XXXII
Dopo i preliminari d'ordine e dopo alquanti discorsi vaghi e
varj, Giunio Bazzoni, che trovavasi là insieme col Marliani, col prete
Camisana, che fu poi vice-prefetto del ginnasio di Sant'Alessandro, e con altri
giovani ingegni i quali volevano che il progresso si facesse forte
attraversando le vie delle classi operaje, così prese a parlare:
"Siccome alcuni son d'opinione che a scacciare i
Tedeschi è cosa facile, e che tutto il difficile sta nel trovare gli uomini che
poi sappiano governare il paese, così, in più conferenze tenute in casa del
conte, abbiamo passato in rivista tutti i nostri uomini più distinti, e, fatte
le debite valutazioni, e tenuto conto di ciascuna specialità, siam venuti
redigendo questo elenco della reggenza o governo provvisorio, come lo volete
chiamare, che dovrà succedere al governo austriaco, appena questo sarà decaduto.
"Ministri per gli affari esteri sarebbero dunque il
marchese Giorgio Trivulzio e il conte Federico Confalonieri. Per gli affari
interni l'avvocato Carlo Marocco e il consigliere aulico Paolo De Capitani. Per
la giustizia e la legislazione il consigliere Alberti e il Bellani. Per le
finanze il Pecoroni. Per la guerra il colonnello Arese e il Locatelli, già
commissario generale nel ministero della guerra. Pel culto monsignor Sozzi,
vicario della Metropolitana.
"Per la sicurezza pubblica si è pensato al barone
Smancini, già prefetto del dipartimento dell'Adige; oppure al Luini, già
direttore generale di polizia. Segretari degli ordini e della corrispondenza
sarebbero poi Carlo De Castillia, Pietro Borsieri, ora protocollista di
consiglio all'Appello, Tagliabò e Berchet."
Il Bazzoni fece pausa, e invitò gli astanti a fare le loro
osservazioni. Allora sorse il Baroggi, e disse:
"Non si può negare che quest'elenco sia stato redatto
con sapienza e con sufficiente cognizione degli uomini, ma mi sembra
che siasi data più importanza alla posizione già occupata dai diversi nominati,
all'alta loro condizione sociale e alla ricchezza, che alla prevalenza
dell'ingegno, avuto riguardo segnatamente a coloro che godono già di una gran
fama in Europa e in Italia. Mi fa senso, per esempio,
come pel ministero di giustizia e legislazione, nessuno abbia pensato a
Romagnosi, per i consigli e l'assidua collaborazione del quale il mediocrissimo
Luosi sembrò l'ideale del giustiziere; e invece
che a lui, siansi gettati gli occhi sovra un semplice
amministratore d'ospedale. Non comprendo perchè siasi dimenticato il barone
Custodi, tanto amato e stimato da Pietro Verri, e il quale fu presidente del
Magistrato camerale e l'innovatore più coraggioso, più fecondo e più utile che
abbia avuto la Lombardia in tutto ciò che riguarda l'erogazione della ricchezza
pubblica. Il consigliere Pecoroni è un uomo di pratica e non di teoria, e se la
seconda non va senza l'ajuto della prima, negli alti ordini dell'amministrazione
finanziaria non è possibile che chi è sprovveduto di apparato scientifico
riesca mai a far cose grandi. Così come non comprendo l'omissione del Romagnosi
e del barone Custodi, non comprendo la dimenticanza di Melchiorre Gioja.
"Del ministero della guerra non parlo, perchè bisogna
star paghi di quello che si ha in casa; non parlo dell'interna amministrazione,
per la quale però l'avvocato Marocco e il De Capitani mi sembrano
più che sufficienti. In quanto al culto, perchè far capo a monsignor Sozzi? Non
sarebbe forse più adatto il professor Prina dell'Università di Pavia o il
consiglier Giudici? Un'altra ommissione mi fa senso, ed è quella del ministero
importantissimo d'istruzione pubblica. C'è forse mancanza d'uomini per questo?
Vincenzo Monti è forse morto? Ermes Visconti non ha forse dato il più vigoroso
impulso a tutta la nostra gioventù studiosa? Dunque io penso che si debba
provvedere anche ad instituire il Ministero della pubblica istruzione.
Di tutte queste osservazioni sarà tenuto conto, rispose il
Bazzoni, e le svilupperete di nuovo in una delle adunanze generali. Ora vi
leggerò l'elenco della guardia nazionale.
"Il comandante in capo sarebbe dunque ancora il
marchese Annibale Visconti; l'Arese il quartier mastro generale; colonnelli
sarebbero il cavalier Vacani barone di Fortolivo, Galeazzo Fontana, Bianchi
d'Adda e Litta Pompeo; tenenti-colonnelli, i banchieri Soresi, Ciani e
Ballabio; capi-battaglioni, il marchese Arconati, D. Benigno Bossi, Emilio
Belgiojoso, Renato Borromeo, Giorgio Pallavicini e Raffaele Bossi; capitani
sarebbero, tra gli altri, il visconte d'Aragona, Leopoldo Incisa, il Prinetti,
figlio del banchiere, i due Negri banchieri, il Manzi, il Zoppis, il figlio
dell'avvocato Marocco, ecc., ecc."
Dopo alquanti commenti fatti dal Bichinkommer, perchè aveva
appartenuto alla milizia, sul carattere e sui meriti degli ufficiali superiori
della guardia nazionale, la conferenza politica si sciolse in una conversazione
comune, e il discorso cadde segnatamente sugli ultimi fatti della Compagnia
della Teppa.
Pur troppo, disse il Baroggi, questa compagnia, alla quale
io e molti di quelli che stanno qui apparteniamo, in questi ultimi tempi
raggiunse l'estremo della prepotenza, dell'arbitrio e della violenza.
"Al pari di molti uomini generosi, i quali rimediarono
alle intemperanze della gioventù colla virtù, coi nobili propositi e con altre
imprese degli anni maturi, così dovremo fare anche noi. Propongo pertanto si
conducano le cose in modo che un massiccio numero di compagnoni si riunisca in
uno dei soliti convegni, per tentare di dare un nuovo indirizzo alla nostra
esistenza. La Società dei Federati ha bisogno così delle forti intelligenze
come delle braccia robuste e dei cuori imperterriti. Nella nostra compagnia vi
ha un gran numero di giovani che, bene indirizzati, potranno essere di gran
vantaggio alla patria comune. E con queste parole, se l'egregio Bazzoni lo
vuole, possiamo chiudere l'adunanza di questa sera."
Ed essa si chiuse di fatto, e tutti uscirono e si
dispersero.
E in quella sera, nell'umile casa dell'ottimo Ronchetti, con
quell'adunanza si venne a rappresentare la crisi che subiva la società milanese
in quel periodo storico. I membri della Compagnia della Teppa, che pure si
erano ascritti alla Società dei Federati, rappresentavano in sè medesimi la
lotta tra gli sforzi di un governo che voleva portare in tutto la corruzione, e
l'elemento antico, indistruttibile, ognora risorgente sotto la medesima
pressione della tirannide, che si opponeva a questi sforzi con altrettanti e
più tremendi; e che a lungo andare dovevano rimaner vittoriosi sul troppo a
lungo conteso campo di battaglia.
Se non che, i rimedj che il Baroggi allora aveva proposti,
riuscirono intempestivi. Gli ultimi arbitrj, probabilmente il fatto enorme
delle dame disonorate provocò una tale tempesta, che il governo e la direzione
della polizia stabilirono finalmente di distruggere quella compagnia con un
colpo improvviso e decisivo. Allora fu manifesto che l'autorità non aveva mai
voluto quello che poteva, perchè in una giornata sola fece eseguire l'arresto
di più che sessanta individui, i quali, per mancanza d'altro locale adatto,
furono in prima tutti chiusi nel convento di San Marco, e in seguito inviati a
Szegedin e a Komorn, o costretti al servizio militare. Altri molti arresti si
compirono dopo, a non contare un numero straordinario di giovanotti che,
avvisati in tempo, ripararono altrove fuggendo. In quanto al Baroggi, una
mattina il suo amico e tutore Giocondo Bruni ricevette un letterino, non
firmato da alcuno, nel quale gli si raccomandava di far fuggir lui e i suoi
amici. Baroggi conobbe, esaminando la lettera, il carattere del segretario di
governo presso la polizia, che aveva agevolata la liberazione del Suardi.
Esso pertanto lasciò Milano, e il Bruni venne a saper poi
che il conte Alberico B...i aveva ajutato il marchese F..., facendo ciò che il
marchese per se stesso non avrebbe mai voluto fare. Quale altro dei compagnoni
della Teppa, sotto colore di essere indignato di tanti scandali e di sentir l'obbligo
di farli cessare, in una conversazione tenuta nel palazzo del governatore,
parlando col consiglier Pagani e simulando di raccomandargli molti giovani sui
quali la polizia avrebbe potuto far pesare la propria severità, li venne
nominando tutti, e calcò principalmente sul Baroggi, il solo che gli premeva
fosse tolto di mezzo, e per odio del quale non ebbe ribrezzo di commettere
quella vile perfidia.
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