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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMONONO
    • XXX
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XXX

Quel stesso il Bichinkommer e il Baroggi pranzarono insieme all'osteria della Stadera. Il secondo non sapeva nulla di quello che aveva fatto il primo, e tutto sprofondato com'era da qualche giorno nei pensieri e nelle cure del paese, non conosceva nulla affatto del così detto Gazzettino di quel mondo che, quando non fa nulla, fa peggio. Ma alla tavola ove pranzavano e a tutti i tavolini che lor stavano intorno e dappresso, non si parlava che del rapimento dei nani e dello scandalo fatto subire ad alcune dame milanesi. Queste, com'è naturale, avevan taciuto quello che ai nani premeva invece di raccontare, perchè un certo senso d'orgoglio e l'idea di una specie di trionfo aveva fatto passare il dolore e l'avvilimento delle bastonate ricevute. Tenuto conto di tutto, e messo insieme il dare e l'avere, all'ultimo essi furono ben contenti d'essere stati rapiti; onde fu precisamente per opera loro se lo scandalo venne a propalarsi. Il Baroggi, che non comprendeva nulla di quei discorsi, ne domandò la spiegazione all'amico, che gliela diede amplissima, confessando la brutta parte che, colle buone intenzioni del mondo, esso aveva avuto in quel fatto.

Oh mi pento davvero, esclamò allora il Baroggi, di aver dato ascolto al Suardi e d'essere entrato a far parte di questa compagnia; ma come ti dissi già altre volte, per ammenda degli altrui falli e dei nostri, come si pensa a convertire in medicina anche i veleni, bisogna provvedere a convertire in qualche bene anche questo malanno. Molti giovani gli ho già convertiti, e trovai buonissimi terreni. Adesso bisognerà pensare a cavar partito anche dalle schiume più ribelli. Tu ci penserai. Stasera verrai con me, e ti presenterò alla società. Ti farò conoscere a suo tempo anche il conte, che è quello che sta al timone e governa tutti gli avvenimenti. Abbiamo bisogno di qualcuno che conosca il Piemonte come la Lombardia, e sia pronto a viaggiare innanzi e indietro per tutto quello che può abbisognare. Ho già parlato di te, sei già noto ed accettato; per cui stasera non ci sarà che la formalità della presentazione. Intanto è bene che sappi quali sono tra noi i segni di riconoscimento. Eccoti spiegato il tutto in poche parole: Tu vai, per esempio, in un luogo ignoto, e ti trovi tra persone ignote, nel tempo stesso che desideri sapere che aria tiri e che discorsi si possono arrischiare e che reti gettare: ebbene: se tu adocchi uno che ti dia nel genio più degli altri, e ti venga in sospetto che per avventura sia un affigliato alla Società dei Federati, non devi far altro che unire ambe le mani nell'atto di salutarlo; se l'altro non ti comprende, è indizio che bisogna parlar di cose indifferenti, e troncare ogni discorso pericoloso; ma se invece quegli a cui tu guardi si pone la mano destra al fianco, come facendo mostra di mettersela sulla spada, allora è segno che è un federato, e che, all'occorrenza, puoi far capitale di lui.

Ma questa società che, siccome ho sentito dire, è assai diversa da quella dei Carbonari e dei Frammassoni, ha però, al pari di quella, una gerarchia?

La Società dei Federati non ha che due gradi: quello di capitano e quello di semplice addetto.

Ma in che differisce il capitano dal semplice federato?

In ciò, che il primo ha il diritto o l'obbligo, come tu vuoi, di far quattro proseliti. Io, per esempio, son capitano, e tu sei il quarto dei proseliti che ho fatto.

L'altro m'hai detto che la Società si convoca in casa del calzolajo Ronchetti?

Le adunanze generali si tengono sempre in un sito; le speciali in varj luoghi. La casa del calzolajo Ronchetti è uno di questi. Devi inoltre sapere che questa Società si divide in due centri, quello dei nobili e quello dei plebei.

Ahimè, caro Giunio, si comincia male.

Comprendo che cosa vuoi dire, e sono anch'io del tuo sentimento; ma ho dovuto accorgermi che, per ora, questa distinzione era necessaria.

Ma, e perchè?

Gli uomini che amano la patria sono più frequenti di quelli che odiano i privilegj. Ecco perchè, onde attrarre nell'ardua impresa anche i nobili, bisognava far loro toccar con mano che coll'entrare nella nuova Società e col far parte dei lavori che devono concorrere alla creazione vera e non fittizia della nostra patria, i blasoni rimanevano intatti. Col tempo andranno per aria anche questi. Un tal tempo però sarà lungo, lungo assai; press'a poco come uno dei sette giorni o delle sette epoche della creazione. Noi, i nostri figli, i figli dei nostri figli, e continua pure colla litania delle generazioni, saremo morti tutti, e ancora ci saran duchi e marchesi e conti. Bisogna adattarsi, caro mio; chè, se cominciamo a prender ombra dei titoli, addio speranze; non si fa più nulla.

Continuando su quest'andare, essi finirono di desinare, lasciarono l'osteria, passeggiarono per qualche ora, si recarono fuori di Porta Orientale all'osteria dei Tre Merli, allora famosissima, a bere un bicchiere di Villacortese, pure di quel tempo in gran voga; finalmente, verso le ore otto, entrarono nella casa Ronchetti, in via della Cervia, situata in quell'angolo vicino alla chiesa, che, per il consueto alto e basso delle cose umane e divine, ora somministra le legna a quanti fanno bollire pentole in casa, e si riscaldano al caminetto ed alla stufa.

 




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