XXVII
Come già fu detto, la polizia austriaca, così instancabile e
vessatrice nel sorprendere e punire le azioni che più o meno le paressero
dannose al governo, chiudeva poi un occhio, con iscopo deliberato, su tutti
quegli atti che turbavano la pace e la sicurezza cittadina. Non è possibile
ammettere che la polizia austriaca non abbia repressa e distrutta in sul primo
suo nascere la Compagnia della Teppa per aver trovato degli ostacoli insormontabili.
Come vedremo, appena lo volle, potè farlo. Ma a lei premeva di deviare la
gioventù dalla serietà della vita; e godeva che si fiaccasse nella corruzione e
nel disordine; e però, per tre anni consecutivi, permise che i placidi
cittadini fossero esposti ad ogni sorta d'insulti e di soperchierie, le quali,
se non toccavano la sfera rigorosamente criminale, offendevano però il pubblico
e privato costume, e più d'una volta furon cagione di mali assai gravi.
Nè ai reclami de' cittadini la giustizia provvide mai a
soddisfare compiutamente. A ciò s'aggiunga, che le ingiurie e le persecuzioni
di cui tante buone persone eran fatte segno, appartenevano a un ordine di cose
che insieme colla pietà provocavano anche il ridicolo.
Quindi nella maggior parte un'invincibile ritrosia a mettere
in pubblico gli scandali ch'erano avvenuti nelle tenebre; perchè più d'una
volta accadde che, portate ai circondarj le querele, i pubblici funzionarj, per
quanto fossero onesti e disposti a far giustizia, non seppero sempre
comprimere gli scoppî di risa, allorchè gli offensori, quasi tutti giovinotti
senza pensieri e senza cure, pieni di salute e di allegria e di comica
giovialità, esponevano le loro storie di fatto, a rettifica delle querele
avversarie; onde succedeva che, a processo chiuso, chi aveva avuto il danno in
segreto, non avea ottenuta altra soddisfazione che di trovare anche le beffe in
pubblico. Per questa condizione di cose, i disordini vennero ad aggravarsi ed a
moltiplicarsi sempre più. Quasi tutta la
gioventù di Milano, quella eziandio che era portata alla vita ragionevole e
tranquilla, trovò opportuno di aggregarsi alla Compagnia della Teppa, se non
foss'altro, per essere rispettata dai colleghi prepotenti; laonde sempre
più vennero a mancare i difensori alle persone oltraggiate. Una tale comodità
imbaldanzì ad affrontar imprese d'un ordine più pericoloso e più alto; si pensò
a maltrattare anche persone distinte; si concertarono vendette d'ogni genere,
contro uomini e donne della classe ricca e patrizia; se non che, per fortuna,
la famigerata compagnia, in questo medesimo eccesso, venne a trovare il germe
della propria distruzione. E un fatto curioso è da notare, che negli ultimi
mesi della sua vita, per insinuazione dei migliori, tra' quali il Bichinkommer,
essendosi voluto assegnare qualche scopo utile alle imprese bizzarre e
violenti, e quasi tentar di giustificare col fine l'iniquità dei mezzi, questa
per avventura fu la causa principalissima che le diede il tracollo, perchè
avendo essa preso di mira alcuni uomini tristi e potenti, incontrò in essi
quella reazione valida e distruttrice che non trovò mai nel tribolare il
prossimo innocente e tranquillo. Tra le ultime imprese bizzarre e comiche, ma
nel tempo stesso violenti e turpi, quella che abbiamo incominciato a raccontare
fu probabilmente la più efficace ad accelerare il suo termine; e fu
precisamente allora che si adoperarono i mezzi più strani ed iniqui
coll'intento di fare la giustizia più generosa.
Il rapimento del nano fiorajo della via dei Pennacchiari e
la sua deportazione alla Simonetta, suggerì dunque a quei capi strani il ratto
dei nani più noti e più velenosi che possedeva Milano. La caccia durò qualche
tempo; le imboscate furono molte; i nani celebri, i quali sapevano che si
volevano metter le mani su di loro, giocarono per un pezzo di astuzia onde
involarsi e trafugarsi; ma i monelli della città tenevan bordone alla
compagnia, e al pari dei levrieri e dei bracchi che avvisano il cacciatore
della presenza del selvatico, svelavano il nascondiglio dei nani inseguiti, il
come e il quando ne uscivano, e, colto il punto, eran tutti addosso, come sul
cignale, quando, tentato e ritentato, finalmente sbuca infuriato dal covo.
Allorchè i compagnoni ebbero messo insieme una cacciagione di una dozzina di
nani, pensarono di non farne altro, e di raccoglierli tutti in un luogo solo
per dar loro un lauto banchetto, e poi rinviarli in pace alle loro dimore. Ma
il Bichinkommer fu causa che di quella schiera di gnomi si cavasse un partito,
e si venisse in seguito a stabilire il modo onde poter dare una pratica
applicazione a quella stramberia che non aveva nessun fine in se stessa.
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