XXV
Il Bichinkommer, congedatosi dal Baroggi, discese
all'ingresso dell'osteria, per vedere co' propri occhi dov'erasi fermata la
carrozza dell'avvocato Falchi. Era quella un phaëton, foggia di cocchio estivo
venuto allora dall'Inghilterra. Non aveva cocchiere a cassetta, ma un jockey in
livrea di postiglione con calzoni di daino bianco teneva i cavalli.
Il Bichinkommer disse al Bernacchi vetturale:
Sarebbe stato assai meglio se fossero venuti a piedi.
È facile a capirsi.
Voglio dire, che bisogna governarsi in modo, da rendere
questa carrozza inservibile.
Come si fa?
Far nascere qualche scompiglio... spaventare i cavalli...
qualche cosa, insomma; i milionarj non amano di affrontare i pericoli.
Questo si sa...
Per combinazione, ci sarebbe qui tra gli altri qualche
fiacre guidato da qualcuno de' tuoi uomini?
Più d'uno ce ne sarà.
Fa dunque in modo che si trovi un fiacre fuori della porta,
sulla strada di circonvallazione che mette a porta Tosa.
È presto fatto.
Ora io rientro nell'osteria, e mi metto sui passi loro.
Son là seduti, presso la banda militare... Ella momenti fa
parlava col general Bubna.
Per fortuna non mi conoscono, e potrò tenerli d'occhio senza
metterli in sospetto. Or lascia ch'io dia una occhiata al postiglione.
Detto ciò, fece tre o quattro passi, attraversò il bastione,
e si piantò presso la carrozza, ambe le mani nelle saccoccie e il cappello
bianco plumé in sugli occhi. Pareva un mercante di cavalli che esaminasse le
sue bestie, per accertarsi se potevasi fare un negozio, ma di sott'occhio egli
sbirciava il postiglione.
La faccia è abbastanza di mammalucco, ei diceva fra sè. Va
benone. Questi milionarj di nova data si fan sempre
scorgere a qualche indizio: il phaëton è inglese, ma il jockey è tolto di certo
al cavallo dell'erpice. L'abito è nuovo e ben tagliato, ma la schiena tradisce
l'abitudine della vanga. Può darsi che mi sbagli, ma questo villanzone deve
sgomentarsi per nulla.
Ciò detto, o meglio, pensato, si ritrasse lentamente, e come
chi va almanaccando tra sè, diede di nuovo un'occhiata d'intelligenza al
Bernacchi, al Granzini e agli altri; rientrò nell'osteria, e si portò
sull'ingresso della cucina. Colà, senza perder mai di vista il pergolato presso
la banda militare, dove trovavasi la Falchi, disse alto al cuoco:
Avresti ancora del fegato crudo?
Aspetti... sì... c'è quest'ultimo pezzo... Vuol forse una
buona frittura?
Dammelo come sta. Ognuno ha i suoi gusti.
Ma...
Te lo pagherò come se fosse fritto e rifritto; sta di buon
animo.
Si serva; badi a non imbrattarsi.
E il Bichinkommer, nascosta la mano che teneva l'involto
sotto la falda della giubba, uscì di nuovo.
L'osteria del Monte Tabor, alle ore sette, quando cessò il
giuoco della slitta, cominciò a versar fuori gente, gente e gente, con quel
rigurgito profluente onde la birra in fermentazione, tolto il turacciolo, si
versa in quella misura che par superare le proporzioni della bottiglia. Il
fiacre del vetturale Bernacchi era già fermo fuori della porta; e un altro
fiacre fu mandato ad aspettare sul bastione per il caso che d'improvviso si
dovesse cambiare il piano di battaglia. Presso alla carrozza della Falchi, a
conveniente distanza, stavano quelli fra i compagnoni della Teppa ch'erano men
noti al pubblico. Altri s'eran recati a bere ad un'osterietta posta allo sbocco
della strada di circonvallazione, e che serviva di succursale al Monte Tabor,
quando questo minacciava di lasciar morire di sete la folla soverchiante. Il
Granzini capo mastro passeggiava sul bastione a dritta, il Bernacchi sul
bastione a sinistra della porta. Il Bichinkommer, col cappello sugli occhi,
teneva tutto nel dominio del proprio sguardo, lasciandosi sospingere e
respingere dalla folla, come uno di quei ceppi del lago, a cui fan capo le
reti, e che vengon di continuo sobbalzati dall'onda. A misura che i signori
proprietari delle carrozze uscivan dall'osteria, i cocchieri, avvisati dal noto
fischio delle livree che ricevevan l'ordine dai padroni, facevano avanzare i
cavalli. In quel momento adunque l'ordine delle file non poteva essere molto
rispettato. E venne anche la volta del phaëton di casa Falchi. Il jockey venne
chiamato. Questi d'un tratto fu al suo posto. Il Bichinkommer, colto a volo
quell'istante, s'era recato presso al cavallo che doveva portare il jockey, e
intanto che questo, messo il piè sinistro nella staffa, colla gamba dritta
girava la sella, per mettervisi a sedere, ei gl'intromise di volo l'involto del
fegato insanguinato, senza che colui nè altri se ne avvedessero. Il jockey fece
avanzare i cavalli; il Falchi colla moglie salirono; il phaëton si rimise nella
fila de' cocchi che procedevano non senza disordine. Ma a un tratto i monelli
spettatori gridano: Ferma, ferma. Guarda, guarda. È ferito. Siete ferito;
versate sangue da tutte le parti. Il jockey, alla luce crepuscolare, si volge,
guarda, si spaventa, si smarrisce, grida ajuto, e governa sì male le briglie,
che i cavalli s'impennano, sconvolgono le file, fanno urlare donne e ragazze,
che si mettono in fuga, mentre altri accorrono. Nel disordine, nella confusione
e nel parapiglia, alcuni, ed eran socj della Teppa, pigliano nelle braccia il
jockey quasi svenuto, fermano i cavalli, fingono di far coraggio ai seduti in
carrozza; intanto il Bernacchi, dietro consiglio improvvisato lì per lì dal
Bichinkommer, monta in sella, guida i cavalli, li fa uscir di fila, e
approfittando dello scompiglio generale, li spinge a gran carriera fuori di
Porta Romana.
Senza perder tempo, il Bichinkommer dà ordine al Milesi e a
due altri di salir nel fiacre che stava fermo sul bastione, e di uscir tosto
per mettersi in coda al phaëton, e di concerto coll'altro fiacre, far nascere
un nuovo parapiglia, simulare un alterco, una rissa, un qualche inferno, per
ottener l'intento di tagliare in due il matrimonio seduto in cocchio,
trasportando la Falchi alla Simonetta, e lasciando per una notte in piena e
desolata vedovanza il milionario avvocato. Audaces fortuna juvat; le cose
camminarono a seconda delle previsioni e dei desiderj. Il fiacre situato sul
bastione tenne dietro al phaëton; dopo qualche istante, il fiacre che attendeva
sulla strada di Circonvallazione, avvisato in tempo debito, si mise a carriera,
come per inseguire le altre due carrozze, sotto pretesto d'esser stato
attraversato e insultato. In quest'ultimo erasi gettato il Bichinkommer. Egli
vomita ingiurie contro quelli dell'altro fiacre; questi rispondono di
conformità, e versano tutta la colpa sul guidatore del phaëton. Il Bernacchi,
recitando benissimo la propria parte, si mette a sagrare come un indemoniato.
Tutte e tre le carrozze si fermano. Gli uomini nei due fiacres discendono, e
fanno le viste di assalire il Bernacchi. La Falchi grida, l'avvocato strepita,
e tutti si volgono a quest'ultimo, portandolo di viva forza fuori della
carrozza. Il Bernacchi, avvertito dal Bichinkommer, finge allora di svincolarsi
dall'impaccio dei due fiacres, e mette i cavalli alla più precipitosa carriera,
indarno gridando la Falchi che il marito era rimasto a terra. Il qual marito,
dopo essere stato urtato e riurtato e anche tambussato, fu lasciato solo in
mezzo alla strada e all'oscurità della notte già caduta; e i compagnoni della
Teppa risalirono tutti nei fiacres e via di gran galoppo.
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