III
Siamo in casa del marchese F... nella via di... (quasi ci
dimenticavamo ch'è proibito il dirlo). La stanza dove siede il marchese in
mezzo a cinque o sei persone, è la stessa che mezzo secolo addietro aveva
servito di camera da letto al conte F...; dove era morto imitando Cosimo de'
Medici, il quale, piuttosto che abdicare al potere per ricevere l'assoluzione
dal confessore Savonarola, volse la testa dall'altra parte, non parlò più, e
rinunziò all'assoluzione. Il conte F..., infatti, nel punto di svelare al
curato di Santa Maria Podone il segreto del testamento fatto trafugare, udendo
la voce del proprio figlio, tacque, e si risolse a partire per l'inferno,
piuttosto che scemare di tanti milioni la ricchezza dell'unico erede.
Rammentiamo queste cose alla memoria di chi legge, perchè, attraversando tanti
anni, è permesso non ricordarsi più della pagina dove si parla di questo fatto.
Il marchese F..., in presenza del quale or ci troviamo, è
dunque figlio del figlio di quel conte F..., e pronipote del marchese F... che
per insinuazione del prevosto di S. Nazaro, prevosto galantuomo, aveva lasciato
erede l'unico figliuolo natogli dalla sventurata Baroggi, con testamento
olografo steso sull'abbozzo minutato dal notajo Macchi. Questo marchese, come
aveva riunita in sè solo la ingente ricchezza provenutagli da due larghe
sorgenti, così aveva congiunti nel proprio esteriore fisico, in un complesso
che non mancava di una tal quale unità di stile, i varj tratti della fisonomia
del padre e dei due avi: l'occhio grigio del marchese senza cuore, il mento
quadrato ed ampio del nonno, il naso aquilino del padre. Rispetto alle qualità
morali, insieme coll'occhio bigio aveva ereditato dal prozio l'indifferenza
spietata; col mento quadrato l'ostinazione del nonno; col naso aquilino
l'orgoglio paterno; superando poi tutti e tre gli antenati per le facoltà
intellettuali, e più per la coltura letteraria e scientifica.
Onde non dilungarci in una troppo lunga e minuta analisi, e
rendere tutt'intera la sua fisonomia con una pennellata a guazzo, diremo che,
s'egli fosse nato re o duca, sarebbe riuscito il facsimile del presente re di
Prussia, o di Ferdinando IV di Modena. Ci pare che non ci sia molto da
consolarsi. Viaggiatore, politicante, economista, bibliofilo, aveva scritto e
stampato parecchi opuscoli; aveva raccolta una biblioteca. Era ambiziosissimo,
e desiderava che il mondo si occupasse di lui. Parlava di tutto con sentenze
recise. Radunava intorno a sè alquante notabilità del terzo e del quarto
ordine. Come dotto, l'oblato bibliotecario dell'Ambrosiana; come bibliofilo, il
librajo Brizzolara; come direttore di coscienze, monsignore Opizzoni; come
letterato, Francesco Pezzi, estensore della Gazzetta di Milano; per la parte
poi che potevano avere nella cosa pubblica e nella milizia accoglieva nel
proprio palchetto il generale Bubna e il barone Gehausen.
La conversazione enciclopedica quasi quotidianamente ei
l'apriva in propria casa dopo il mezzodì, e la chiudeva verso le ore tre, per
uscire in carrozza o a piedi, onde dar aria al polmone, mettere in movimento il
sangue, e preparare lo stomaco a trovare eccellente l'opera del cuoco.
Nel giorno in cui ci troviamo, che è il successivo alla
tragi-comica serenata di S. Pietro e Lino, la conversazione verteva su cose
d'ordine privato, e il marchese, continuando un discorso coll'Opizzoni, veniva
alle conclusioni seguenti:
Insomma, caro monsignore, giacchè ella è l'uomo della
religione e della carità, è necessario si pigli il fastidio di finir questa
faccenda. Mio cugino è stato quel ch'è stato; pur troppo non è possibile
dimenticarsene. Ma ella m'insegna che il futuro fa spesso l'emenda del passato.
Perchè mio cugino metta la testa a partito e diventi un uomo come tutti gli
altri, non c'è rimedio migliore che questo matrimonio. Il mondo potrà dire che
c'è la figlia dell'ultimo letto, e con un nuovo matrimonio si verrebbe a
danneggiare la sua condizione pecuniaria. Ma a queste cose monsignore non
suole, come non deve, aver nessun riguardo. Val più un'anima salvata che la
prosperità materiale di cinquanta figliuoli. C'è la morte, pur troppo, e la ricchezza
è una larva. D'altra parte, a rifletterci bene, io, come tutore della
fanciulla, penso che con un matrimonio fatto fare a tempo a questo stranissimo
uomo di mio cugino, si può arrivare a salvare qualche parte di quei due milioni
che ancora gli rimangono e che, col suo sistema di prodigalità forsennata, e
colle cappellate colme di zecchini che profonde sul capo di tutte le donne che
gli danno in fantasia (lascio da parte i peccati mortali), finiranno a svanir
tutti ben presto, ed a lasciare a me l'obbligo di fargli la carità di due o
tremila lire all'anno, perchè non abbia a correre in pubblico la voce che un
cugino del marchese F... fu ricoverato a San Marco.
Caro signor marchese, rispose l'Opizzoni, se io mi lascio
indurre a frammettermi in quest'affare, non è tanto (mi perdoni se dico tutto
quel che penso) non è tanto per riguardo del conte Alberico suo cugino, quanto
per riguardo di quella povera ragazza. Quella ragazza nacque sott'al Duomo, e
l'ho battezzata io... una pasta eccellente, ben avviata, religiosa, timorata...
Or che va a saltar in testa a suo padre e a sua madre (che pur sono bravissima
gente), di farle imparar la musica e di metterla sul teatro?... Fu una vera
ispirazione del diavolo... ed ebbi perciò un alterco vivissimo col maestro Brambilla,
quello che è organista a San Simpliciano; perchè fu lui che consigliò i parenti
a far fare quel pericoloso passo alla figliuola. Il maestro che mi sentì a
sgridare di ciò i parenti, ebbe un dì il coraggio d'apostrofarmi con
ingiurie... Io già gli ho perdonato tutto... è il mio dovere, è questa una
condizione del nostro carattere e del nostro istituto... ma da quel giorno tra
me e lui s'impegnò una lotta, una lotta terribile, una di quelle che, se non
fosse superbia il dirlo, e tanto più ad un ministro di Dio meschino e
indegnissimo come io sono, si vedono impegnarsi nelle sacre istorie tra
Satanasso e san Michele; ma voglio vedere chi la vincerà, se un monsignore del
Duomo, o un suonatore di organo che, di sopramercato, scrive la musica per i
balli di Viganò.
Presente a questo dialogo trovavasi Francesco Pezzi, il
proprietario ed estensore della Gazzetta di Milano, e il critico teatrale più
in voga e più temuto e, in gran parte, più indipendente che allora si
conoscesse. Avendo esso officiato qualche tempo addietro il marchese F...,
perchè lo raccomandasse al Governatore di Milano, quando appunto la Gazzetta
era stata messa al concorso, il marchese ammise in seguito il giornalista alla
propria intimità, per averne ammirata la coltura e lo spirito, e più di tutto,
per essere stato preso dalla di lui cortigianeria, molto lusingatrice del suo
amor proprio letterario e scientifico. In quanto al Pezzi, se adoperò tutti i
mezzi e tutte le seduzioni per rendersi sempre
più accetto al facoltoso ed autorevole marchese, la cosa era naturale. La
Gazzetta gli rendeva da trenta a quarantamila lire all'anno, ed egli aveva
bisogno di tutti coloro che lo tenessero sempre
raccomandato presso la presidenza del governo.
Il marchese, quando l'Opizzoni si tacque:
Ma ella, disse rivolgendosi al Pezzi, ella come giornalista
e critico teatrale, di ragione deve conoscere la signora Stefania Gentili.
La conosco benissimo, ed è un prodigio di natura e d'arte.
Ma è costei che il conte Alberico vorrebbe sposare?
Costei per l'appunto.
Ed è contenta la ragazza?
Il conte direbbe di sì... ma ella, caro signor Pezzi,
conosce mio cugino... e sa bene che per conoscere la verità, bisogna sempre
pigliare a rovescio le sue parole. Ha sempre
avuto questo difetto, e convien regolarsi... Ma in conclusione, che ne
penserebbe lei di questa idea di mio cugino?...
Il Pezzi stette qualche momento senza parlare... Egli
conosceva abbastanza il conte Alberico; al pari di chicchessia, lo disprezzava
e detestava; inoltre, come intelligente ed amantissimo dell'arte teatrale,
essendo anch'egli preso d'ammirazione per le doti straordinarie di madamigella
Gentili, gli aveva fatto addirittura un senso di dispetto e di ribrezzo, che
precisamente al più spregevole uomo tra quanti ei conosceva, fosse venuta l'idea
d'impadronirsi di quel vago e rarissimo fiore di bellezza, di bontà e di
ingegno. Ma non era il caso di manifestar per intero la propria opinione.
Relativamente a monsignor Opizzoni, bisognava diportarsi con gran riguardo; e
se il marchese tagliava spesso a dritta e a sinistra sul carattere e sulle
qualità del suo nobile cugino, facilissimamente si sarebbe adontato di chi,
senza essere un pari, si fosse messo a fare altrettanto in sua presenza.
Non crederei, disse poi, che madamigella Gentili, alla quale
ho parlato sul palco scenico del teatro Re, possa per ora avere volontà di
prendere marito. Non ha che diciasette anni, ed è tutta assorta nelle cose
dell'arte... Tuttavia... trattandosi d'un milionario, d'un uomo che ha tante
parentele cospicue... potrebbe benissimo... Ella sa bene, signor marchese, come
vanno a finir queste cose...
Il Pezzi, che aveva incominciato il suo discorso
coll'intenzione di dargli una conclusione ben diversa di quella che gli diede,
cangiò intonazione, essendosi accorto che il marchese erasi già rannuvolato.
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