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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOTTAVO
    • IV
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IV

Ma non aveva ancora finito di dir queste parole, che un servitore annunciò il lupus in fabula: il conte Alberico B...i.

Addio, marchese, disse questi entrando... Ah! Bravo, monsignore... Spero che il marchese le avrà detto che mi occorre di lei... Signor Pezzi, la riverisco. Sono contento di vederla qui per poter farle i miei complimenti pei suoi bellissimi tre articoli contro il Carmagnola di Alessandro Manzoni. Oh quella è la maniera giusta di adoperar la critica! Coloro che, per avere assistito al parto e aver fatto da levatrice, pretendevano che la nuova creatura fosse una divinità non mai più veduta, a quest'ora sono tutti ammutoliti... A proposito, conosce lei, signor Pezzi, l'epigramma che su quest'argomento ho scritto e fatto inserire nel Corriere delle Dame?

Un epigramma l'ho visto infatti... ma, se è quello ch'io lessi... mi fu detto essere di Davide Bertolotti...

Il mio è questo...

Si leggeva il Carmagnola,

Gran tragedia al mondo sola:

Chi dormia, chi sbadigliava,

Uno solo lagrimava;

Piango, disse quel buon sere,

Per quel prode cavaliere,

Che, da quanto or qui si sente,

Messo è a morte malamente.

È questo appunto l'epigramma che mi fu detto...

Essere mio... Quello di Bertolotti non lo conosco.

Il Pezzi tacque.

Eppure alcuni pretendono, proseguiva don Alberico, che il signor Alessandro Manzoni, per questo sistema di poesia tragica ad uso oppio, sia destinato a diventare il Dante Alighieri del nostro secolo... Povero secolo, se il pronostico andasse bene!...

Di questa tragedia, entrò allora a parlare il marchese, rivolgendosi segnatamente al Pezzi, ieri sera ebbi a discorrerne lungamente nel palchetto del governatore.

Del governatore...?

Del governatore, sì, che ha voluto leggerla da capo a fondo, perchè qualcuno gli aveva sussurrato all'orecchio, contenere dei passi pericolosi e offensivi al governo. Or sapete che cosa mi disse sua eccellenza?... L'ho trovata tanto cattiva, mi disse, che sebbene ci sia da notar qualche cosa sulla maniera di pensare dell'autore, pure non ho creduto di dare alcun rimprovero al censore che gli ha accordato l'Admittitur. È una produzione nata morta; a proibirla si correva pericolo di farla vivere, anche in mancanza di fiato.

Così nell'anno 1820 venne accolto e giudicato tanto dall'autorità censoria quanto dalla critica superficiale e sistematica quel lavoro letterario, che piantava in Italia le prime basi di una letteratura nuova, la quale, ripudiando le leggi del convenzionalismo arbitrario, si proponeva di non essere fedele che alla ragione e alla verità; ma per tal modo fu lasciata uscire in pubblico, col famoso coro della battaglia di Maclodio, la lirica più alta, più indipendente, più rivoluzionaria che mai abbia avuta l'Italia.

Quel coro fu la prima protesta scritta e divulgata, sotto gli stessi occhi dell'autorità, contro il dominio straniero. Da quella poesia, per la prima volta, spiccò il volo il pensiero emancipatore, che non si fermò più. Una fatalità provvidenziale avea decretato che la stolidezza di un governatore e l'ignoranza di un censore proteggessero quel volo inaspettato e incompreso.

Ma questa breve discussione letteraria fu troncata di colpo dal solito domestico, che entrò a dire al marchese:

C'è un signore che ha bisogno di parlarle.

E chi è?

Ecco il suo biglietto di visita.

Diamine! esclamò il marchese gettandovi l'occhio e rivolgendosi al conte Alberico: ma non è morto il vecchio Suardi?

Il vecchio Suardi? Che dite mai? Chi sa da quanti anni non c'è più nemmeno la polvere!

Ma qui leggo Andrea Suardi.

Andrea Suardi, va bene: è suo figlio.

Ma aveva un figlio il vecchio Suardi?

Chi sa quanti ne avrà avuti! Ma questo è il solo che si conosce.

E che mai può volere da me? Io lo rimando, che te ne pare Alberico?

Uhm... è un furfante prepotente e manesco, che potrebbe mettere sossopra tutto il palazzo, se gli negaste di riceverlo.

Allora gli faccio dire di tornare un altro giorno.

Fate quel che volete, ma io conosco la bestia; è razza di stalliere, di lacchè e d'ergastolo. Non si sa mai quel che può succedere.

Ma tu lo conosci?

Lo conosco benissimo. Chi vive in pubblico, come faccio io, bisogna bene che si trovi spesso questa canaglia fra le gambe.

Allora va tu stesso a dirgli di tornare un altro giorno.

Il conte B...i, ch'era intrigante e curioso per natura, e avrebbe voluto sapere a ogni costo il motivo di quella strana visita del consocio della Teppa, si pigliò l'incarico di fare l'ambasciata egli stesso.

 




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