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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOTTAVO
    • VI
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VI

Il marchese, entrando, percorse con una rapida occhiata riassuntiva tutta la persona del Suardi dalla testa ai piedi.

Il giovane Suardi, ad un aspetto bellissimo, univa una eleganza naturalmente signorile, accresciuta dal suo vestito all'ultima foggia. Portava un abito di panno turchino con bottoni di metallo dorati; un panciotto di velluto verde a stelline d'oro; pantaloni di casimiro color persico. Il cappello che teneva fra le mani era di felpa plumée. Era questo un distintivo di tutti gli addetti della Compagnia della Teppa. La differenza dei loro cappelli non consisteva che nella preziosità della stoffa, la quale dipendeva dalla varia facoltà di ciascuno; ma di qualunque colore fosse la felpa, il pelo ne doveva esser lungo e sollevato e scomposto. Secondo alcuni etimologisti, è anzi da questa usanza che derivò l'appellativo alla compagnia; i quali etimologisti stanno contro ad una schiera più numerosa, la quale pretende che un tale appellativo sia invece derivato dai verdi prati di piazza Castello, situati presso i palazzi Dal Verme e Litta, dove i socj avevano cominciato a tenere le loro adunanze.

Quando il marchese entrò, il Suardi stava in piedi. L'uno salutò l'altro con modo assai contegnoso; era evidente come adempissero alla prammatica del più vetusto galateo, ma nel tempo stesso come la loro espansione cordiale fosse molto simile a quella di due duellanti che si salutano prima di uccidersi. Il marchese però non disse nemmen di sedersi al Suardi, dopo di avergli domandato in che cosa poteva servirlo.

Il discorso che ho da fare, illustrissimo signor marchese, rispose il Suardi con ostentata gravità, dev'esser lungo, perchè la materia è intralciata e seria; però, se mi permette, mi metto a sedere.

Il marchese non disse parola, non fece nemmeno alcun cenno; lasciò fare, ma rimase in piedi.

Ella mi ha chiesto in che cosa può servirmi? continuava il Suardi. La ringrazio della domanda, ma le dirò che ho dei motivi di credere d'essere invece venuto io stesso a fare un buon servizio al signor marchese. Vostra signoria sa chi sono. Sa inoltre, lo credo almeno, di chi sono figlio. Mio padre poi è conosciuto dalla illustrissima casa F... da più di novant'anni... è una bella tirata! È dunque per questa vecchia conoscenza ch'io son qui; per dei rapporti intimi, troppo intimi, e così non fossero mai esistiti, passati tra mio padre e il nonno di vostra signoria illustrissima.

Io non so nulla e non capisco nulla, rispose il marchese appoggiandosi ad una poltrona, senza però sedersi.

Eppure, ella dovrebbe saper tutto e capir tutto... Io non era nato quando vostra signoria avrà sentito a parlare di cose ch'io venni a conoscere tanti e tanti anni dopo. Io non era nato quando la casa F... era già in questione colla casa Baroggi per una eredità contestata... Questo vossignoria lo saprà, come saprà che nel 1813 fu presentato al tribunale il testamento olografo in originale del suo prozio marchese... Ella poi deve conoscere più di me e più di tutti in che strano modo e per che vie arcane siasi riuscito a far sentenziare dal tribunale che quel testamento era una carta falsificata.

Di tutto questo io ne so tanto quanto gli altri. La sentenza non l'ho proferita io. Se quel testamento fu giudicato essere un documento falso, fu perchè le prove ne risultarono numerose, chiare, palmari. Però non comprendo a che conclusioni il signor Suardi voglia tirare le sue parole.

Le conclusioni sono che oggi saltarono fuori dei fatti da cui risulta che quel testamento era tutt'altro che un documento falso; e che per conseguenza, dopo settant'anni, la casa Baroggi deve andare al possesso di quanto le appartiene per diritto.

Se ciò è, rispose con agrezza e con sarcasmo il marchese, non so per che cosa V. S. sia venuta da me. Io non sono il tribunale.

Se V. S. non è il tribunale, è però il marchese F...; vale a dire che è il pronipote del conte F..., del quale le deve premere la fama.

La fama del mio avo?

Se quello che oggi io so... e che domani, occorrendo, potrà esser fatto noto all'autorità, si fosse conosciuto settant'anni sono, l'illustrissimo signor conte F... avrebbe perduta la nobiltà per e pei suoi discendenti, e sarebbe stato condannato ad una pena infamante.

Signor Suardi, disse il marchese alteratissimo, mi lusingo ch'ella non vorrà abusare della mia tolleranza.

Voglio vedere invece s'ella saprà far uso della sua sapienza. Io non venni qui per insultar nessuno. Che pro ne avrei per me e per gli altri? Venni invece per proporre al signor marchese i modi di ovviare a tutti gli scandali.

La mia coscienza mi dice di non avere nessun timore d'affrontar scandali. Chi li teme, provveda a scansarli.

Ma qual compiacenza, disse il Suardi indignato, può trovare il signor marchese nel sentire che si abbia a sapere da tutto il mondo che il suo signor nonno è stato un ladro!

Mi stupisco come questa parola debba uscire dalla bocca del figlio del Galantino. Vostro padre fu scacciato dalla casa del mio prozio per infedeltà.

Ed io so che il vostro nonno eccitò mio padre a togliere il testamento dallo scrigno del defunto fratello. So che per spingerlo a ciò gli fece tenere del denaro; so che, per mezzo del suo maggiordomo, gli promise ventimila lire milanesi di regalo ad opera compiuta, e quando fossero superati tutti i pericoli. So che, scomparso il testamento e rimasti in casa F... quei milioni che dovevano passare in casa Baroggi, il signor conte vostro nonno non si ricordò più nemmeno della promessa, considerato che a mio padre non rimaneva modo di far valere le proprie ragioni innanzi alla giustizia; motivo per cui mio padre tenne sempre presso di il testamento involato, nel pensiero che col tempo si sarebbe presentata una occasione di punire la vilissima azione del signor conte. Durante la sua vita, l'occasione non si presentò mai; ma il vostro nonno, accecato dall'avarizia, non fu previdente, ed io sono qui a far le veci di mio padre. Questi lasciò scritta la relazione ampia e circostanziata di tutto ciò che è avvenuto; in essa espone e confessa la parte che ebbe in quel fatto; convalida il tutto con giuramento, e medesimamente asserisce e giura che il testamento stato depositato presso il tribunale è il vero testamento scritto di proprio pugno dal prozio di V. S. Ill...

Una tale relazione mio padre la rimise nelle mie mani al letto di morte, lasciando a me piena facoltà di fare di essa quello che mi fosse parso più conveniente. Ora il signor marchese può dire di essere al fatto di ogni cosa; può indovinare il motivo per cui sono qui; può pensare a condurre le cose in modo perchè un tale mistero, che per settant'anni rimase nel bujo, continui a rimaner nel bujo per sempre. Il signor marchese conceda alla famiglia Baroggi la metà dell'eredità contestata. I tribunali non devono saper nulla, perchè è una transazione da farsi e compirsi in via amichevole. Io tacio, il signor marchese tace, la casa Baroggi tace, e tutto resta finito colla soddisfazione e l'utile di tutti. Che ne pensa il signor marchese?

Penso, rispose il marchese dopo qualche tempo, che chi ha potuto inventare il testamento e presentarlo al tribunale come un documento autentico, può bene avere inventato anche il romanzo di cui vossignoria, così in digrosso, mi ha dato il sunto, e che mi sembra degno della fantasia dell'abate Chiari.

 




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