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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMONONO
    • XI
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XI

Di questo personaggio abbiamo già avuto un abbozzo fatto alla sfuggita dal signor Giocondo Bruni. Ora tocca a noi, se ci riuscirà, a farne il ritratto compiuto.

Vi sono famiglie, segnatamente patrizie (e ciò per la ragione che dànno più nell'occhio, e il pubblico ha il modo di seguirle coll'attenzione), nelle quali s'è potuto notare, essere ereditarie certe tempre di carattere, certe qualità morali, certe attitudini d'intelletto. La dinastia sabauda conta una serie non interrotta d'uomini di studio. La casa Capponi, da colui che fece cader la cresta dello spavaldo Carlo di Francia al vivente Gino, non annovera che uomini di gran senno e di gran propositi.

In casa Belgiojoso si può far conto del perfetto gusto musicale, delle voci di basso e di tenore sempre avvicendate e di una intonazione impuntabile, che in questi tempi può diventare un oggetto d'affezione. In certe case è

D'età in età

Ereditaria

L'asinità.

In alcune l'avarizia, in altre la prodigalità; in queste l'orgoglio, in quelle la modestia, ecc. ecc. Il contino Alberico B...i nacque in una casa dove dal capostipite fino a lui si alternarono, col sistema delle piastrelle e della pila voltaica, un birbone d'ingegno e un birbone volgare; un ramo pronunciatissimo di pazzia esaltata dalla protervia era poi stato comune a tutti, e fu, come il cartone bagnato, mantenitore della corrente elettrica. Il contino, fin da ragazzo, a chiarissimi segni mostrò di non essere un bastardo; mostrò di poter appartenere alla classe dei birboni volgarissimi. Manesco e crudele coi fanciullini più piccoli e più deboli di lui, per trafugar loro un balocco, fu colto spesso dai servitori e dall'ajo a commettere tali atti da far raccapricciare, e quando questi venivano riferiti alla madre, piuttosto severa, allora dava saggi così cospicui d'indole bugiarda, che non era possibile cavargli di bocca la verità nemmeno a strozzarlo. Ma, ciò che è peggio, questa sua avversione a confessare la verità non si limitava a difendere stesso, ma invadeva il campo dell'invenzione; per vendicarsi, si godeva a raccontar cose gravissime a danno dei servitori, e con tale malizia e astuzia, che, a tutta prima, non era possibile negargli fede; quindi, più d'una volta, accadde che qualche servitore venne scacciato, che qualche frequentatore della casa si vide, senza poter mai indovinare il perchè, male accolto dai padroni, e anche messo alla porta.

Collocato in un collegio di gesuiti, primeggiò fra i condiscepoli per una memoria straordinaria. Delle facoltà dello spirito, in quell'età che esse si spiegano e si sviluppano, diede poi a divedere di non avere di distinta che quella sola; le altre erano tutte mediocrissime. Però, quando fu a quel punto degli studi che non basta soltanto imparare e ritenere, ma bisogna produrre; più di un condiscepolo lo sopravanzò e di molto; e allora quell'orgoglio, che in lui non aveva potuto destarsi prima, balzò fuori di colpo, e insieme coll'orgoglio anche l'invidia; bugiardo com'era, e in quel modo più infesto che abbiamo detto dianzi, mise sovente i condiscepoli in gravi condizioni al cospetto dei maestri. Scoperto, ebbe più d'una volta, dai compagni più generosi e più espansivi, delle formidabili tambussate, ch'egli subiva a capo chino senza far motto, per rapportare poi tutto ai superiori. In un collegio di gesuiti poteva essere tollerata la bugia, la calunnia, la viltà, la denunzia; ma i cazzotti dati a buona guerra non potevano figurare mai nella tabella delle cose permesse: onde esso riusciva sempre a trionfare, e i generosi a portar sempre la pena di tutto.

Uscito di collegio, passato all'università, risparmiato dalla coscrizione militare per esser figlio unico; studiò legge dapprincipio, poi si ascrisse alla facoltà medica, sollecitato non già dal nobile amore della scienza, ma da un intento stranissimo e turpe, che noi non troviamo la parola per poter definirlo. Egli nella sala anatomica si pasceva della vista dei cadaveri muliebri sottoposti alla sezione; l'indole sua simulatrice bastò a nascondere ai condiscepoli quella orrida sua bramosia; perciò un suo compagno, osservatore acuto, lo chiamò la satiriaca jena. E questo fu l'altro istinto che si sviluppò tra gli anni dell'adolescenza e della giovinezza; "chè ad ogni fase della vita era destino che gli desser fuori tutte le prave tendenze onde, nei tristi, ciascuna età dell'uomo può essere contaminata. Fu dunque un libertino dei più dissoluti e osceni, e dello spettacolo delle donne andavapreso, che le divorava cogli occhi, e i suoi occhi assomigliavano, nella movenza maligna e procace e in quel senso d'ineffabile disgusto che eccitava, a quelli dell'ourang-outang e del mandrillo. A ventun anni s'invaghì d'una bellissima giovinetta di nobile casato. Il suo non fu l'amore che deriva dalla squisitezza del sentimento; ma quel furore voluttuoso fatto di grascia bollente; quel furore ributtante che, in alcuni quadri barocchi, vediamo nei fauni che inseguono qualche ninfa.

Siccome era profondamente dissimulatore, e nel collegio dei gesuiti aveva condotta all'ultima perfezione quella sua qualità, così nella casa di lei recitò così bene la parte di bravo giovine, che alla fanciulla non dispiacque del tutto, e i parenti furono contentissimi di dargliela in isposa, quand'egli ne fece la domanda. Povera giovinetta! Un canarino gentile dato in dono a un fanciullo perverso, che in sul primo lo accarezza e lo bacia per la novità, poi gli strappa la coda, poi gli spenna le ali, poi gli cava un occhio con uno spillo, può dare qualche idea del come si trovò quella disgraziata nelle mani di quel tartufo maniaco inferocito. Di tal modo ella visse con lui cinque anni, e, per sua fortuna, morì di febbre perniciosa. Egli stette solo per assai tempo, durante il quale gettò dietro alle donne danari a manate; poi, venutogli un altro capriccio indomabilmente rapido, prese in moglie un'altra giovine e ricca. Contava allora ventisette anni, e di fresco aveva accresciuto l'asse paterno, alquanto dilapidato, coll'eredità di un grosso milione. Questa seconda moglie era di carattere altero e forte, ed a coloro che si fecer lecito di dirle, si guardasse bene di unirsi a quella bestia feroce, rispose: la domerò io.

 




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