' due periodici delle parole gentili espresse a nostro riguardo, osiamo asserire che il ritratto che essi fecero della famosa compagnia non è conforme all'originale, e che però siamo indotti a credere l'abbiano confusa con qualche altra. Essi la fanno scaturire come una guasta propaggine della Carboneria, e pongono la sua durata dal 1821 al 1829. Ma non c'è nulla di men vero; chè, sorta invece nel 1817, essa era già dispersa e soffocata nell'anno 1821. E fu precisamente nei giorni estremi della sua vita che la parte più generosa di quel corpo immorale, sotto la falsa luce delle orgie e delle prepotenze (che il governo austriaco tollerava e forse ajutava), si convertì repentinamente, prestando mano a quella società segreta che si costituì allora tra noi non già col nome di Carbonari, ma di Federali, e tramutando le così dette Vendite in altrettante Chiese, di cui la principale era a Milano, le figliali in tutte le città dell'Alta Italia e dell'Emilia.

Se la Compagnia della Teppa non avesse avuto un tale esito, per verità che non meritava la pena che la storia e l'arte se ne occupassero. Come episodio comico avrebbe forse potuto provocare qualche ilarità; ma gl'intenti quasi sempre bassi e triviali, a lungo andare, avrebbero soffocato anche il riso nelle bocche dei lettori onesti. Soltanto essa diventa un fatto assai degno della riflessione dei pensatori, quando la si considera come una occasione, sebbene fortuita, di gravi avvenimenti.

Dei periodi storici onde constano i Cento anni, questo è forse il più importante; è il punto massimo della parabola. In tutte le sfere e le forme e gli svolgimenti del pensiero e dell'azione, tutto si rinnova, si nobilita, si rafforza. Sorgono nuovi pensatori; una rivoluzione mirabile si compie nella letteratura; le altre arti, quelle del disegno e dei suoni, procedono con essa e per essa. In poche parole, la forza espansiva del corpo italiano tanto più si fa poderosa, quanto più è violenta la pressione del governo straniero.

Il 21 è il padre del 48, è l'avo del 59. Però, ond'essere fedeli al programma del nostro lavoro, noi terremo conto anche di questi elementi. Inoltre, col sistema empirico dell'azione drammatica e senza avvilupparci nel paludamento scientifico, proporremo al lettore alquanti problemi sul diritto di testare, sul matrimonio, sulla patria podestà, sulla maritale. La nuova imbandigione adunque, per la qualità della materia, e per il buon volere, ci lusinghiamo vorrà esser presa in qualche conto dai lettori, i quali vorranno fingere almeno di non essere malcontenti di noi. Non si è mai sentito a dire che un Anfitrione sia stato bastonato dai commensali, nemmen quando il pranzo è riuscito cattivo.




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