V
Ma tornando ai fatti, in quella notte in cui la contessa
vegliava, non per amore della scienza, siccome pare, ma per amore di qualche
altro oggetto, e in cui Amorevoli stava seduto su d'un sasso cui faceano spalliera
foltissimi carpini, che a lui servivano e di paravento e di paraluna nel tempo
stesso, doveva succedere uno di quei contrattempi che e' si direbbero
espressamente concertati dalla perfida malizia della fortuna, uno di que'
contrattempi pe' quali si è convenuto di dire che talvolta il vero non è
verosimile. - Non era la prima volta che Amorevoli, saltando pel muro di cinta,
recavasi nel giardino di casa V... dopo mezzanotte, ovvero sia dopo finito il
teatro; e non era la prima volta che la contessa, quando batteva un'ora
all'orologio dell'Ospedale Maggiore, discendeva nella biblioteca situata al
piano terreno del palazzo, la quale, per un grande finestrone arcuato,
rispondeva al giardino; finestrone difeso da un'inferriata a modo di cancello,
tutta messa ad oro e foggiata a ricchissimi rabeschi. - La contessa, stando di
dentro, sentiva le proteste d'amore dell'infuocato Amorevoli, il quale
protestava inoltre contro quel cancello che non aveva mai voluto essere aperto,
e che serviva alla contessa e di parlatorio e di fortino. - Come, del resto, e
quando donna Clelia e il tenore della stagione di carnevale siensi dati
l'intesa per trovarsi a que' notturni abboccamenti è quello che non si sa. -
Allorchè il destino iniquo ha stabilito che succeda quello che non dovrebbe mai
succedere, offre egli stesso le opportunità, consiglia i mezzi, tende le reti,
suggerisce le parole, è il Figaro più scaltro e più disinvolto e più briccone
di tutti, tra due individui che cogli occhi si son detti quello a cui non basterebbero
cento sonetti del Petrarca. - Quale adunque sia stato il momento e quale il
modo con cui que' due concertarono la maniera per trovarsi insieme, non è ciò
che più importa di sapere. - Ma il fatto sta che allorchè in quella notte di
febbrajo suonò quella tal ora, la contessa discese, e Amorevoli si alzò dal
sedile di sasso e si tolse d'intorno al volto il ferrajuolo, e nell'esaltazione
affrontò anche il chiaro di luna quando sentì aprir la vetriera; e così in meno
d'un lampo fu là, e nella sua, sebbene con renitenza ineffabile, stette la
morbida mano di donna Clelia; di donna Clelia, che, ignara, di tutto, fuorchè
di quello che è men necessario alla donna, e versando allora come attonita in
un mondo di sensazioni non mai esplorato prima da lei, riusciva ingenua e quasi
stolidamente inesperta, come una fanciulla quattordicenne, la quale, sebben
difesa dal senso arcano del pudore, se non è vegliata da esperti custodi,
concede improvvida le sue fragranze al primo vento protervo che le soffi
intorno. - Quella stima eccessiva di sè stessa che aveale generato lo studio e
la scienza, quell'orgoglio in cui era venuta, forse perchè la sua intelligenza,
sviluppata da infinite cure, non era però per natura forte abbastanza da
sostenere il peso della dottrina, quella acerbezza dei modi e del linguaggio,
che era l'espressione e dell'uno e dell'altra, erano scomparse. Ma ciò non solo
con Amorevoli (sarebbe troppo facile a comprendersi), ma con tutti, ma colle
donne di sua conoscenza, ma co' gentiluomini, ma con quelli che avea sempre
trattati con dispregio e a cui per contraccambio ella era riuscita così
disgustosa.
Chi volesse dar la spiegazione dell'acredine ond'era
involuta l'indole di quella gentildonna nel tempo in cui non si pasceva che
d'orgoglio scientifico, potrebbe forse assegnarne la cagione a questo, ch'ella,
sebbene in confuso e senza nemmeno averne la coscienza, sentiva fieramente la
mancanza di uno di quegli affetti che bastano a colmare un'esistenza; noi per esempio
portiamo l'opinione che se essa, in quei sette anni di matrimonio, avesse avuti
una mezza dozzina di figlioli, il corpo sarebbesi tanto quanto sciupato, ma
l'animo sarebbesi nudrito dei più cari conforti dell'esistenza. - Fu perciò una
vera disgrazia, ch'ella per sentire com'è dolce la vita quando è dolce, abbia
dovuto porre il labbro sugli orli imbalsamati di un vaso che doveva poi esser
pieno d'assenzio. - La contessa e Amorevoli stavano da qualche tempo
infervorati in un dialogo, che noi non riporteremo per quella ragione che i
dialoghi di due amanti, come le poesie improvvisate, per conservare il loro
prestigio, hanno bisogno di non essere trascritti. Possiamo però assicurare
che, chi fosse stato presente a quella notturna confabulazione senza conoscere
gl'interlocutori, avrebbe detto che l'ingegno e l'acutezza e l'amabile
scaltrezza e l'eloquenza appartenevan in proprio a colui che si lasciava
allegare i denti persin dalle strofe di Metastasio: e che invece la povertà
delle idee, la mancanza di slancio, la parola impacciata, la timidezza puerile
erano di colei che pure aveva tanta confidenza con Eulero e con d'Alembert. E
purtroppo l'eloquenza del tenore Amorevoli era come un ferro tagliente che mira
a squagliare una corazza, mentre la timidezza e il turbamento di donna Clelia
rendevano quel combattimento oltre ogni dire ineguale. - Il cancello dorato
della biblioteca stava fra loro due come una guardia di confine, ma siccome la
contessa ne aveva la chiave e dipendeva dalla sua volontà l'aprirlo, così non
potremmo giurare quel che avrebbe fatto la sua timidezza se dal desiderio fosse
stata convertita in coraggio. - In una parola, è probabile che sia stata
necessaria una disgrazia per soccorrere la virtù. - Amorevoli, colla sua voce
soave e colla sua facondia insidiatrice, tentava di metterla all'ultime
strette, con una argomentazione serrata, in cui i sofismi comparivano e
scomparivano trasportati dalla velocità delle parole, l'opposizione sempre
più lenta e fiacca dell'avversario... quando di repente... s'udirono a non
molta distanza più voci che gridavano all'accorr'uomo, al dàgli dàgli. -
Davvero che se quello che stiamo per dire non avesse altro documento che la
relazione orale e solitaria del nonagenario da cui raccogliemmo tanto cumulo di
fatti, noi non avremmo il coraggio di esporre un avvenimento, che, siccome
abbiam detto, non parrebbe verosimile. Ma una difesa scritta nel secolo
passato, che reca la firma: I. C. C. Benedictus Comes Aresius carceratorum
protector... e una sentenza del Senato con motivazioni profonde, ci fa vedere
che quanto è realmente avvenuto, non può essere rivocato in dubbio. - Però
andiamo avanti coraggiosamente, anche perchè, d'altra parte, se il fatto è
strano, riuscì poi fecondo di conseguenze gravissime.
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