V
Entrato nella propria camera, una voce dalla vicina gli
gridò:
Ben venuto! Pare che manchi poco all'alba; e sì che ho
sentito che a Parigi c'è l'abitudine di rincasarsi per tempo.
Caro mio, è stata una notte eccezionale questa. Ho assistito
al trionfo dell'Italia in Francia, e se tu, uscendo dal teatro, m'avessi
accompagnato alla serenata fatta a Rossini e al brindisi del caffè Tortoni, non
avresti perduto il tuo tempo.
E dicendo questo entrò col Suardi nella camera di chi aveva
aperto il dialogo.
Quegli che stava a letto era l'avvocato Montanara di Milano,
venuto espressamente a Parigi, come arbitro nelle ultime vertenze della causa
F...-Baroggi.
Hai gli occhi che mandan raggi e la faccia color di carmino,
disse l'avvocato al Baroggi. In che felice maniera è scomparsa la tua
pallidezza abituale?
Attendi un momento, rispose Giunio, e la pallidezza
ritornerà. Questo rosso fuggitivo che mi riscalda le guance, assomiglia ad una
maschera modellata al riso, e gettata per passatempo sopra una testa da morto.
Sento già gli effetti della reazione nervosa. Il tempo di far sei scale e due
minuti di silenzio bastarono per ritornarmi al tristissimo vero dond'era
uscito:
Sento gli avversi numi e le segrete
Cure che al viver mio saran tempesta.
Io so che tu dici la verità, povero Giunio; eppure qui in
Parigi quanti mi han parlato di te, credono che tu sii uomo piuttosto strano
che infelice, piuttosto spensierato che cogitabondo.
Lo crede questo volgo elegante e ricco del caffè Tortoni,
ch'io rallegro spesso coll'epigramma che mi è abituale; ma non i pochi che
hanno l'attitudine del pensare, e coi quali alcuna volta mi sprigiono.
Eppure cagioni reali e visibili d'infelicità tu non ne hai.
Sei nel fiore della giovinezza, sei avvenente, e di quell'avvenenza non pomposa
la quale tanto piace al sesso gentile che tu non odii; sei d'ingegno acutissimo
e di facile e simpatica facondia. Per di più, se in addietro non hai conosciuto
la povertà, sebbene costretto a viver parco, d'ora innanzi ti adagerai nella
ricchezza.
Ventimila lire di rendita!... esclamò il Suardi.
Dite trentamila, osservò il Montanara. Ma questo Giunio è sempre
stato dello stesso umore. Ci siam conosciuti a Pavia; io studiavo il quarto di
legge, lui il primo. E fin d'allora vedendolo sì tristo e sospettandone la
cagione: Quando sarò laureato, gli dissi, e passerò avvocato, penserò io a
distrigarti di tutto. E così fu.
Ma, e come mai, domandava il Suardi all'avvocato, a voi
riesce nella vostra professione di ottener cose che per gli altri son
dichiarate quasi impossibili?
L'avvocato Montanara in fatti, come sapranno tutti i nostri
lettori che lo hanno conosciuto o ne han sentito parlare, oltre a una gran
dottrina legale, possedeva un tatto così squisito e acuto, che a lui riusciva
spesso di dipanar matasse credute inestricabili.
Un avvocato è come un generale, rispondeva il Montanara.
Egli non dee limitarsi a conoscere la propria professione; ei dev'essere
versatile, deve conoscer gli uomini, deve trar partito da tutte le circostanze
anche non legali che gli si presentano. Ad un avvocato non dee bastare d'esser
reputato un gran giureconsulto. In questo caso scriva opere giuridiche, si
sfoghi nella teoria, ma non s'impacci della pratica. Egli, precisamente come un
generale, innanzi deve vincere. Giulio Cesare a Farsaglia, sapendo che i
giovani patrizj che appartenevano alla cavalleria romana avevano cara la
freschezza del viso, disse a' proprj veterani: Abbiate cura di rivolger l'arme
alla faccia di costoro; e la cavalleria fu tosto sgominata, perchè i
bellimbusti d'allora avrebber fatto qualunque sacrificio piuttosto che avere il
volto sfregiato. Ora questa regola non la troverete in nessun trattato di
strategia e di tattica. Tornando ora all'avvocato e tornando a me, anche senza
la conoscenza del codice, avrei ottenuto quel che ottenni; perchè più di tutto
mi valse il conoscer gli uomini e l'arte di saper pigliarli dov'è il loro lato
debole. Nel caso qui del mio Baroggi, saputo che il marchese erasi piegato
verso la chiesa, e più ancora, saputo che il suo più intrinseco amico era più
bigotto, e diciamolo pure, più galantuomo di lui, mi rivolsi ad esso innanzi
tutto, schierandogli innanzi tutta la batteria buona e non buona dei miei
argomenti legali, e dei tanti indizj che sussistevano, ma che tutti insieme non
costituivano una prova. Chiesi inoltre un'udienza privata al presidente
Mazzetti, che fin dal 1820 era stato a Milano, credo come ispettore dei
tribunali. Gli parlai in modo che rimase convinto, perchè l'esistenza del
testamento, tuttochè giudicato apocrifo, e parecchie deposizioni di due
scrivani del notajo Agudio, sebbene insufficienti a far prova rigorosamente
legale, non potevano a meno di piantarlo nella persuasione, che l'edificio che
durava da tanti anni, non doveva essere affatto un edificio immaginario. Dichiarai
inoltre ch'io era disposto a trattar la causa ab ovo, e che infinite cose avrei
rivelate, che al marchese non sarebbero certo piaciute. Il Mazzetti, nelle sale
del governatore, parlò all'amico del marchese, e questi, dopo alcuni giorni,
mandò a chiamarmi, e sotto colore di cedere alla gran bontà dell'animo suo, mi
invitò a far delle proposizioni: siamo a casa, dissi fra me, e cominciai dal
chiedere moltissimo. Il marchese s'impennò di nuovo. Io stetti forte e
irremovibile, e non mi lasciai più vedere. Ma un bel giorno ricevo un
bigliettino dal conte amico del marchese, col quale mi invita a casa sua. Ci
vado senza farmi aspettar troppo. Il conte mi dice: il marchese è pronto a
pagare settecentomila lire milanesi al signor Giunio Baroggi. Per finirla,
rispondo, giacchè vi spaventa la cifra del milione, aggiustiamola in
novecentomila lire. Il conte non disse nè sì nè no per allora; ma, dopo molto
tempestare, si concluse che stava egli garante di tutto, e si sarebbe finito
l'affare a quel modo. Ora sai tu, caro Suardi, perchè ho dovuto venire a
Parigi? Perchè dalle lettere di risposta di questo originale di Giunio io non
poteva raccogliere nessun costrutto. Mi trovavo d'aver fatto un miracolo, e
costui quasi lo rifiutava. Però appena giunsi a Parigi, lo costrinsi a farmi la
sua buona procura, e così sarà ricco a suo dispetto; non è vero, il mio caro
originale?
Se tu ti trovassi continuamente, al pari di me, disse il
Baroggi, sotto l'incubo di un affanno al quale non c'è rimedio, non diresti
così, caro avvocato.
Ma, in conclusione, domandò l'avvocato, che diamine t'è mai
capitato che l'animo tuo, ad eccezione di alcuni istanti di giocondità, che
dirò artificiale e meglio ancora morbosa, è avvolto in una perpetua tetraggine?
Negli otto giorni che son teco, non mi è riuscito di cavarti una parola. Parla
dunque una volta. Io ho l'abitudine di vedere e giudicar le cose non colla
stregua volgare del mondo incarognito ne' pregiudizj, ma coi criterj del buon
diavolo che è filosofo e nel tempo stesso ha viscere. Parla.
Dunque vi dirò tutto, i miei cari amici, ma se ne avrete
tedio, non incolpate me.
Sta pur tranquillo su ciò. Noi non desideriamo che di
poterti giovare in misura del poter nostro.
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