XIV
Quando vedemmo il conte Alberico mescolato ai soci della
Compagnia della Teppa sulla piazzetta di San Pietro e Lino, egli era nella
massima esaltazione di un furore amoroso per madamigella Gentili; aveva già
mandato persone a parlare ai parenti di lei, a far proposte di matrimonio.
Aveva anche ricevuto due rifiuti, che sempre
più gl'irritarono quel suo desiderio ardente; era inoltre tutto sossopra per le
smanie gelose che alcuni suoi conoscenti gli avevano messo in cuore, col dirgli
che la fanciulla era innamorata di un altro. Fu allora che avendo sentito a
parlare di una serenata, aveva eccitato i compagni per scompaginarla a suon di
bastone, nella speranza che si sarebbe potuto spezzar la testa anche al rivale,
dal quale presuntivamente quella serenata doveva essere stata ordinata. Le cose
camminarono come camminarono: avendo scorto tra i suonatori e i cantanti il
conte Emilio Belgiojoso, a tutta prima s'era perduto di coraggio, vedendo in
lui un rivale formidabile; ma poi, assicurato dal suonatore d'oboe, Yvon, il
quale aveva una speciale predilezione per la cronaca urbana e s'interessava
d'ogni fatterello privato, che il conte aveva tutt'altro per la testa, e che
invece il presunto amante doveva essere quel Giunio Baroggi dilettante di
viola, il conte Alberico a tale notizia si sentì riposto in sella, perchè
comprese che coi milioni non era difficile a scavalcare un giovine non ricco.
Tornò pertanto a tempestare il cugino marchese F..., tutore delle sue figlie,
perchè s'interessasse a tal faccenda; il marchese aveva creduto bene, come
sappiamo, di parlarne a monsignor Opizzoni, suo conoscente intimo, siccome
all'unico personaggio adatto a compor simili negozj. Le cose erano a questo
punto, quando avvenne la scena procellosa tra il giovine Suardi e il marchese
F...
Questa scena, non tanto per sè stessa, ma per le sue
conseguenze, venne a sconcertar le speranze e i disegni di Alberico. Ma prima
di spiegarne il modo, dobbiamo intrattenere il lettore d'altri fatti.
Monsignore Opizzoni erasi assunto l'impegno di parlare coi conjugi
Gentili, dimentico, nella sua qualità di santo, di ogni rancore avuto secoloro,
e certo d'altra parte di fare un'opera meritoria, col salvare cioè un'anima già
ipotecata al diavolo, e col togliere con un colpo maestro una fanciulla ancora
innocente dagli orrendi pericoli che la carriera del teatro le veniva
minacciando. Salvare un'anima perduta, e assicurare il paradiso a un'anima nata
fatta per esso, furono le due idee che esaltarono la carità entusiasta di
monsignore. A ciò s'aggiunga una specie di puntiglio, che, a sua insaputa, gli
si era fitto nell'animo, e nol lasciava tranquillo da un pezzo, di riuscire ad
avere il disopra su quel petulante di maestro Brambilla. Il conte Alberico, dal
canto suo, avendo recitato maravigliosamente con lui la parte d'impostore, col
protestare d'essere stanco e pentito della propria vita peccatrice,
coll'assicurare di sentirsi purificato da quell'amore, e di non scorgere per sè
altra via di salvamento che nel matrimonio con quella fanciulla santa, era
pervenuto a far veder chiaro a monsignore che la Provvidenza in quella
occasione avea voluto dar la più evidente prova della sua presenza, e che però
bisognava assecondarla con tutta l'anima e con tutto lo zelo.
Quando monsignor Opizzoni riprese le sue visite ai conjugi
Gentili per fare quella proposta che, secondo il suo concetto, doveva riuscir
salutare come un miracolo di Gesù Cristo; madamigella Stefania stava per
conchiudere una scrittura coll'impresario Barbaja. Quest'uomo, che avea
cominciato la sua carriera col fare il guattero nei fondaci delle bottiglierie,
poi, spinto dal suo genio, nell'anno medesimo che Volta inventò la pila,
scoperse l'alto segreto di mescolare la panna col caffè e colla cioccolata onde
nell'imperitura parola di barbajata si fece un monumento più saldo del granito;
poi, diventato appaltatore dei giuochi d'azzardo nel ridotto della Scala,
arricchì straordinariamente, di modo che presto assunse l'impresa del teatro
stesso e quella del San Carlo di Napoli; quest'uomo dunque, meno le sue speciali
cognizioni sul cacao e sul moka, era di una ignoranza mitica; ma aveva il genio
del far danaro, senza guardare ai mezzi, senza idee di onestà, non fido che
all'ultimo intento; come un condottiero il quale divorato dal furore delle
conquiste, move innanzi senza badare al diritto, calpestando le popolazioni e
moltiplicando le stragi. Nella sua condizione d'impresario era perciò uno
strozzino inesorabile di maestri, di cantanti e di ballerini. Fiutava così in
di grosso il vero merito, come una volpe che, così anche da lontano, alzando il
muso nell'aria, sente odor di pollastro; e tosto gli era sopra per
impadronirsene e divorarlo. Quando sentì l'entusiasmo che madamigella Gentili
aveva destato al teatro Re, senza por tempo in mezzo, pensò ad ipotecarla a suo
vantaggio. Si recò dalla fanciulla, la lodò, ma in modo da farle capire che
valeva molto meno di quello che essa potesse credere; le fece capire così
vagamente che, se possedeva una voce simpatica, essa era però debole,
segnatamente nelle corde di mezzo, e per di più, aveva un certo tremulo che a
lui, pratico del mestiere, accusava i sintomi di un facile e vicino scadimento.
Dietro questo esordio le propose una scrittura per sei anni, nel primo dei
quali le avrebbe corrisposto lire cinque mila, sei nei tre successivi, otto
mila negli ultimi due.
I genitori rimasero sbalorditi di così misere proposte, e si
guardarono in faccia quasi a dire: Il maestro Brambilla ci ha dunque ingannati.
E madamigella Stefania rispose che non poteva accettare quei patti in nessun
modo, e che piuttosto avrebbe rinunziato per sempre
alla carriera teatrale: l'impresario replicò, ragionò e sragionò, e conchiuse
che sarebbe tornato entro tre giorni a sentir la risposta definitiva. Ma nel
secondo di questi giorni comparve invece monsignor Opizzoni, impresario
d'anime, a fare la sua proposta inaspettata. I parenti della ragazza
conoscevano il conte B...i appena di nome; tuttavia, per quanto vivessero fuori
del mondo, era giunta fino a loro la notizia della torbida vita di colui, e ne
fecero motto a monsignore; ma egli tosto lor contrappose. che se esso aveva
avuto un cattivo passato, era da ascriversi al bollore della gioventù,
all'inesperienza, all'essere stato disgraziato nella scelta delle mogli; che,
di presente, quantunque fosse ancora in freschissima età, non era però più in
quella procellosa stagione della vita, in cui tutti gli uomini, quelli eziandio
destinati a diventare sapientissimi, non mancano di fare sovente i loro
stramazzoni; che esso avea parlato in modo, aveva espressa una tale deferenza
per la fanciulla, aveva così altamente protestato che soltanto per quel
matrimonio avrebbe ottenuta quella tranquillità d'animo che non ebbe mai prima
e per mancanza della quale potè far cose di cui tanto si vergognava e si
pentiva; che meritava assolutamente di esser preso in considerazione; e per
conseguenza, dal lato di loro e della ragazza, l'annuire a una tale proposta,
non era soltanto un colpo di fortuna inaspettato, un beneficio della
Provvidenza, la quale esibiva alla ragazza tutti gli agi della vita, mentre le
faceva scansare tanti pericoli; ma era una buona azione, un'opera meritoria, un
mettersi sicuramente sulla via del Signore. I genitori guardarono alla figlia,
come a dire: Che te ne pare? Ma la figlia non rispose nulla: onde monsignore,
conchiudendo che, in ogni modo, la questione di un matrimonio essendo sempre
una cosa gravissima, meritava il più maturo consiglio, si licenziò dicendo ai
genitori che sarebbe ritornato a sentire le loro deliberazioni, e che intanto
egli avrebbe pregato il cielo perchè volesse inspirarli.
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