I
Nell'agosto dell'anno 1849, dimorando a Venezia, entrai una
notte, in compagnia di alcuni amici, nell'osteria del Cavalletto. V'erano là
ufficiali di tutte le armi, costituenti il presidio di quella gloriosa e
sventurata città, che, in que' giorni, stava dibattendosi tra la vita e la
morte. V'erano Italiani di tutta Italia: Polacchi, Ungheresi, Dalmati, Greci,
militanti per noi.
Venezia in que' dì offeriva uno spettacolo sublime insieme
ed angoscioso. Milano era ricaduta sotto il gioco austriaco; Toscana erasi
ridata al granduca; Roma, indarno difesa da Garibaldi, era stata occupata da
Oudinot: Italia tutta era sommersa. - Venezia sola sporgeva ancora il capo
dall'onda mugghiante, ma le braccia spossate più non potevan reggere contro
all'impeto di essa.
In quell'osteria era incessante il fracassìo di chi andava e
veniva, dei tanti che parlavano, dei camerieri che servivano e gridavano: a
tutti i tavolini, pur fra tanta varietà di discorsi, campeggiava sempre
il tema unico della patria in pericolo. A una tavola stavano il colonnello
Belluzzi e il colonnello Morandi, mio amico. Sedeva con loro un uomo tra i
quarantacinque e i cinquant'anni, in abito nero. La figura di lui, le pose, il
piglio erano giovanili ancora; ma i capelli prolissi erano sparsi di striscie
senili, la fronte solcata da lunghe rughe, l'occhio, sebben di linee grandiose
e pure, era patito e stanco.
Salutato il colonnello Morandi, sedetti lor presso; feci
portar un pan fresco di tritello, che in quell'estreme traversie del blocco,
poteva dirsi un pane di lusso; e un bicchiere di vino di Barletta, il quale
costava quanto lo Château-Lafitte delle cantine dell'imperatore dei Francesi; e
stetti così ascoltando i discorsi avviati.
A quanto m'avete raccontato, diceva quel signore in abito
nero, vedo che la difesa non potrà prolungarsi molto.
Due o tre settimane al più, e non c'è altro, disse il
Morandi.
Purtroppo! soggiunse il Belluzzi.
È una fatalità, osservò quel signore, che in quest'anno,
dovunque io capiti, debba sempre essere
l'augello del malaugurio. Arrivai a Torino due giorni prima del disastro di
Novara. Giunsi a Roma e mi son messo con Garibaldi poco tempo innanzi la sua
caduta. Or venni qui per mettermi con voi, colonnello Morandi...
E non c'è a far altro, credetelo a me. La difesa poteva
protrarsi molto più a lungo; ma il Governo non seppe e non volle.
Manin, rispose quel signore, era convinto (e lo provano le
sue note alla Francia e all'Inghilterra) che Venezia, per un riguardo dovutole
dalle potenze, sarebbe stata costituita come città anseatica: e questa speranza
fu appunto cagione degli errori del governo. La conveniente posizione politica
che Manin era certissimo sarebbesi data a Venezia, gli ha fatto credere
impossibile un lungo assedio; è per ciò se la marina non fu allestita in tempo;
se l'esercito non fu bene organizzato; se la guardia civica non fu resa
abbastanza numerosa; se le provvigioni da guerra non furono accumulate in tempo
e in quantità sufficiente a sostenere l'assedio anche per qualche anno.
E così, osservò il colonnello Belluzzi, di questa
popolazione straordinaria nella costanza; dei soldati venuti da tutt'Italia,
gloriosi per prove di coraggio uniche nella storia, non si trasse il vantaggio
che certamente si sarebbe potuto; ed oggi le cose sono al tutto disperate.
Il colonnello parlava ancora, quando entrò a cercarmi il
filologo e poeta Sternitz, prussiano, col quale io m'era stretto in amicizia;
uomo di grande ingegno, di vasta dottrina e d'abitudini semplicissime,
sebbene talvolta alquanto strane ed eccezionali. Dimorava da anni a Venezia, ed
era innamorato dell'Italia, della quale conosceva profondamente la letteratura,
ed era iracondo verso i proprj compatrioti.
E che fate qui, mi disse, con questa caldura che opprime?
Usciamo all'aperto.
Io chiesi al colonnello Morandi s'ei voleva uscire.
E si esca, ei mi rispose, con quel suo fare schietto e
soldatesco.
Belluzzi e il signore vestito di nero uscirono del pari; e
così tutt'insieme, collo Sternitz, il capitano De Luigi della legione lombarda,
ed altri, ce ne andammo a passeggiare sul molo.
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