XXXI
Milano, nel principio di questo secolo, forse per essere
stata la capitale del regno italico, ebbe il privilegio di raccogliere in sè i
prototipi dell'intelligenza italiana in tutte le sue sfere e manifestazioni,
dall'alfa all'omega, dalla testa ai piedi: da Vincenzo Monti e Romagnosi e
Sabatelli e Appiani e Carlo Porta, ecc., sino al calzolajo Ronchetti, prototipo
dell'intelligenza operaja, dell'onestà plebea, dell'espansione popolana. È noto
come questi, nato a Parabiago, per infortunj domestici sia stato costretto a
riparare a Milano, e qui, sotto la scorta di una madre tanto bella quanto
virtuosa, per trovar pane pronto, abbia dovuto acconciarsi alla professione di
calzolajo, la quale per sua virtù meritò quasi di ottenere un posto
nell'Istituto e nell'Accademia delle Belle Arti; dell'Istituto di Scienze,
perchè coll'invenzione delle forme e con appositi congegni consolò le
conformazioni viziate, le perfide gotte, i calli inclementi; dell'Accademia,
perchè, facendo risaltare tutta la bellezza che può avere la linea di un piede
sì maschile come femminile, l'occhio imparò ad innamorarsi di qualche cara
persona cominciando dai piedi, invece che dalla testa.
Ma, lasciando da parte la calzoleria, ciò che rendeva
distintissimo il Ronchetti era la svegliatezza del suo ingegno, e l'amore quasi
febbrile per tutto che v'è di grande tra gli uomini, le idee e le cose: per
codesta qualità, siccome egli ambiva di avvicinare le persone più eminenti del
suo tempo; così queste facevano a gara nell'avvicinar lui, nel complimentarlo,
nell'esaltarlo; i poeti gli mandavavano le loro opere; i pittori e gli scultori
le produzioni del loro pennello e del loro scalpello; gli alti dignitarj lo
onoravano di lettere; così che la raccolta degli autografi posseduti dal
Ronchetti parrebbe quella di Voltaire, dell'Algarotti, di Talleyrand, di
Nesselrode; tanto è vero che un primato, qualunque sia la sfera delle umane
discipline, può mettere un individuo al livello e al disopra di chicchessia.
Aveva ragione il ciabattino del Giulio Cesare di Shakespeare, quando esclamò,
pieno di giusto orgoglio: "Io sono il primo cittadino di Roma; tutta Roma
passeggia sull'opera delle mie mani". Ma, tagliando corto, la sua umile
casetta fu scelta anzi da lui stesso, tanto amava il progresso e il bene del
paese, fu esibita per conventicolo segnatamente dagli operaj ed industriali, e
di quanti s'erano incaricati di fare entrare anche costoro nella santa impresa
di rigenerare la patria comune. In quella sera molti eransi là raccolti,
compresi il padre Ronchetti e il maggiore dei suoi figli, ancora adolescente,
ma di tale ingegno e di tempra così severa, che quanti lo conoscevano tra i
Federati frequentatori della casa Ronchetti, permisero che anch'egli assistesse
alle conferenze.
E noi adesso, come parrebbe farci invito l'argomento, non ci
dilungheremo a parlare dei Federati, nè della loro origine e dei loro intenti.
Sul movimento italiano fu parlato con tanta abbondanza e da tanti autori, che
non c'è lettore, per quanto scarsamente istruito, che non ne conosca tutte le
vicende e le fasi principali. Qualche cosa però, che non è senza importanza, fu
omessa nelle opere stampate. La conferenza, per esempio,
che si tenne quella sera in casa Ronchetti, e che a noi fu riferita oralmente
dal Bruni che vi assistette, mette in luce qualche fatto sfuggito altrui; ed
ecco perchè amiamo accompagnarci colà insieme col Baroggi.
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