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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOTTAVO
    • IX
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IX

Questo fenomeno storico s'era prolungato dal 15 al 18; soltanto i movimenti di Rimini avevan fatto nascere alquante bolle fuggitive sull'ampia gora stagnante; il tentativo di Macerata aveva per poco sospesa l'attenzione esclusiva per la Gazza ladra di Rossini. Gli arresti dei Carbonari di Rovigo avevan fatto più senso della misera fine di Aristodemo. Ma la calma rimettevasi presto.

Codesta calma tuttavia non piaceva alla gioventù, a qualunque classe appartenesse; a quella gioventù che, nell'infanzia, dalle scuole, dai collegi, dal recinto domestico aveva assistito, con prepostera alacrità, ma senza poter avervi parte, alla turbinosa epopea napoleonica; e nell'assiduo desiderio di uscire una volta dalla condizione di fanciulli e di adolescenti, d'improvviso trovarono che tutto era finito, quando appunto anche per essi parea venuto il momento di pigliar le armi, di aspirare alle spallette, alla Corona ferrea, alla Legion d'onore. I più ardenti che, non sospettando un così repentino cangiamento di cose, aveano adoperato ogni cura per essere più preparati alla lotta, nella delusione rimasero iracondi. Quel che avviene nell'ordine fisico, avviene nell'ordine morale: se un giovane di tempra robustissima, abbisognevole di moto e attività ed espansione, vien condannato, per circostanze non prevedute, ad un tenore di vita sedentario e tranquillo e chiuso, è facile assai che da quella medesima robustezza, da quel medesimo rigoglìo del sangue compresso e respinto, gli derivi qualche malore, che lo renda dannoso a e agli altri, mentre sarebbe stato utilissimo, se l'indole sua naturale e le occupazioni a cui si era preparato fossero state assecondate e adempiute. Così press'a poco avvenne di moltissimi tra i giovani lombardi, che, nel punto di lasciare il collegio e l'università per vestir l'assisa militare e passeggiar l'Europa militando, si trovarono condannati all'immobilità, senza sapere a che appigliarsi.

Tutti questi giovinotti, che per essere naturalmente accattabrighe e turbolenti e maneschi, avevan tutta l'attitudine, se fosse continuato il tempo delle guerre, a saltar in mezzo a un battaglione quadrato, ed afferrare un caporale austriaco per la cravatta, a far prodigi investendo il nemico a bajonetta in canna; costretti invece a rimaner chiusi in casa, bisognò pure che sfogassero il loro prurito in qualche modo; in quella guisa onde spesse volte le adolescenti monacande, nei silenziosi chiostri, non essendo mai consolate da nessun bel viso di giovane, eccitate dall'istintivo ardore del sangue, arrivano a trovare appetitoso perfino il faccione dell'ortolano e dello spaccalegna del convento. Se a un torrente si chiude lo sbocco da una parte, esso irrompe da un'altra. È antico l'adagio, che quanto non va nella suola, va nel tomajo. Tra gli anni 1816 e 1817 non pochi di codesti giovani, attratti da un'indole congenere, si trovarono insieme e si confederarono; e non avendo un nemico propriamente detto da combattere, si accinsero, per passatempo e a sfogo di umori acri, a tribolare il prossimo. Cominciarono dapprincipio con alcune risse, spontaneamente offerte dall'occasione; di poi, l'esito più o meno fortunato di quelle li venne impegnando grado grado a un sistema di offesa e di difesa; in seguito, acquistatisi qualche fama per frequenti e chiassose vittorie, si diedero, come avevan fatto un tempo i paladini e poscia i capitani di ventura, a fiutare dappertutto dove vi fosse da menar le mani, da metter la via in rumore, da portar lo scompiglio in qualche pubblico o privato convegno, da disturbare qualche crocchio di persone. Codeste loro imprese, al pari dei melodrammi, si dividevano in serie, semiserie e buffe. In generale però, nella loro intenzione, meno qualche caso di vendetta, non avevano mai fini serj, colposi; bensì avveniva spesso che una soperchieria fatta da essi per ridere e passare il tempo, producesse poi degli effetti gravi, e qualche volta anche funesti.

Per trovar le prove di ciò in un fatto a cui abbiamo assistito; se il bastone della compagnia brusca avesse fracassata la viola-Stradivari del professor Majno, che a lui era costata lire tremila, per metter insieme le quali aveva dovuto sottostare a mille privazioni e tenere allo stecco tutta la famiglia; il mondo poteva ridere fin che voleva, ma l'egregio professore del Conservatorio avrebbe dovuto passare lunghi giorni di lutto e ritornare alle privazioni di prima, e far gemere di nuovo la famiglia; chè non per nulla aveva sagrificata la schiena al troppo caro istrumento. Ma questo è ancor nulla; ma i socj della Teppa avevano un gusto matto di bastonare i mariti per toglier loro le mogli. Non sarà stato frequente il caso che un marito idolatrasse la moglie come il Majno idolatrava la viola; ma, in ogni modo, essere assalito di notte all'impensata, sentirsi bastonato molto, trascinarsi a casa a passo lento come il Cucullino di Ossian, tastarsi le doglie, prepararsi l'empiastro d'olio e cera, applicarsi le fasciature; in ultimo, tra le fitte in crescendo del dolor fisico, volgere intorno lo sguardo, e trovar la casa deserta, e non veder più la moglie, e domandarla indarno, come Enea aveva fatto colla sua Creusa; e poi pensare, oh orrore! che i rapitori eran tutti giovani e anche belli, e che la cara moglie era bella e molto giovane e, per certi sintomi,

Forse non nata a fedeltà modello;

caro lettore, siamo giusti e non neghiamo la nostra pietà a quel migliajo di mariti, de' quali il citato non è che uno smorto ideale.

Queste soperchierie quotidiane avevano suscitato un certo spirito guerriero anche in molta parte di quella popolazione che non apparteneva alla Teppa; chè non creda il lettore che i compagnoni di essa fossero invulnerabili come Achille, concessa la sanatoria anche del tendine. No le rappresaglie nascevano, e frequenti e feroci. E molte volte quelli che s'eran mossi per rompere la testa altrui, eran andati a casa colla testa rotta. Per aver un'idea di codesto spirito guerriero passato di quel tempo dai campi aperti delle battaglie europee nelle anguste vie della tortuosa città nostra, basta dare un'occhiata ai bastoni dei nostri padri: bastoni che da quarant'anni giacciono polverosi e dimenticati in qualche angolo di qualche vecchia casa; bastoni di frassino o di spino o del più formidabile corniolo, con pomi d'avorio grossi come biglie, e puntali lunghi di ferro. In quella guisa che gli spadoni a due mani, adoperati dai catafratti, che si trovano in qualche polverosa armeria, ci danno idea dei feroci costumi del medio evo; così que' bastoni ci insegnano senza parlare la storia di quarant'anni fa. Un nostro amico più che ottuagenario, il quale ebbe il vanto di conservare una fanciulla, che si chiamava la bella Celestina, all'affetto di un celebre suonatore di flauto, lavorando senza pietà sulle terga dei rapitori, ci mostrò il suo storico bastone che aveva servito a quell'impresa, e che noi abbiamo guardato ed ammirato e palleggiato con quella divozione onde i visitatori della cappella di Aquisgrana toccano e sollevano la Giojosa di Carlomagno.

 




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