X
Però la Compagnia della Teppa, fra tante ribalderie poteva
anche, a intervalli, vantarsi d'aver compiuto qualche fatto che collimava
persino cogli intenti supremi della giustizia assoluta. I suoi mezzi, come al
solito, non furono mai nè legali nè legittimi, e nemmen lodevoli; ma per quanto
un filosofo sentimentale avesse pensato e ripensato, non avrebbe mai trovato il
modo di far la giustizia più prontamente e più compiutamente che con quei
mezzi. Siamo sempre alla vetusta teoria della
giustizia sommaria, che sola riesce a tagliare dei nodi che nessun codice umano
si attenta nemmen di toccare. Però più di un birbone sotto mentite spoglie, di
quelli che alla sordina rovinano la società come fanno i topi nei bastimenti;
più d'un funzionario pubblico noto per abusi di potere non intaccabili dalla
legge; più d'un padre tiranno, più d'un marito assassino fu messo al dovere
dalla minaccia e dall'assaggio del notturno bastone. Queste imprese eccezionali
non avvenivano per merito dell'instituzione, ma bensì per la inclinazione
speciale di alcuni pochi individui che ne eran membri: giovinotti ardenti, ma
acuti e generosi, ma dotati di tempra e d'ingegno affatto eccezionali.
Nessun di costoro erano, come si suol dire, persone serie.
Tutt'altro: non avrebbero potuto appartenere alla Compagnia della Teppa; eran
tutti uomini dediti al buon tempo, ai bagordi, al fracasso. Taluno, fornito ad
esuberanza del tubere della giovialità e della potenza comica e della virtù
della satira empirica, per distinguerla dalla poetica, tutti i giorni inventava
qualche stranezza, gettava qualche insidia che con modi berneschi andasse a
ferire in sul serio qualche mala bestia della società patrizia o della
burocratica; o mettesse in ridicolo qualche fatto del pubblico o del privato
costume, qualche stolta consuetudine, qualche provvedimento sciocco.
Di tal tempra era, tra gli altri, un certo Mauro
Bichinkommer, incisore di cifre, milanese, che aveva dimorato per molti anni a
Torino, e poscia di là aveva dovuto ridursi a Milano, in conseguenza di alcuni
scherzi serj fatti subire a personaggi collocati in alto. Costui era un famoso
imitatore d'ogni mano di scritto. Usando di tale singolarità, una volta, a
Torino, aveva spedito un ordine, come se fosse del primo ministro di corte, con
cui comandava al castellano di recarsi sulla piazza di Madama Reale nel mattino
colle truppe, volendo il re fare una rivista generale. (Il re, contro il genio
storico della dinastia Sabauda, s'intendeva di milizia come d'astronomia). La
seconda burla fu un invito segnato dal principe di Carignano al provinciale dei
Cappuccini, di recarsi alla casa del principe per trasportare alla chiesa la
povera principessa sua moglie morta di parto. (Il Carignano non aveva ancora
avuto figli). La buffonata ebbe luogo con grande scandalo della casa
principesca ed infinite risa del pubblico. La terza burla fu un invito a pranzo
fatto a diciotto curati della città e sottoscritto dal segretario di
quell'arcivescovo con ordine contemporaneo ai pasticcieri, ai pizzicagnoli,
agli osti di mandar dolci, salsiccie, manicaretti. (L'arcivescovo era famoso
per la sua sordida avarizia, e i diciotto curati erano stati scelti fra i più
ghiottoni).
Vedremo in seguito come i fili della nostra azione
drammatica si verranno arruffando per la bizzarria della sua indole e del suo
ingegno.
|