VI
Premesse queste considerazioni, proseguiamo con fiducia la
nostra narrazione. Non per obliquo desiderio di offendere un uomo di chiesa,
abbiamo stimato a proposito di mettere in iscena quel monsignore di
popolarissima fama, ma per un intento che, a parer nostro, ben ci può dare il
permesso di rinnovare il sindacato su tutti gli uomini che esercitarono una
forte influenza sul pubblico e privato costume, sulla pubblica e privata
felicità.
Or tornando alla fanciulla Stefania, essa per molto tempo
stette zitta e non cantò più. Il signor Giacomo e la signora Caterina, dopo che
eran rimasti in asso una volta coll'assoluzione, provarono una specie di
terrore nel pensiero che quel fatto potesse mai ripetersi. In casa della
signora Corali però continuavasi a far musica, come suol dirsi; ed or dall'una
or dall'altra cantante venivan ripetute, per esercizio, tutte le cavatine e
tutte le arie del repertorio musicale allora più in voga. È inutile il dire che
trattavasi quasi sempre di qualche pezzo di
Rossini. La piccola Stefania poteva bensì, per obbedienza, tener chiusa la
bocca; ma l'orecchio era indipendente da qualunque comando, precetto e volontà,
e non poteva rifiutarsi a sentire; e la memoria, per suo mezzo, non poteva
rifiutarsi a ricevere le successive impressioni delle note e delle frasi e dei
concetti musicali. Ora avvenne che quando la sua memoria fu piena di quella
folla di motivi deliziosi onde rigurgitano le opere di Rossini della prima
maniera, ella provasse come una specie di replessione dolorosa a contenerle con
violenza entro di sè. Allora si verificò anche in lei quella legge di natura
espressa così bene dall'expellas furca del poeta. Seguendo così il sistema
delle capinere e delle filomele e di tutti gli augelli canori, che stanno muti
e muti un pezzo, per dar fuori poi tutt'a un tratto con una piena repentina di
pipillamenti e di gorgheggi e note tenute, a svegliare il vicinato; la
fanciulla una sera, essendo salita su un terrazzo insieme con alcune sue
amiche, credendo di non essere sentita dai genitori, si mise a eseguire per la
prima volta, quasi a titolo di prova, la famosa aria del Tancredi:
Di tanti palpiti,
Di tante pene,
Dolce mio bene, ecc.
E la prova le riuscì così a meraviglia, che tutte le sue
giovinette amiche smisero ogni lor giuoco, per stare attente a udirla a bocca
aperta; i casigliani che avevano qualche pratica del teatro e del loggione
della Scala, e vi avevano spesso fatto capolino per sentire o la Belloc o la
Camporesi o la Catalani, ecc. ecc., si fecero tutti alle finestre e alle
loggie, attratti irresistibilmente dall'incanto che esercita una voce soave
quando esprime soavi concenti musicali. E il signor Giacomo e la signora
Caterina ascoltarono anch'essi, e come no? In que' sei mesi che la fanciulla
aveva taciuto, dal gennajo al giugno circa, essa aveva varcati i tredici anni e
s'innoltrava ai quattordici; in tutto il suo organismo era avvenuto, sebben
precocissimo, uno sviluppo completo; la voce non era più acerba, ma erasi fatta
rotonda e flautata. Quel riposo di sei mesi fece sì che il suo svolgersi non
venisse menomamente offeso da un soverchio esercizio, che poteva riuscire
funesto in que' mesi della crisi corporea. Il più guardingo maestro di canto
non avrebbe potuto essere più sapiente del semplice
caso. Monsignor Opizzoni, condannandola al silenzio, ottenne effetti non sempre
concessi al prof. Bordogni. Quando la fanciulla cessò di cantare, uomini,
donne, vecchi, fanciulli, dalle finestre, dalle loggie, dai poggiuoli, si
diedero a batter le mani con quella sincera esplosione d'entusiasmo, così raramente
accordata anche agli artisti di professione. In quanto al signor Giacomo e alla
signora Caterina, avvenne un fatto singolare. Al primo udir la voce della
figliuola, si sentiron tentati a salire per sgridarla; ma Stefania aveva
cantato in modo, che essi, contro voglia, stetter fermi al loro posto; poi,
quando risuonò per il recinto della casa quello strepitoso e concorde applauso,
l'uno e l'altra, guardandosi scambievolmente in faccia, si trovarono gli occhi
pieni di lagrime.
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