III
Passeggiando lungo il molo, i discorsi continuarono sempre
sul medesimo tema di Venezia. Si parlò dell'origine e del procedimento della
sua rivoluzione; si parlò di Daniele Manin e di Tommaseo. Il colonnello Morandi
non aveva grande stima di Manin, ed essendo venuto a Venezia assai tardi, non
conosceva i precedenti storici, e giudicava con troppa severità il popolo
veneziano. Su tal proposito udii il Baroggi a fare le seguenti osservazioni:
Avendo io, egli disse, viaggiato tutta Italia, prima che
scoppiasse la rivoluzione, all'intento di veder dappresso le popolazioni e di
esplorare i sintomi della crisi italiana, mi trovai a Venezia nei primi mesi
del 1848; quel che avvenne in que' mesi di preparazione, fuori di Venezia non è
noto che in parte. Le carneficine di Milano e quelle di Padova assorbivano
allora l'attenzione generale. Ma io, che in quel tempo ho potuto osservar da
vicino quel che qui si operò, debbo dire che i Veneziani, una volta messi in
via, guadagnarono con alacrità straordinaria il tempo prima perduto. A mantener
vivo lo spirito pubblico e ad incuorare Venezia ad operare più che a far
dimostrazioni, contribuì principalmente la prigionia di Manin e di Tommaseo, e
la loro dignità affatto antica in faccia alla ingiustizia e alla sventura.
"Crocchi segreti d'uomini pronti se ne improvvisarono
molti; alcuni, più esperti dei mezzi speciali che Venezia aveva in sè,
guardavano alla marina veneta; considerando quello che, volendo, avrebbe
potuto, vedevano facile la riuscita, se si fosse tentata qualche impresa
audace. A tale intento, alcuni più astutamente volonterosi, s'accomunavano,
quantunque la diversa condizione non paresse comportarlo, ai soldati della
fanteria di marina; e versando con essi in famigliare colloquio nelle taverne
del buon popolo, e mescendo loro con mano liberale, li mettevano a parte de'
proprj pensieri, li istruivano intorno alle pubbliche faccende, e li esortavano
a star pronti. E così facevasi cogli arsenalotti, siccome quelli che potevano,
all'occasione, impadronirsi del punto più importante della città.
"Di questi sforzi veneziani e di questo senno che
mostrarono nell'adoperare quei mezzi, è tempo che si parli, perchè fin qui si è
creduto e si crede anche da parecchi che dappresso esplorarono il movimento
italiano, che la rivoluzione di Venezia sia stata l'affare d'un giorno; e che
la sua riuscita così felice e completa sia dovuta a fortuna più che a fatica.
Credetelo a me: in que' giorni pieni di vita e di speranza, il popolo veneziano
e i suoi capi fecero prodigi. Tommaseo e Manin furon veramente benemeriti, e
Manin ebbe istanti luminosi ed eccezionali di prontezza, di sagacità, di
coraggio."
Ma, a parer mio, osservò il Morandi, fu atto improvvido
l'aver proclamata la repubblica prima di sentire il voto delle altre città
d'Italia.
Oggi è facile dir così, rispose il Baroggi, ma bisognava
trovarsi qui allora. È necessario tener conto delle tradizioni speciali di
questa città, e allora converrete che, se quello fu un errore, fu però un
errore sublime.
Il Baroggi tacque un momento, e, fermatosi tra le colonne di
Todero e del leone, girò l'occhio sugli edifizj augusti della piazzetta e della
piazza. Muggiva cupo il cannone di Campalto e Campaltone. Nel silenzio e nella
solitudine della notte si sentiva ad intervalli quel suono particolare, come di
stoffa serica lacerata, che produce l'aria quand'è investita da una palla. Da
un mese i cannoni alla Pexens, collocati a quarantacinque gradi, percorrevano
quattromila e cinquecento metri di spazio, e tenevano in assiduo pericolo due
terzi della città.
Il Baroggi era come assorto e gli altri per un istante lo
guardarono in silenzio.
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