XIX
Il giovine che con tanta gentilezza di modi e di parola
presentò il Suardi al nostro Giunio, era impiegato nell'alta gerarchia della polizia
di Milano. Benché fosse noto che egli era ammesso alla famigliarità del barone
Gehausen, allora direttore di quel dicastero, e amico intrinseco del Pagani,
consigliere di governo e vicem-gerens del Gehausen, pure la sua presenza non
solo era tollerata, ma ricercata nelle conversazioni delle case più distinte e
nei crocchi degli uomini più intemerati e illustri. Per assai riguardi noi non
ne diremo il nome, quantunque crediamo che riuscirà ben facile d'indovinarlo a
quei lettori che non sono più giovani, ed hanno chi sa quante volte parlato con
lui. Di aspetto simpaticissimo ed attraente, di modi gentili ed insinuanti, di
ampio ingegno e di eguale coltura, segnatamente nelle cose della
giurisprudenza, che era stata prima e diventò poscia la sua professione, era
uno di quegli uomini che dalla natura tengono una specie di sanatoria di poter
fare tutto ciò che vogliono, senza incontrare la così pronta e inesorabile
censura pubblica. Chi avesse occupato il suo posto, anche senza il pericolo
d'incontrar l'odio altrui (perchè quel posto era nella pianta del dicastero, e
qualcuno bisognava pur che l'occupasse), sarebbe stato per lo meno gentilmente
sfuggito da quanti non amavano il governo austriaco, e guardavano il palazzo
della polizia con quell'apprensione indefinibile, ma molto simile all'istinto
onde la lepre scansa il levriere; chiunque poi avesse avute le pratiche
cittadine ch'esso aveva e fosse stato come lui tanto intimo delle persone
ch'erano in uggia al governo, certissimamente che non l'avrebbero scelto a
sedere tra il barone Gehausen e il consiglier Pagani. Ma egli aveva quel parlar
facondo lusinghiero e scorto ond'è caratteristico l'Alete della Gerusalemme,
sebbene non fosse sorto come Alete tra le brutture della plebe, chè anzi era
nato da una famiglia onestissima e stimata, e non fosse perverso e calunniatore
come quel personaggio del Tasso.
Ma il suo parlar facondo e i suoi modi flessuosi e un viso
dove pareva che la sincerità e il candore avessero posta la loro sede
preferita, facevan di specchietto incantatore con tutti, e lo mettevan tosto
nelle grazie di quanti avvicinava. Avendo fatto letture svariate, essendo
fornito di straordinaria memoria, di percezione prontissima e sagace, parlava
d'ogni cosa e in qualunque ramo, come se quello fosse l'oggetto appunto della
sua professione. Dato il caso che, per modo d'esempio,
il discorso fosse caduto sui cinti elastici, avrebbe dato da pensare anche al
Pioroni, anche al Corbetta. Questa eccezionale qualità gli metteva nelle mani
quasi a dire il biglietto d'ingresso per tutte le classi, per tutte le
professioni, per ogni qualità di persone, sapendo opportunamente toccar le
corde che oscillavano più grate all'orecchio di ciascuno. E codesto ei faceva
anche senza intenti speciali, ma soltanto per appagare un bisogno spontaneo
della sua mente e dell'indole sua.
Se ne vogliamo una prova, possiamo ottenerla subito a
proposito del nostro Baroggi.
Dopo avere intrattenuto quest'ultimo colla relazione delle
pratiche ch'egli aveva fatto presso il marchese F..., affinchè questi si
piegasse a levar la querela mossa contro il Suardi; dopo avergli detto come la
prima volta lo aveva trovato inesorabile, e la seconda invece, con sua gran
meraviglia, arrendevolissimo, al punto che gli parve avesse più volontà il
marchese di far mettere in libertà il Suardi, che questi di uscire all'aperto;
dopo aver dato le più belle speranze al Baroggi relativamente all'eredità in
contestazione pel fatto inatteso che il notajo Agudio aveva scritto una lettera
al direttore Gehausen, e un'altra al presidente del Tribunale Civile,
informandoli come egli avesse consegnati nelle mani dell'avvocato Gambarana e
dell'avvocato Falchi dei documenti importanti trovati nell'archivio del defunto
dottor Macchi, dopo aver risposto ad alcune domande del Bichinkommer, che in
quel punto erasi presentato per congratularsi e stringer la mano al Suardi:
Ma io scommetterei, concluse, che con quell'anima di poeta
che avete e coll'amore che portate all'arte e alla gloria, voi cedereste tutti
i vostri diritti alla ricchezza che probabilmente vi aspetta, per assaporare un
giorno solo di compiacenza letteraria simile a quella onde oggi esulta il
nostro Tommaso Grossi, che siede laggiù, come potete vedere, in mezzo a quella
schiera numerosa di donne che gli fanno crocchio intorno, e lo guardano e lo
esaminano e lo perlustrano da tutte le parti per vedere se chi ha scritto
l'Ildegonda, e in questi giorni ha saputo far versare tante lagrime alle nostre
belle impietosite, abbia gli occhi, o il naso, o la bocca diversi da quelli di
tutti gli altri. Sono tre dì che la novella è uscita, e l'edizione è quasi
tutta smaltita. Ben m'immagino che voi l'avrete letta e straletta.
L'albero del Conciliatore, osservò il Baroggi, sebbene
vandalicamente troncato, comincia a dare oggi frutti saporiti e maturi; in
aprile uscì il Carmagnola, in settembre l'Ildegonda. Due battaglie e due
vittorie in un anno solo, non è poco, per Dio; e non so che cosa dirà il Monti,
che vedo laggiù in carrozza in compagnia dell'avvocato Marliani.
Il Carmagnola non fu che una battaglia indecisa. Ma la
vittoria compiuta è dell'Ildegonda.
Il genio di Napoleone sfolgorò più assai nei capolavori
sventurati delle battaglie di Francia che nell'orbata fortunatissima di
Marengo.
Che cosa vorresti dire?
Ch'io vorrei aver fatto fiasco con Manzoni, piuttosto che
aver trionfato con Grossi. Mi conforta però che il campo dell'arte non è quello
della politica e della guerra. Qui l'esito momentaneo è tutto; là, se non è
duraturo, non può deporre nessun germe che fecondi l'avvenire.
Dunque voi non siete, un ammiratore dell'Ildegonda.
Immensamente l'ammiro, e mi godo che l'esito suo
fortunatissimo troncherà tutte le questioni di colpo; ma sostengo altresì che
gli elementi legittimi del trionfo completo della rivoluzione letteraria son
deposti soltanto nel coro del Carmagnola.
Potete aver ragione, ed io non m'attento di confutarvi. I
paragrafi del codice non mi danno tempo di percorrere da padrone il campo
vostro; però, senza poter percorrerlo, mi basta la vista per misurarlo, e da tutti
i sintomi mi par di vedere che in tutte le cose nostre è incominciata una
primavera novella. Guardate là a quel circolo di persone che stanno intorno al
Grossi... La combinazione ha voluto che in questo momento si trovino riuniti
tutti i portabandiera del nostro avvenire; parlo del pensiero, e delle arti, e
della civiltà.
Se mai vi fosse Manzoni, vi prego a farmelo conoscere
Il Manzoni non c'è. Ma v'è uno de' suoi più grandi amici,
Giovanni Torti; e v'è Pietro Borsieri, giovane di altissimo ingegno e che, come
saprete meglio di me, sta attendendo a un gran lavoro letterario... una
trilogia intitolata: Torquato Tasso.
Che non compirà mai. Io ebbi a parlar seco più volte, ma non
mi sembrò di trovare in lui le più legittime
qualità dell'ingegno. Ha molta memoria, molta facilità di parola, una grande
smania di primeggiare nel crocchio e di brillare contraddicendo a tutto e a
tutti. Posso sbagliare, ma costui non farà mai nulla di veramente grande in
letteratura. L'opuscolo che pubblicò qualche tempo fa, ha spolvero, e
chiacchiera superficiale; ma nulla più. All'età sua (credo bene ch'egli abbia
passato i trentacinque anni), bisognerebbe aver già dato fuori qualche frutto
maturo. Costui è uno di quelli che han l'arte di metter in movimento la fama,
facendo poco o nulla, e tenendo sospeso il mondo con grandi promesse e
colossali frontispizj. Sapete piuttosto, egregio signore, chi, a mio parere,
sarà per far parlar molto de' fatti proprj?... è Giovanni Berchet.
Anch'egli ha i suoi trentasei anni, e secondo la vostra
opinione, non avendo ancor fatto nulla, non potrà più far nulla in avvenire.
Badate però a tutto quello che ha scritto nel Conciliatore
sotto il pseudonimo di Giovanni Crisostomo, e forse sarete per dir meco ch'egli
ha già fatto moltissimo; nella sfera almeno della teoria, se non in quella
dell'esempio pratico. Ermes Visconti e lui
sono i veri evangelisti della nuova legge che si promulgò nel mondo letterario;
Manzoni è il Cristo che illumina coll'esempio,
lasciando agli altri l'incarico di dettar la legge.
Per questa parte io credo che il Visconti sia il più grande
di tutti.
Divido perfettamente la vostra opinione; ingegno
straordinario, conoscitore di tutte le letterature, acuto, penetrante,
intollerante, dalla stessa eccentricità dell'indole portato necessariamente al
novo e all'intentato, egli è forse quegli che primo gridò l'en avant a tutta la
nostra gioventù. Ma temo ch'ei sia per somigliare a quegli eroi che cadono
sotto alle mura prima che sia compiuto l'assalto; o a quegl'infusorj che
rimangono estinti nell'atto della fecondazione.
Vi sono gl'ingegni che additano, e gli ingegni che fanno. I
primi hanno il merito, i secondi la ricompensa.
Benissimo detto. Ma, senza i secondi, i primi sarebbero
inutili. A che sarebbe valso 1'Orlando del Bojardo, senza il Furioso
dell'Ariosto; a che la leggenda del Faust senza il dramma di Goethe; a che il
crescendo di Generali, senza Rossini che lo ha fatto trionfare?
A proposito di Rossini, guardate che entrò adesso Carlo
Porta.
Mi piace quell'a proposito. Carlo Porta è davvero il Rossini
della nostra poesia vernacola. Questi due ingegni si assomigliano così negli
ultimi risultati a cui portano l'arte loro, come nelle precedenze storiche che
li hanno preparati. Il Maggi, per l'originalità e la potenza dell'invenzione, è
il più grande poeta in vernacolo che mai sia esistito; come in musica il
Marcello, che viveva contemporaneo al Maggi, è il più sublime, il più originale
e il più lirico. Ma Rossini e Porta sono più trasparenti, più veloci, più
lusinghieri, più popolari. L'arte, che non è accessibile alla moltitudine,
quasi cessa di essere arte e però rimane solitaria e non compensata. Se alcuno
ci udisse, forse si riderebbe nel sentirci a mettere in compagnia Maggi e
Marcello, Porta e Rossini. Ma l'arte è sempre
la stessa, nonostante l'infinita varietà de' suoi mezzi; e chi si sgomenta dei
troppo arditi ravvicinamenti, non è nato nè all'arte nè alla critica. Ma chi è
quel caporale dei granatieri del Bellegarde, che ora sta parlando con Grossi?
È un giovanotto di Bergamo, che ha studiato musica sotto
Simone Mayr. Egli, non potendo andar d'accordo col padre, il quale non voleva
assolutamente che si dedicasse alla musica teatrale, uscì di casa e si fece
militare un anno prima della coscrizione. Il Mayr però, che è il più buon
tedesco del mondo ed è il padre dei suoi scolari, lo ha raccomandato caldamente
al general Bubna, e questi ha dato ordine che si desse tempo e modo al giovane
granatiere di scrivere pel teatro.
Ma sarebbe mai quel Donizetti, che scrisse già il Falegname
di Livonia per il San Moisè di Venezia; e che, quest'inverno, fece fanatismo a
Mantova colle Nozze in villa?
È lui appunto.
Il Falegname di Livonia l'ho sentito, ed è una musica piena
di vivacità e d'estro.
Or chi direbbe che un granatiere sì grande e grosso e
rubicondo, possa essere un maestro melodrammatico? ma la musica dev'essere
un'arte che ingrassa come il lichene. Cimarosa era tondo al pari di un pallone;
Jomelli aveva parti così colossali, che ci volevan due scranne per dargli agio
a sedere. Rossini ha un faccione sì paffuto e lucente, che non si sa capire
come abbia potuto far piangere Desdemona a quel modo, e dar tinte così
terribilmente tragiche a tutto il terzo atto dell'Otello.
Le battaglie dello spirito possono essere dissimulate anche
dalla più gioconda maschera carnale. Al genio basta anche un momento fuggitivo,
in cui gli si riveli il dolore, o un altro sentimento, per comprendere tutta
l'estensione ed applicarlo all'arte. Anzi, la condizione essenziale del vero
genio artistico è questa. Il genio è un'arpa a mille corde. Ciascuna, alla sua
volta, manda il suo suono. La luce dell'umanità si decompone nell'anima sua in
raggi infiniti, o, per dir meglio, i raggi infiniti dell'umanità vanno tutti a metter
capo nell'anima sua, che li rimanda e li riverbera e li restituisce al mondo
sotto le molteplici forme dell'arte. È a questo modo che si comprende
Shakespeare. È a questo modo che si dee comprendere Rossini.
|