VIII
Taluno potrebbe lamentarsi che, dopo sette capitoli, la
Compagnia della Teppa, che fu messa in cima a questo libro come un frontespizio
appetitoso per attirar gente, non sia ancora entrata regolarmente in fazione.
Ben è vero che nel bel primo capitolo ella è comparsa al mostrone, e ha fatta
anche qualche evoluzione colle sue armi di precisione, quantunque non dotte; ma
conosciamo i lettori e bisogna accontentarli.
Se non che, siccome abbiam dovuto segnare i contorni delle
figure principali del quadro, prima di arrischiare le linee del fondo; e in un
angolo, per le nostre buone ragioni, ci convenne far trapelare di già il gruppo
futuro dedicato ai sentimenti del cuore; e nel mezzo alcune aspre figure
incaricate di rappresentare tre o quattro de' più formidabili peccati capitali;
e in altro lato, per l'equilibrio necessario della linea, alcune facce di
diversissimo carattere, onde obbedire alla legge estetica dei contrasti; così
ora ci sarà necessario di metter giù la tinta generale dell'ambiente storico,
prima di far sfilare regolarmente innanzi a noi le macchiette più o meno strane
e bizzarre di coloro onde si venne costituendo la veramente brusca Compagnia
della Teppa.
Caduto Napoleone a Waterloo, tradito sul Bellerofonte,
incatenato come Prometeo allo scoglio di Sant'Elena, tutt'Europa in un giorno
si trovò arretrata d'un secolo. La fortuna porgendo ajuti inattesi agli errori
militari del mediocre Wellington, aveva fatto cadere il capolavoro campale
dell'inarrivabile Bonaparte. Il progresso del mondo che, venuto nelle mani di
un genio armato e inesorabile, pareva non dovere trovar più ostacoli
nell'avvenire, di improvviso si mostrò al sole come un mucchio di rovine, al
pari della Roma di Nerone distrutta dalle fiamme in una notte. Tre secoli di
preparazione coraggiosa, insistente, indomabile, una schiera di genj
emancipatori, sempre decimata e sempre
rinnovata, come il drappello della morte, erano trascorsi indarno, avevano
lavorato indarno. Wellington, Schwartzenberg, Blücher, vale a dire un uomo di
second'ordine, ajutato da un bue e da un cignale, aveano bastato a tanto.
Davvero che a pensarci cadon le braccia, e i supremi concetti della verità,
della giustizia e della grandezza sembran larve
e menzogne.
Pio VII, rinnovatore di tenebre, era tornato a Roma per
ispegnere, riabilitando i Gesuiti, la luce feconda uscita dal Breve Dominus ac
Redemptor di Clemente XIV. A Vienna l'alleanza dei nemici dell'umanità s'era
chiamata santa, quasi a compromettere il calendario e il martirologio. Il
parricida Alessandro era diventato il dittatore d'Europa, Francesco d'Austria,
Tiberio casto e bigotto, ma più crudele dell'antico, ricuperava la facoltà di
assicurare al suo impero la fama di spavento della civiltà. Tutti i Borboni, in
Francia, in Spagna, in Italia, erano ricomparsi, come il ritorno di un
contagio, come la peste del bubbone, come il colèra.
Quello di Napoli, morto che fu Murat, s'affrettò a decretar
onori a' suoi assassini. Ristaurato era il granducato di Toscana, ristaurato il
ducato di Modena. Già il re Emanuele di Piemonte aveva con un decreto fatto
scomparire tutto quanto il sedimento fecondo lasciato giù dal regno italico.
Già Francesco d'Austria e il re di Napoli s'eran trovati a Roma intorno al
papa. Già la città di Milano era stata visitata dall'Imperatore, che aveva
nominato il vicerè del regno Lombardo-Veneto. Il governo austriaco in Lombardia
era compiutamente costituito e ordinato e di qui influiva direttamente e
indirettamente su tutta Italia.
Già la popolazione nella sua più larga generalità, stanca di
così lungo e incomodo scombussolamento, si era adagiata, intenta ai proprj
interessi individuali, nel nuovo ordine di cose. Già nella classe dei pubblici
funzionarj, dei nobili, dei negozianti, fatte sempre
le debite eccezioni, erasi svegliato un germoglio, se non di simpatia, di
tolleranza almeno, verso il ritornato dominio. Ad omettere i frequentati Tedeum
ufficiali, comandati sempre dai dispacci
governativi, i ciambellani abbondavano intorno al sorridente vicerè Ranieri; le
dame di corte affluivano intorno alla viceregina, giovane, bella ed alta come
un granatiere. La popolazione accorrente alle processioni della Santa Croce e
del Corpus Domini, trovava ameno e soave l'eterno sorriso dell'arcivescovo
Gaisruck.
In altra parte e in altro tempo era una gara per ottener
biglietti onde assistere alla lavanda dei piedi nella sala delle Cariatidi a
corte. Il popolo, stanco di disinganni, aveva trovato il modo di mettere in
pratica il detto vetusto: "accontentati di quello che hai"; onde potè
acconciarsi a mangiare di buon appetito anche le semplici
patate, mentre in addietro gli erano venuti a noja perfino i pruriginosi
tartufi.
La platea del teatro della Scala, pur troppo, batteva le
mani al comparire delle Loro Altezze nel duplice palchetto.
Le faccende del mondo teatrale, segnatamente dell'opera in
musica, avean cominciato a diventar l'occupazione principalissima del bel
mondo; però se otto e dieci anni prima era un assiduo tener dietro ai movimenti
delle truppe, alle nomine dei marescialli, ai bullettini della grand'armata,
questo medesimo interesse erasi tutto rivolto a sapere invece, se, per esempio,
Gioachino Rossini scriveva piuttosto per la fiera di Sinigaglia che per il
Tordinona di Roma; a disputare se Mozart aveva avuto più fantasia di lui; a
domandare se Filippo Galli era di nuovo stato scritturato per la Scala; se si
poteva sperare che Tacchinardi avrebbe cantato al teatro Carcano; e sopratutto,
per qualche tempo, a chieder notizie sull'incendio del teatro San Carlo di
Napoli; e se una volta nelle osterie e nei caffè nascevan feroci dispute per
dare la preminenza piuttosto a Ney che a Massena, piuttosto a Murat che a
Bessière, caricatori incliti di cavalleria, or quasi venivasi alle mani per la
preferenza da darsi piuttosto alla Catalani che alla Pisaroni, piuttosto a
Nozari che a David.
Ciò in quanto alla generalità del bel mondo; rispetto agli
specialisti, tra chi portava un certo amore, per esempio,
all'arte drammatica, era un discorrere assiduo di De Marini e Modena e
Barlaffa, e della esordiente Marchionni e dei due Righetti, il milanese e il
veronese; e del caratterista Pertica e del padre nobile Verzura, ecc. ecc.; e
un discutere alquanto appassionato se i dilettanti del Filo-drammatico fossero
migliori di quelli del Filo-Gambaro o del Filo-Fuston o del Filo-Navasc,
teatrini di dilettanti allora in gran voga in Milano, ed ora scomparsi tutti.
Se poi erano antiquari, o proprietarj di quadri, o incettatori di nummi e
cammei, non facevano che parlare del ritorno di Canova a Roma cogli oggetti di
belle arti restituiti dalla ristorazione francese, e della fondazione del Museo
borbonico a Napoli, o del Leone alato rimesso sulla colonna della piazzetta di
Venezia. Di tutti costoro, che formavano i quattro quinti del mondo colto e gli
undici dodicesimi della popolazione, non v'era chi punto si occupasse delle
cose di politica; era un terreno che avea scottato e disgustato troppo: però
era molto se correva sottintesa la nozione della Carboneria; quasi ignote eran
le sêtte dei Sanfedisti e dei Calderari; il nome poi di Adamo Weishaupt e del
suo Illuminismo, chi lo avesse proferito, poteva essere compreso come un
professore di meccanica celeste da quelli che appena conoscono le quattro
operazioni aritmetiche.
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