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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMONONO
    • XXXI
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XXXI

Milano, nel principio di questo secolo, forse per essere stata la capitale del regno italico, ebbe il privilegio di raccogliere in i prototipi dell'intelligenza italiana in tutte le sue sfere e manifestazioni, dall'alfa all'omega, dalla testa ai piedi: da Vincenzo Monti e Romagnosi e Sabatelli e Appiani e Carlo Porta, ecc., sino al calzolajo Ronchetti, prototipo dell'intelligenza operaja, dell'onestà plebea, dell'espansione popolana. È noto come questi, nato a Parabiago, per infortunj domestici sia stato costretto a riparare a Milano, e qui, sotto la scorta di una madre tanto bella quanto virtuosa, per trovar pane pronto, abbia dovuto acconciarsi alla professione di calzolajo, la quale per sua virtù meritò quasi di ottenere un posto nell'Istituto e nell'Accademia delle Belle Arti; dell'Istituto di Scienze, perchè coll'invenzione delle forme e con appositi congegni consolò le conformazioni viziate, le perfide gotte, i calli inclementi; dell'Accademia, perchè, facendo risaltare tutta la bellezza che può avere la linea di un piedemaschile come femminile, l'occhio imparò ad innamorarsi di qualche cara persona cominciando dai piedi, invece che dalla testa.

Ma, lasciando da parte la calzoleria, ciò che rendeva distintissimo il Ronchetti era la svegliatezza del suo ingegno, e l'amore quasi febbrile per tutto che v'è di grande tra gli uomini, le idee e le cose: per codesta qualità, siccome egli ambiva di avvicinare le persone più eminenti del suo tempo; così queste facevano a gara nell'avvicinar lui, nel complimentarlo, nell'esaltarlo; i poeti gli mandavavano le loro opere; i pittori e gli scultori le produzioni del loro pennello e del loro scalpello; gli alti dignitarj lo onoravano di lettere; così che la raccolta degli autografi posseduti dal Ronchetti parrebbe quella di Voltaire, dell'Algarotti, di Talleyrand, di Nesselrode; tanto è vero che un primato, qualunque sia la sfera delle umane discipline, può mettere un individuo al livello e al disopra di chicchessia. Aveva ragione il ciabattino del Giulio Cesare di Shakespeare, quando esclamò, pieno di giusto orgoglio: "Io sono il primo cittadino di Roma; tutta Roma passeggia sull'opera delle mie mani". Ma, tagliando corto, la sua umile casetta fu scelta anzi da lui stesso, tanto amava il progresso e il bene del paese, fu esibita per conventicolo segnatamente dagli operaj ed industriali, e di quanti s'erano incaricati di fare entrare anche costoro nella santa impresa di rigenerare la patria comune. In quella sera molti eransi raccolti, compresi il padre Ronchetti e il maggiore dei suoi figli, ancora adolescente, ma di tale ingegno e di tempra così severa, che quanti lo conoscevano tra i Federati frequentatori della casa Ronchetti, permisero che anch'egli assistesse alle conferenze.

E noi adesso, come parrebbe farci invito l'argomento, non ci dilungheremo a parlare dei Federati, della loro origine e dei loro intenti. Sul movimento italiano fu parlato con tanta abbondanza e da tanti autori, che non c'è lettore, per quanto scarsamente istruito, che non ne conosca tutte le vicende e le fasi principali. Qualche cosa però, che non è senza importanza, fu omessa nelle opere stampate. La conferenza, per esempio, che si tenne quella sera in casa Ronchetti, e che a noi fu riferita oralmente dal Bruni che vi assistette, mette in luce qualche fatto sfuggito altrui; ed ecco perchè amiamo accompagnarci colà insieme col Baroggi.

 




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