XX
Il Baroggi non aveva finito di pronunziare il nome di
Rossini, che la banda del reggimento Bakony, per indulgenza al gusto pubblico,
si mise a suonare la sinfonia della Gazza ladra; diciamo per indulgenza, perchè
il maestro direttore di quella banda, cresciuto alla scuola esclusivamente
germanica e alla frazione di quella scuola stessa che farebbe inscrivere la
disciplina dei suoni tra i rami della facoltà matematica, detestava Rossini, e perchè
questo, alle prove della Bianca e Faliero, colla sua celia mordace lo aveva
preso di mira, e aveva fatto ridere alle sue spalle tutto il palco scenico.
Allorchè si fu al passo di carattere della celebre sinfonia, dove
l'immaginazione, la forza, l'eleganza, la grazia si fondono in quel complesso
maraviglioso, non raggiunto fin qui che da Rossini, e, mettendo in
effervescenza il sangue, par che comunichi allo spirito insolite attitudini:
Ecco l'arte, esclamò il Baroggi, alzando gli occhi e
sorridendo coll'esaltazione dell'ebbrezza; ecco l'arte, l'arte vera, l'arte
sola; quella che, costringendo a commuoversi anche il maestro della cantoria
del Duomo, perchè i sensi non hanno scuola nè sistemi e si esaltano a loro
beneplacito senza domandare il permesso a nessuno, arriva ad agitare, senza che
ne abbia neppur la coscienza, anche il facchino di dogana, anche il beccajo. Se
l'arte non arriva a tenere nel proprio dominio gli estremi della scala
intellettuale dall'alfa fino all'omega, è una cosa bastarda, che importuna i
galantuomini, e non ha nessuna ragione di essere; un maestro che tedia e
disgusta e tormenta gli uditori in nome della dottrina e del diploma ottenuto
dal padre Mattei, vorrei che fosse contemplato da qualche paragrafo del codice
penale.
Così parlando, si misero a passeggiare in su e in giù pei
viali, in mezzo alla folla ognora crescente, tra la quale incontrarono Pompeo
Marchesi.
Addio, Giunio.
Addio, Pompeo, come va coll'arte?
Potrà andar bene col tempo, ma ora le acque son basse; vengo
anch'io al Monte Tabor, perchè con cinquanta centesimi mi par di esser ricco.
Canova è morto; e tutte le arti si rinnovano. È il momento
questo di tirare alla fortuna che passa veloce. Quel diavolo che ha fatto
questa musica, ha sfidato il passato che pareva insuperabile, e ha vinto. Tutta
Milano è sottosopra; e le ragazze singhiozzano e si tormentano se han le
guancie rubiconde, perchè Ildegonda doveva averle pallidissime; Hayez
quest'anno ha trionfato nelle sale di Brera, e, lasciando l'antichità, ha fatto
il suo ingresso nel medio evo. Non si parla più d'Appiani, meno di Bossi.
Camuccini è un pedante; Benvenuti è convenzionale. Landi e Serangeli fanno
pietà; Palagi si arrabatta nel circo per atterrar l'avversario di Venezia; ma
non ci riuscirà; or dunque tocca a te a dar le mosse al terremoto; e va pur là,
che non sei uomo da perderti nella polvere.
Non pare nemmeno a me; e Pompeo Marchesi, coi capelli dietro
l'orecchio, cadenti sulle spalle, colla testa alta e come fiutante l'aria del
proprio avvenire, tirò innanzi facendo far la ruota a un modesto bastone, di
quelli che si chiamavano pagadebiti, perchè anch'esso, insieme col pittore
Comerio, apparteneva alla Compagnia della Teppa; memori e orgogliosi entrambi
delle pericolose fazioni compiute quand'erano studenti a Roma, dove per aver
insultato un cardinale, sarebbero stati chiusi in Castel Sant'Angelo, se il
console di Francia non li avesse fatti fuggir nottetempo.
E il Baroggi tirò innanzi passeggiando e chiacchierando, e
di lì a poco s'incontrò in due giovani da lui amatissimi: il Bazzoni Giunio di
Milano e l'abate Giuseppe Pozzone; nato il
primo a lasciar traccie luminose nella poesia italiana, se l'indole austera, e
una modestia eccessiva, e una misantropia selvaggia non gli avessero impedito
di alzare più audace e più lungo il suo volo; e il secondo, carissimo anch'egli
alle Muse, di gusto più squisito, e che se l'abito sacerdotale non gli avesse
contristata la vita, avrebbe avuto salute più florida, vita più lunga e fama
poetica più duratura. Con questi il Baroggi continuò parlando di letteratura e
discutendo sul merito del poeta Redaelli di Cremona, morto giovanissimo due
anni prima, e già celebre allora per alcune anacreontiche leggiadre, per delle
terzine sui disastri della campagna di Russia; ma specialmente per un
componimento a tinte lugubri, in cui si cominciava ad aprire il varco alle
nordiche influenze, alla moda dei singulti disperati, e dove si accennava che
il chiaro di luna, le ombre, le upupe e le strigi immonde, dovevano essere i
novelli ingredienti dell'estro poetico; di quell'estro però che non è genio, ma
una specie di convulsione intellettuale e di lusinghiero pervertimento del
gusto.
Intanto che il Baroggi e il segretario di governo e gli
altri passeggiavano discutendo, dietro di loro venivano il Suardi e il
Bichinkommer, tutt'intesi essi pure a parlar di cose, che, se non erano tanto
ideali ed alte, avevano però un'importanza più vicina, più diretta e più
necessaria. Il motivo, anzi, per cui il Baroggi si lasciò andare alle sue
volate letterario-artistiche senza intrattenersi col suo amico uscito allor
allora di Santa Margherita, era perchè il Bichinkommer lo aveva tratto da parte
come per comunicargli cose d'interesse privato.
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