IV
La contessa Clelia era sola nella sua stanza da letto, di
cui gli addobbi e gli ornamenti, sovraccarichi di sfoggiata ricchezza, fuor
delle leggi del buon gusto, è più facile che un uomo d'immaginazione se li
dipinga, di quello che li descriva un galantuomo di null'altro temente che di
riuscir nojoso a' lettori. - Tuttavia in quelle linee contorte e peccaminose
del barocco, e in quell'oro condensato senza risparmio in forme d'ornamenti,
c'era qualcosa che poteva parlare alla fantasia, e tanto più in quanto in mezzo
ad essi spiccava una donna così severa e così bella, bella di quella bellezza
di rigida perfezione che lascia placidissimo il cuore, ma che provoca lo
spirito d'osservazione in menti avvezze ad esaminare le opere dell'arte. Pure
non si potea dar figura che fosse meno adatta a quella stanza; chè l'una e
l'altra rappresentavano due stili di due periodi opposti e nemici tra loro. Il
volto della contessa apparteneva a quello stile greco-romano che non sopporta
transizioni di scuola; e siccome in quell'ora in cui vegliava, ella si era
lasciata cadere l'alta acconciatura de' capegli, dai quali, ravviati un momento
prima dalla cameriera, era scomparsa anche la cipria, così a quelle volute
contorte del Borromini e del Fumagalli faceano più cruda antitesi quella fronte
quadra, quei piani delle guancie modellati a rigore, come quelli d'un cammeo
antico, quel mento romano che richiamava il mento appunto della Clelia, quando
passa il Tevere, disegnata dall'improvvisatore Pinelli, quel naso rigorosamente
giusto e ad angolo retto, il quale insieme cogli occhi grandi e neri e di lento
giro, e colle palpebre prolisse e co' sopraccigli arcuati e folti, più forse
che nol comportasse la delicatezza muliebre, generava quel tutto che sarebbe
necessario a dipingere una Minerva convenzionale. Occhi tuttavia e sopraccigli
e palpebre, che pur di sotto al rispetto quasi disgustoso che imponevano, e alla
fuga in cui mettevano ogni pensiero giocondo e gaio, potevano, in certi momenti
e a seconda di certe nature, provocare strani pensieri e sommovere il senso
voluttuoso.
La fronte però, quasi sempre
corrugata, di quella gentildonna e certe protuberanze che, preziose sotto alla
mano del frenologo, recano sempre offesa alla
completa bellezza per l'occhio dell'artista, potevano venir in soccorso onde
spegnere la seduzione. - Ma da quella fronte, senza saperlo, i rigidi parenti
(di cui, per esser fidi ad un sistema di prudenza, sopprimeremo al solito il
nome del casato), avean preso consiglio per dare alla fanciulla Clelia una
educazione che fosse distinta oltre il consueto, a ciò poi singolarmente
sollecitati da un dottissimo abate, un tal Carlantonio Tanzi, stato precettore
al fratello della contessina, il quale, non trovando più nessuno a cui
comunicare la sua dottrina, pensò fare di lei un oggetto di esercitazione
scientifica pe' suoi vecchi anni, e una meraviglia del gentil sesso. - Ad ogni
modo, l'abitudine di introdurre le fanciulle a discipline non fatte pel sesso
grazioso, nel secolo passato, secolo delle esagerazioni e delle cose a
rovescio, fu comune più che non si creda. - Era il barocco applicato
all'educazione, per cui alle fanciulle si gonfiavano le teste a spese del
cuore, e si riduceva la scienza a ricovrarsi per forza all'ombra de'
guardinfanti. Molte donne, nel secolo passato, studiarono filosofia,
giurisprudenza, matematica; talvolta, qualche stragrande ingegno, fece parer
sapienza cotale pazzia, e valga per tutte quel prodigio della Gaetana Agnese;
ma più spesso furono anomalie di sterilissima dottrina, rigonfiata da orgoglio
infelice. La contessina Clelia pertanto, dal dotto abate che non aveva cavato
nessun costrutto dal fratello di lei, fu incaricata di far le sue veci e di
rappresentarlo al consesso dei dotti. - A dieci anni la contessina, oltre alla
lingua francese, che si parlava abitualmente dal conte padre, il quale tante
volte s'era trovato a Parigi confuso nella folla dei cortigiani del gran Luigi,
conosceva la lingua latina; e il prof. Branda, quello col quale ebbe accanite
dispute il giovane Parini, fu invitato dal prete Tanzi a sentir la contessina
Clelia tradurre l'orazione di Cicerone Pro Archia e il Sogno di Scipione, e
recitar a memoria uno squarcio di Lucrezio De rerum natura. Non istupisca il
lettore: chè Voltaire mandava già il figurino da Parigi; e il professor Branda,
lodata al conte padre la contessina miracolosa, consigliò l'abate Tanzi ad
insegnarle anche la lingua greca... e la lingua greca fu imparata; poi
quand'ella ebbe sedici anni, apprese matematica insieme col giovane Paolo
Frisi, quello che fu in seguito autore del trattato De gravitate universali
corporum, e in questa scienza, ajutata da un naturale ingegno e sollecitata da
quelle prove di distinzione onde si vedeva circondata ogni qual volta trovavasi
colle altre fanciulle patrizie sue coetanee, fece tali progressi, che fu
introdotta persino all'intima confidenza di Urania; di modo che nella notte a
cui ci troviamo, quantunque la contessa pensasse assai più di quello che
leggesse, pure si teneva sul tavoliere di lapislazzulo, insieme coll'opera di
Boscovich - De maculis solaribus, e all'altra d'Eulero Novæ tabulæ astronomicæ,
il famoso trattato sulla processione degli equinozj, che d'Alembert aveva
pubblicato due anni prima; del qual d'Alembert ella sapeva tener dietro, senza
scontorcersi, alle dimostrazioni; tantochè avrebbe potuto ripetere ad un
consesso di dotti, come gli assi dell'ellisse descritta dal polo dell'equatore
sieno fra loro come i coseni dell'obliquità dell'eclittica ed i coseni del
doppio di questa obliquità. Ma i coseni dell'obliquità dell'eclittica non
bastavano a render felice una bella donna di venticinque anni. Sette intanto ne
eran corsi da che era stata fatta sposa all'ex-colonnello conte V..., senza mai
averlo veduto prima, senza avere dell'amore e delle questioni aderenti, altre
idee che quelle che sono depositate ne' classici latini; idee che non poterono
avere uno sviluppo intero, compresse come vennero dall'algebra e dalla
geometria, due scienze più infeste della brina ai primi germogli dell'affetto.
Sposò dunque l'ex-colonnello che aveva quattordici anni più di lei. Egli
vantava un gran casato, una grande ricchezza, e brillavagli inoltre sull'uniforme
di parata un segno che attestava il suo valor militare. Era serio, era
dignitoso, parlava poco, ma dalle poche parole trapelava la stima profonda che
aveva della giovinetta prodigiosa. Ond'ella, quando i rigidi parenti proposero
il matrimonio, consentì e provò anche qualche sussulto che non veniva nè dalla
geometria nè dall'algebra, ma fu un sussulto di brevissima durata, e la scienza
dovette colmare i vuoti lasciati dall'affetto vero. D'altra parte è a tener
conto d'una cosa. Non tutte le creature umane raggiungono la maturanza un punto
medesimo. L'abitudine agli studi severi, quel non riposarsi mai su pensieri e
desiderj erotici, aveva ritardato il completo sviluppo della contessa. Fu
necessario il tempo, più che il sole di un'anima appassionata, a togliere
l'acerbità a quel frutto. La giovane contessa era alta, era ben fatta, era
bella - parliamo d'allora che andò a maritarsi - ma le mancava quell'arcana
virtù della donna, che non si sa da chi e da che, e come e quando venga
provocata.
Noi non possiamo dire precisamente in qual periodo della
vita della contessa Clelia abbia incominciato codesta misteriosa virtù, ma pare
che sia stato tra l'anno ventiquattresimo e il ventesimoquinto della sua età;
nessuno però s'accorse di questo, perchè nessuno poteva sospettare che fosse
una virtù l'eccessiva acerbità ond'ella esprimevasi parlando sia cogli uomini
sia colle donne. Un fatto solo notarono tutti, e uomini e donne: ch'ella era
cresciuta in beltà. S'era fatta più maestosa nel volto, s'era arrotondata ne'
contorni del corpo, soltanto negli occhi era diventata più seria. Del resto,
chi mai non potesse capacitarsi del come una donna possa essere più bella a
venticinque anni che a diciotto, sappia che la contessa Clelia non aveva mai
avuto figli; e che i parti e il latte guastano un bel corpo di donna più che i
classici latini e i trattati d'astronomia. Quantunque però crescesse di
maestosa bellezza e di attraenti rotondità, non per questo nessuno presumeva
che la gioventù galante le si facesse dappresso. Ella non era che ammirata
quando non era temuta, ed era temuta quando non era odiata; chè vi sono tali
beltà a questo mondo, sia maschili sia femminili, che raccolgono tanto meno
quanto più hanno di perfezione nel loro aspetto. Sono conquiste considerate al
di sopra di ogni forza volgare, epperò lasciate in disparte come imprese
disperate; donne condannate tutta la vita a desiderare e ad essere desiderate,
a tormentare e ad essere tormentate per finire i vecchi anni tra le
reminiscenze di una gloria vanitosa senza felicità. Nessuno adunque dei bei
giovani di Milano osava avvicinarsi alla contessa, quantunque taluno de' più
audaci sì fosse azzardato persino a dire all'amico: Che bella donna!! Nè è da
credere che facesse paura il grave e superbissimo suo marito ex-colonnello,
tutt'altro: la paura non veniva che dalla maestà soverchia della bellezza di
lei, e da quelle parole piene di sapienza riposta ond'ella faceva ammutolire
tutti quelli che le si avvicinavano, e dal sospetto ch'ella fosse più sapiente
ancora di quello ch'ell'era. Ma come potè adunque un tenore?... Noi stavamo in
aspettazione di questa domanda, però la soluzione del problema eccola qui.
Nel famoso 18 brumajo, Bonaparte, che pure era passato
imperterrito attraverso alla flottiglia inglese, fidente nel proprio destino,
per giungere in tempo a Parigi onde recarsi in mano le redini di tutta la cosa
pubblica; quando si trattò di abbattere il Consiglio de' cinquecento, si smarrì
e parve minor di sè stesso, e nessuno de' suoi coraggiosi fautori, nemmeno il
fratello Luciano, avrebbe osato disperdere quel formidabile Consiglio. - Chi
seppe far tanto? Colui che aveva men testa di tutti, colui che ripeteva il suo
coraggio dalla spavalderia militaresca, e affrontava il pericolo per non
saperne misurar le conseguenze. Fu Murat, che, alla testa de' suoi granatieri,
a bajonetta in canna, entrò nel Consiglio, e i membri dovettero discendere
dalle finestre... con che le sorti di Napoleone furon fermate. I grandi fatti
giovano a spiegare i piccoli, e viceversa, però la contessa Clelia che riusciva
a' cavalieri milanesi più formidabile del Consiglio dei cinquecento, non fece
nessuna paura al tenore Amorevoli, il quale anzi s'incalorì delle difficoltà, e
fatto baldanzoso dalla lunga lista de' proprj amori fortunati e reso
intraprendente dalle sopracciglia folte della contessa che gli richiamavano le
sue belle compatriotte di Trastevere (perchè il tenore Amorevoli era nato a
Roma), fece quello che fece poi Murat, mezzo secolo dopo, col Consiglio dei
cinquecento.
Nelle serate musicali che si tenevano o nell'una o
nell'altra delle case patrizie di Milano, Amorevoli era pregato, supplicato a
intervenire, ad imbalsamar tutti quanti col suo dolcissimo canto. La contessa
Clelia, come di prammatica, era sempre
intervenuta a quelle serate, e ad onta dell'algebra che le faceva usbergo al
cuore, si sentì penetrare da quella voce, nè fu la sola a subire quel fascino.
Tutte le gentildonne leggiadre che si trovavan là a bever l'onda soave,
avrebber battuto moneta falsa per quel fatal Romano, il quale le saltò via
tutte e s'accostò alla sola contessa Clelia. - Amorevoli non era uomo di
sterminato ingegno - nessuno durerà fatica a crederlo; - non era troppo forte
in letteratura - nemmen questo è improbabile; - anzi bisognava si facesse ajutare
per afferrar bene il concetto dei paragrafi de' contratti teatrali, e più
ancora per comprendere alcune strofe dei libretti di Metastasio; ma l'arte di
far all'amore è appunto un'arte, e non una scienza; è in essa che l'istinto va
innanzi a qualunque studio, e l'istinto conosce le vie segrete e le percorre da
padrone; d'altra parte Amorevoli non mancava d'una certa drittura naturale, e
quando parlava, parlava bene e con quell'accento là dei romaneschi...; lingua
toscana in bocca romana... il proverbio è antico, e i proverbj sono la sapienza
del genere umano... e la verità di quel proverbio riuscì fatale alla
contessa... Infelice!!
Perfino il gobbo Tacchinardi, gobbo e vecchio, fece impazzir
qualche donna col veleno imbalsamato della sua voce: pensi or dunque ognuno che
brecce doveva aprire Amorevoli, giovine di ventisei anni, bello, elegante, con
certi occhi in cui la penetrazione pareva nuotare nella voluttà, con una voce
che, anche allora solo che parlava, era già musica, e con quegli accorgimenti
del serpe flessuoso che avvolge e stringe pur continuando a dispiegare la pompa
della sua variopinta veste. Così la scienza fu investita dall'ignoranza, e la
matematica fu messa a giacere dalla melodia. - Il lettore non può immaginarsi
il dolore che noi ne proviamo.
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